Le costellazioni dello zodiaco:
SAGITTARIO
di Annalisa Ronchi


In questo modo possiamo
riconoscere un centauro a colpo sicuro!

 

Il centauro, mitico animale dell'antichità, riprende la figura del cavallo, esattamente come le figure del Pegaso, dell'Unicorno, ecc...

Ma la grande differenza sta nel fatto che nella figura del centauro, gli uomini cercavano proprio di identificarsi con il cavallo stesso, da sempre considerato come uno degli animali più forti ed eleganti, il ché lo portò a diventare simbolo di nobiltà ed intelligenza, tanto che presso le famiglie aristocratiche greche e romane era uso comune attribuire nomi contenenti la parola “hippo”, cavallo in greco: Filippo ed Ippocrate ne sono due esempi.

La leggenda narra che il primo ibrido ebbe origine dall'unione di un figlio di Apollo, Centauro appunto, con delle bellissime cavalle. Dalla loro unione nacque una creatura con il corpo di cavallo sul cui tronco erano innestati un torso ed un capo umani. La loro particolarità è che possedevano tutti i pregi e tutti i difetti del genere umano, portati però a livelli elevatissimi, tanto che nella mitologia sono stati riservati loro ruoli completamente contrastanti: dall'estrema saggezza all'incredibile crudeltà. E tale idea perdurò nel tempo. Durante il Medioevo, i centauri vennero così descritti: «I centauri assomigliano ad uomini dal cuore falso e doppio; hanno le apparenze della devozione,... ma la sostanza di avversari e di eretici. Con i loro amabili discorsi seducono il cuore degli innocenti». Secondo il Physiologus, l'immagine del centauro si addiceva agli eretici ed alla loro interna dissociazione che li faceva considerare metà cristiani e metà pagani. Ma il vero specchio del pensiero medioevale in merito è rappresentato da Dante, che nella Divina Commedia colloca i centauri nell'inferno (Inf. XII) come custodi-giustizieri dei violenti contro il prossimo, in rapporto diretto con il loro carattere violento avuto in vita.

«... e tra ‘l piè de la ripa ed essa, in traccia
corrien centauri, armati di saette,
come solien nel mondo andare a caccia...
»

Dante li descrive come esseri veloci e possenti che vanno in cerca di dannati indisciplinati, sempre pronti a tirare le loro infallibili saette e che riassumono tutto il senso implicito della crudeltà e dell'orrore dei dannati, se si tiene conto non solo della loro funzione di feroci giustizieri, esecutori della giustizia divina ma soprattutto di quello che essi raffigurano nel mito antico della morte vendicata, della feroce violenza nella risse ed anche dell'intelligenza a servizio della crudeltà.

Il Medioevo li considera demoni pericolosi, li rappresenta spesso con i capelli in fiamme, per lo più armati, soprattutto di freccia e arco. Talvolta l'obiettivo è una colomba, tal altra un cervo, entrambe figurazioni simboliche dell'anima, facili prede spesso raffigurate mentre vengono trascinate via dopo la cattura.

Visibile durante le notti estive e le belle serate autunnali, il Sagittario occupa la regione più bassa dell'eclittica verso il sud. Le mappe celesti occidentali lo rappresentano con il corpo di cavallo e il torso umano, nell'atto di scagliare una freccia contro lo Scorpione: secondo la leggenda Giove collocò il Sagittario, pronto a colpire, vicino allo Scorpione per impedirgli di raggiungere Orione. Accanto alle zampe anteriori c'è il cerchio dell'asterisma della Corona Australe. Le leggende riguardanti tale costellazione sono legate ad uno dei miti più conosciuti dell'antichità, che ruota attorno al labirinto di Creta e all'uccisione da parte di Teseo del Minotauro. Si narra che, ogni 9 anni, sette giovani e sette fanciulle vergini di Atene, allora sotto l'influenza cretese, dovessero essere inviati sull'isola, dove li attendeva un terribile destino. introdotti in un luogo pensato apposta dall'architetto Dedalo perché ci si perdesse, erano destinati al pasto del mostro metà uomo e metà toro, il Minotauro. Nato dall'incontro fra Parsifae, la regina di Creta, e un bellissimo toro, grazie ad una vacca di legno costruita dallo stesso Dedalo all'interno della quale Parsifae si era introdotta, aveva già fatto molte vittime. Teseo, erede al trono di Atene, penetrò nel labirinto e affrontò il Minotauro, uccidendolo. Per uscire usufruì dell'aiuto di Arianna, figlia del re di Creta, che gli diede un gomitolo di filo. I due, diventati amanti, fuggirono insieme, ma Teseo abbandonò ben presto la principessa sull'isola di Nasso. Per consolarla, il dio Dioniso le regalò una ghirlanda o, secondo un'altra versione, una corona di gioielli. Quando Arianna morì, Dioniso, ripresa in consegna la corona, decise di collocarla in cielo.

Torniamo al Sagittario.

La metà equina della costellazione è completamente immersa nella Via Lattea, mentre le stelle che compongono l'arco ne sfiorano solo il confine.

Con l'eccezione dell'uranografia indiana, che rappresentava sono un arco e una freccia, la costellazione del Sagittario è presente in tutte le antiche mappe del cielo come un arciere per metà uomo e per metà animale, originariamente una capra e solo successivamente un cavallo.

La più antica descrizione scritta di questa costellazione appare nei Cataterismi di Eratostene, dove il segno compare non come centauro ma come satiro, antico ibrido antecedente l'arrivo dei cavalli nell'area mediterranea. Con ogni probabilità il primo satiro di cui ci sia giunta la leggenda fu l'indimenticabile Enkidu dell'epopea di Gilgamesh. In effetti è probabile che il primo e originale Sagittario fosse Enkidu, trasformato in costellazione insieme all'amico (Gilgamesh-Orione) a causa del duello vittorioso con il Toro Celeste inviato da Ishtar. Se si osservano le tre costellazioni, Toro, Orione e Sagittario si può vedere che Orione (Gilgamesh) attacca con la clava il Toro mentre, dall'altra parte dell'eclittica, il Sagittario (Enkidu) sorge ad est proprio mentre tramontano le stelle del Toro ad ovest, dando l'impressione che la comparsa di uno determini la scomparsa dell'altro. Tutto come descritto nell'“Epopea di Gilgamesh”, l'antico poema, formato da 12 tavolette di argilla trovate durante il secolo scorso a Ninive, tra le rovine del tempio di Nabu e della biblioteca di Assurbanipal. Qui si narra della lotta dei due amici contro il Toro del Cielo, e al termine della lotta si può leggere che Enkidu afferrò la coda del Toro per distrarlo, permettendo a Gilgamesh di affondare la sua spada nell'enorme collo del Toro. Quindi Enkidu squartò il toro e ne gettò i pezzi in cielo, contro Ishtar. Tale smembramento forse spiega come tutte le mappe stellari, anche le più antiche, rappresentano la costellazione del Toro solo con la parte anteriore dell'animale.

La conferma dell'esistenza di una creatura faunesca come figura antica del Sagittario è scolpita sulla sfera celeste di marmo sostenuta dal titano Atlante, dove è visibile, come nono segno dell'eclittica, un satiro in piedi con in mano arco e frecce.

L'antenato del centauro nell'area mediterranea è l'ibrido caprino, asinino e taurino. Pan, Dioniso, Minotauro, Sileno, i fauni e Priapo stesso anticipano la figura del centauro che comparve solo dopo l'introduzione del cavallo dal continente asiatico. Probabilmente la figura del centauro armato è ciò che resta del terrore ispirato dalla vista dei primi guerrieri a cavallo, uomini così abili nell'arte di cavalcare da sembrare quasi in simbiosi con l'animale impiegato. È stato riportato che i nativi di Hispaniola e del Messico ebbero effettivamente l'impressione di una strana e sconosciuta creatura, quando videro i soldati spagnoli che cavalcavano contro di loro.

In cielo sono presenti due centauri, uno si trova nell'emisfero australe ed è chiamato proprio Centauro, l'altro è il nostro Sagittario. La presenza di due centauri nel cielo stellato non poteva non creare una certa confusione circa l'identificazione del personaggio da essi rappresentato. Di certo il centauro Chirone fu originariamente attribuito alle stelle del Centauro però, già in epoca alessandrina e poi romana, alcuni autori confondevano Chirone con il Sagittario.

In realtà il personaggio che originariamente lo rappresentava nella mitologia greca era il leggendario Croto, figlio del dio-capro Pan e di Eufeme, la nutrice delle Muse. Come figlio di un ibrido caprino, egli era probabilmente un satiro (creatura umana con orecchie, coda e zoccoli di capra) e non un centauro, e in questo avevano ragione sia Eratostene che lo sconosciuto scultore dell'Atlante.

Croto fu allevato sul monte Elicona insieme alle Muse, delle quali divenne compagno e ammiratore. Fu lui che inventò arco e frecce e, per esprimere l'ammirazione e la gioia verso le sue sorelle adottive, l'applauso. Fu un cacciatore infallibile, veloce nell'inseguire le prede e versatile in tutte le arti. Per premiarlo delle sue capacità e della sua amicizia, le Muse pregarono Zeus di trasformarlo in una costellazione conveniente alla sua fama. Fu così che Zeus, sommando tutte le qualità di Croto in un corpo solo, gli attribuì fianchi di cavallo dal momento che era un abilissimo cavallerizzo, arco e freccia per celebrarne la bravura nella caccia e una coda da satiro perché, come scrive maliziosamente Igino nel suo Poetica Astronomica, «le Muse non presero meno piacere con Croto che Dioniso con i satiri».

Nel V millennio avanti Cristo si era determinata una singolare coincidenza nella geometria stellare: l'equinozio di primavera e quello autunnale si trovavano esattamente all'intersezione della Via Lattea col meridiano equinoziale, l'eclittica e l'equatore celeste. In quel periodo le due costellazioni che occupavano le posizioni equinoziali erano rispettivamente i Gemelli e il Sagittario.

A quel tempo la Via Lattea era considerata la dimora delle anime, che vi trascorrevano il tempo che intercorreva tra una reincarnazione e l'altra. Dopo la morte, l'anima del defunto per poter andare nella Via Lattea doveva attendere l'equinozio autunnale, quando il sorgere eliaco del Sagittario annunciava la Divina Congiunzione. La stessa anima, per potersi reincarnare, doveva rientrare nel mondo attraverso la porta costituita dai Gemelli. Le uniche anime non soggette a questa legge erano quelle elette del paradiso, situato tra le quattro stelle del quadrato del Pegaso.

Osservando la disposizione delle stelle del Sagittario, colpisce la vicinanza del cerchio della Corona Australe. Questa intimità stellare non era naturalmente sfuggita agli astronomi antichi, che l'avevano integrata nelle rappresentazioni del Sagittario. L'esempio più evidente fu quello del maggiore dio del pantheon assiro, padre supremo degli dei, re del cielo e della terra, Assur, il cui culto sopravvisse per almeno otto secoli alla distruzione di Ninive.

Rappresentato generalmente da una figura barbuta nel mezzo di un disco alato nell'atto di scagliare una freccia dal suo arco, Assur è scolpito nella maggioranza dei bassorilievi assiri. A volte al posto dell'arco regge in mano un cerchio. Le ali d'aquila denotano la regalità del dio ritratto nel cerchio fiammeggiante che ne enfatizza il carattere solare, mentre l'arco è espressione di potenza e dominio (il Sagittipotens di Cicerone), mentre il cerchio nella sua mano rappresentava il viaggio annuale del Sole, rappresentato astronomicamente dalla Corona Australe.

Più tardi Assur servirà da modello per il supremo dio dei Medi, Ahura Mazda, anch'egli ritratto nel disco alato e con il cerchio.

Narra un mito greco che Crono, marito di Rea, per eludere la gelosia di quest'ultima, si tramutò in cavallo e rapì la ninfa Filira ed ebbe da lei un figlio, il centauro Chirone. Questi, immortale per dono divino, era di carattere mite, molto dotto ed esperto di medicina. Eroi come Giasone ed Achille furono suoi allievi, e si narra che fu proprio Chirone ad inventare le costellazioni, per permettere agli Argonauti di utilizzare le stelle come riferimento durante il loro viaggio alla ricerca del Vello d'Oro. L'erba centaurea minore, Centaurium erythraea, dalle proprietà digestive, febbrifughe, depurative e Anti infiammatorie e componente aromatico fondamentale dei vermouth, prende il nome dal centauro buono Chirone.

Durante il combattimento con i giganti, Ercole accidentalmente si lasciò sfuggire una freccia che si conficcò nel ginocchio del suo maestro, provocandogli un irrimediabile e atroce dolore, perché le frecce erano intinte nel sangue avvelenato dell'Idra di Lerna. Tra mille sofferenze, Chirone si trascinò in una grotta, senza speranza di guarire né di morire. Implorò allora Zeus di revocargli il dono dell'immortalità e di restituire in cambio la libertà a Prometeo, che era stato condannato a rimanere incatenato in eterno nel Tartaro. Poco dopo la morte di Chirone, per onorarne la saggezza e la generosità, Zeus lo accolse nei cieli in forma di costellazione.

Una diversa versione del mito narra che Apollo aveva avuto un figlio, Asclepio, l'Esculapio romano dio della medicina, da Coronide, figlia del re di Tessaglia. Il giovane, affidato dal padre al centauro Chirone, imparò la medicina e anche il modo per resuscitare i morti: avendo ucciso un serpente, si avvide che un secondo rettile lo resuscitò mettendogli in bocca un'erba; capì allora l'importanza e le proprietà delle erbe medicamentose e imparò a servirsene per curare gli uomini, arrivando a sconfiggere la morte. (La costellazione del serpentario)

Zeus, intimorito per le conseguenze di tale potere, lo fulminò e Apollo per vendicarne la morte, trafisse i Ciclopi artefici delle saette di Zeus, con una freccia di grandezza smisurata. Poi la nascose nel tempio rotondo a lui dedicato, al centro della città degli Iperborei, popolo mitico collocato all'estremo nord, da dove soffia Borea. Era una freccia prodigiosa, che trasportò un iperboreo in un viaggio attorno al mondo, fornendogli anche gli alimenti per sopravvivere. Successivamente la freccia volò in cielo e dette forma alla costellazione del Sagittario.

Non tutti i venti erano favorevoli all'uomo, come ad esempio quelli derivati da Tifone, mostro capace con il soffio infuocato di portare scompiglio e distruzione. I più importanti venti che bisognava conoscere per garantirsi una tranquilla e facile navigazione si diceva fossero i figli di Astreo (il cielo stellato) e di Eos (l'Aurora) ed erano 4: Borea, considerato come il soffio stesso di Zeus, è un vento impetuoso che spira da nord con grande forza, particolarmente venerato dagli ateniesi, convinti che avesse provveduto con un tremendo uragano, a sgominare la flotta di Serse, il re persiano che minacciò la Grecia con una colossale spedizione; Noto, l'umido vento del sud, che porta piogge e rende difficoltosa la navigazione in certi periodi dell'anno; Zefiro da ovest, che aveva generato Xanto e Balio, ossia i due cavalli di Achille, era chiamato dai romani Favonio ed é particolarmente gradito perché annuncia la primavera e la bella stagione, favorendo la germinazione delle sementi e la ripresa della natura dal lungo sonno invernale; Euro, infine, che i romani chiamavano Volturno, soffia da sud-est e porta ora la siccità ora le piogge.

In una notizia rinvenuta in due iscrizioni cuneiformi, si evince che in Mesopotamia vi fu visto un cacciatore, immagine connessa con la protodivinità Nergal, l'iroso dio della guerra.

Nell'epica di Gilgamesh, Nergal è uno dei sette dei ai quali andavano sacrificati pecore e arieti. Il suo nome in sumero significa “Signore della Grande Abitazione” che poi sarebbe l'oltretomba. Si sono conservati solo pochi reperti che lo riguardano e la maggior parte sono pitture. Hammurabi, il grande legislatore vissuto nel XVIII secolo avanti Cristo, lo chiamò «Colui che non ha nemico in grado di sconfiggerlo». Nergal era anche visto come il dio delle piaghe e della distruzione.

Nergal è il prototipo del Sagittario, e quando fu selezionato il gruppo di 12 costellazioni che segnavano, nel terzo millennio avanti Cristo, il “Sentiero degli Dei”, il percorso apparente del Sole nel cielo, il Sagittario era una di loro.

Secondo alcuni mitografi rappresentava una creatura pronta a lanciare con l'arco dei semi di grano che, come frecce, si conficcavano nel terreno per poi germinare in spighe.

La costellazione del Sagittario copre ben 867 gradi quadrati, ed è tutta situata nell'emisfero australe, tra –12° e –45° di declinazione. Per questo alle nostre latitudini appare molto bassa sull'orizzonte e non è facilmente osservabile. Inoltre, essendo nei pressi dell'orizzonte, la sua visione viene schermata dagli strati più densi dell'atmosfera e viene disturbata dal forte inquinamento luminoso delle città.

Molte stelle portano nomi arabi, e la costellazione del Sagittario non è da meno, infatti i vari nomi identificano la porzione della costellazione che rappresentano:

a (alfa) è chiamata Rukbat al Rami, il ginocchio dell'arciere. Nonostante sia stata denominata con la prima lettera dell'alfabeto greco, questa non è la stella più brillante della costellazione, anzi si ritrova al quindicesimo posto. a è un astro di colore bianco azzurro distante da noi 200 anni luce.

b (beta) Arkab, tendine. In realtà si tratta di una doppia ottica le cui componenti sono denominate Beta 1 Sgr e Beta 2 Sgr, una stella bianco azzurra distante 220 anni luce ed una stella bianca distante 130 anni luce.

L'arco è delineato da tre stelle:

l (lambda) è Kaus borealis, la parte nord dell'arco;

d (delta) è Kaus meridionalis, una gigante arancio distante 98 anni luce, è la parte centrale dell'arco;

ed infine e (epsilon) è Kaus australis, una stella bianco azzurra distante 85 anni luce, la parte sud dell'arco. e ( epsilon) è la stella più brillante del Sagittario ed è la 35ª stella più brillante in assoluto dell'intero cielo.

La punta della freccia è g (gamma), Al Nasl, la punta. È una gigante gialla distante 120 anni luce.

Mentre l'asterisma dell'arco è abbastanza riconoscibile, richiede molta immaginazione vedere l'essere biforme mentre lo tende e (forse!) può aiutare il sapere che z (zeta) è chiamata Ascella mentre n (ni) è Ain al Rami, l'occhio dell'arciere.

Alle nostre latitudini è molto più semplice notare la caratteristica “teiera”, la parte centrale della costellazione, la sola parte che è ben visibile. La base della teiera è formata da z (zeta) e da e (epsilon). Il coperchio da j (fi), Albaldah, l (lambda) e d (delta). Il beccuccio da g (gamma), Nash, ed infine il manico da s (sigma), chiamato Nunki, “di Enki” il dio sumero delle acque, e da t (tau).

s (sigma) è la 49ª stella più brillante visibile dalla Terra.

L'area occupata dal Sagittario è anche chiamata dagli astrofili “il Campo dei Miracoli”, per l'incredibile numero di oggetti meravigliosi in essa contenuti, dato che in questa costellazione si trova il centro della Galassia, e quindi i campi stellari sono particolarmente ricchi. Si ritiene che il centro della nostra Galassia si trovi a circa 29.000 anni luce da noi. Il Sole orbita intorno a questo “punto” in 200 milioni di anni ad una velocità di 220 chilometri al secondo! Pare che il centro della Via Lattea sia contrassegnato da una sorgente di onde radio e infrarosse, chiamata Sagittarius A, vicino al confine con Scorpius.

Sono notissime, in particolare, alcune bellissime nebulose, come M 8 (NGC 6523) o “nebulosa Laguna”, una nebulosa di emissione visibile ad occhio nudo come una macchia lattiginosa situata nella zona orientale del Sagittario. Nelle nebulose di emissione si riscontrano processi a livello atomico per cui la luce emessa deriva da una diseccitazione elettronica. Si ritiene che siano stelle calde giovani, spesso di tipo O, che emettono grandi quantità di energia nel violetto a ionizzare l'idrogeno. La denominazione Laguna deriva da un canale (il Canal Grande?) di materia oscura che pare dividerla a metà. William Herschel ha scritto nel 1785 «Un'estesa nebulosità lattescente divisa in due parti, con quella nord più marcata e la parte meridionale è seguita da un gruppo di stelle». Nel 1764 Charles Messier la descrisse così: «Un ammasso che appare simile ad una nebulosa... ma in un buon strumento è possibile osservare unicamente un gran numero di piccole stelle. Una stella abbastanza brillante situata nelle immediate vicinanze è circondata da un chiarore molto debole, 9 Sagittarii». Tale stella è la diretta responsabile dell'eccitazione dell'idrogeno che costituisce la nebulosa.

Alla struttura gassosa della nebulosa è connesso un ammasso stellare aperto, NGC 6530, le cui stelle sono collegate a ciuffi di gas e polveri, come nelle Pleiadi. Questo oggetto è quindi molto giovane, (solo pochi milioni di anni) e al suo interno si stanno sviluppando nuove stelle, cosa testimoniata dalla presenza dei Globuli di Bok. L'astronomo americano Bart Bok ha ipotizzato che questi globuli rappresentino la fase intermedia tra l'inizio del collasso gravitazionale che porta alla formazione di una stella e l'accensione delle prime reazioni nucleari nella protostella. La densità di gas e polveri cresce con il procedere del collasso e rende opaco alla radiazione il Globulo di Bok, ed è per questo che appare, sulle lastre fotografiche, come un punto oscuro sopra il fondo luminoso delle regioni di idrogeno ionizzato.

M 20 (NGC 6514), la “nebulosa Trifida”, è una nebulosa diffusa e di emissione al tempo stesso, all'interno della quale avviene un fenomeno di diffusione della luce di qualche stella da parte del pulviscolo. In generale quando il pulviscolo è abbondante, si giunge alla nebulose oscure, come la famosa Testa di Cavallo in Orione. Fu denominata Trifida da Herschel perché attraverso i telescopi del 1700 appariva come una massa nebulare divisa in tre parti uguali da un solco scuro a forma di Y. La regione centrale ospita un sistema centrale sestuplo che pare costituire la sorgente principale della radiazione proveniente dalla nebulosa. M 20 può essere distinta in due regioni in base al colore: al centro osserviamo un vivace colore rosso, tipico delle nubi incandescenti di idrogeno ionizzato; l'esterno, che appare di colore blu, è invece costituita da polveri che disperdono la luce delle giovani stelle giovani retrostanti.

M 17 (NGC 6618) è la “nebulosa Omega”, chiamata anche “Ferro di Cavallo”. Essa assomiglia alla coda di una cometa: una brillante traccia di luce diffusa con un piccolo uncino al di sopra. Dista da noi circa 5.000 anni luce.

In questa costellazione sono apparse numerose novae (stelle vecchie che manifestano un improvviso e cospicuo aumento di luminosità, fino a 10.000 volte, diventando perciò osservabili anche ad occhio nudo, per poi tornare, in 2-6 anni, alla luminosità originaria), tra le quali una, apparsa nel 1936 e ora denominata V630 Sgr. La ricorrenza di questi fenomeni in una stella è di uno ogni 15-80 anni.

Il Sagittario contiene anche una delle parti più luminose della Via Lattea, chiamata “la Nube Stellare del Sagittario” e composta da milioni di stelle la cui luce si mescola sino a creare l'effetto di questa immensa nube brillante. Inoltre, dietro di essa, si trova il centro della nostra Galassia.
È la costellazione che contiene più oggetti di Messier in assoluto, oltre alle splendide nebulose,
M 69 (NGC 6637), M 54 (NGC 6715), M 55 (NGC 6809), M 70 (NGC 6681), M 28 (NGC 6626), M 75 (NGC 6874), M 22 (NGC 6656) sono tutti ammassi globulari che circondano il nucleo galattico.

M 22, in particolare, è tra i più grandi ammassi globulari conosciuti, con più di mezzo milione di stelle, ed è il terzo in ordine di luminosità apparente, grazie anche alla sua relativa vicinanza, solo 9.600 anni luce.

Entro i confini della costellazione del Sagittario è presente anche una galassia, NGC 6822, ma meglio conosciuta come “galassia di Barnard”, dal nome del suo scopritore, E.E. Barnard, il quale la osservò per la prima volta nel 1884. È una galassia nana irregolare distante da noi 1,7 milioni di anni luce che appartiene al Gruppo Locale.

Per terminare, anche un eroe come Ercole ebbe a che fare con un centauro (non proprio magnanimo, visto che ne causò postumo la morte!), subito dopo aver portato a termine le famose 12 fatiche.

Arrivati ad un corso d'acqua in piena, Ercole e la moglie Deianira incontrarono il centauro Nesso, che si offrì di traghettarli sulla riva opposta portandoli sulla schiena.

Ercole non ebbe bisogno di tale aiuto e, lanciati sull'altra riva la clava e la pelle di leone, nuotò agilmente nelle tumultuose acque del fiume, affidando la moglie a Nesso. Il centauro, infiammato dalla bellezza della donna, cercò di rapirla, ma lei gridò facendo accorrere Ercole che uccise Nesso con una freccia avvelenata. Negli spasmi dell'agonia, il vendicativo essere sussurrò a Deianira di inzuppare un vestito nel suo sangue, e che quell'abito magico avrebbe rinverdito, alla bisogna, l'amore di Ercole per lei. Ercole concluse le sue fatiche ottenendo rivincite su quelli che nel passato gli avevano recato danno: fra essi il re Eurito, che egli riuscì a sgominare e uccidere, prendendo la figlia Iole, sua antica fiamma, come prigioniera. Quando Deianira lo seppe, venne presa dalla gelosia e decise di mettere in pratica l'incantesimo che le aveva rivelato il centauro morente, senza sospettare che in realtà il sangue del centauro era avvelenato dalla freccia che Ercole stesso aveva scagliato. Deianira gli inviò la veste e l'eroe la indossò per celebrare i riti del ringraziamento per la vittoria.

Non appena il fuoco acceso sull'altare ebbe riscaldato il veleno con cui il vestito era intriso, un dolore bruciante gli entrò fin nelle vene, ed egli, impotente per la prima volta nella vita, capì che la sua ora era ormai giunta e con le ultime residue forze, divelse tre alberi e costruì una pira funeraria: «Era, ecco la tua vendetta: ora donami, matrigna, la pietosa morte!».

Con queste ultime parole Ercole si apprestò a morire tra le fiamme che si andavano alzando intorno a lui, mentre una terribile tempesta scuoteva il cielo con lampi e tuoni e Pallade Atena scendeva per trasportare il semidio verso l'Olimpo. Qui persino la vendicativa Era rinunciò al suo astio e lo accolse con i dovuti onori, dandogli addirittura come compagna la figlia Ebe, dea della giovinezza.

 

Non è sufficiente camminare passo dopo passo
sulla via che porterà un giorno alla meta.
È necessario che ognuno di questi passi sia la meta
e che ognuno di questi passi abbia un valore.
GOETHE

 

Monografia n.94-2003/11


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