I grandi astronomi del passato: Edmond Halley
di Marco Marchetti


Ritratto di Edmond Halley

PROLOGO

Una notte di moltissimi anni fa apparve per la prima volta nei cieli terrestri una bellissima cometa.

Non sappiamo con precisione quando ciò accadde; forse ai tempi dell’Uomo dello Hauslabjoch (meglio noto come mummia del Similaun) vissuto in epoca tardo-neolitica oppure ai tempi dello scioglimento dei ghiacci depositatisi durante l’ultima glaciazione oppure in epoche ancora più antiche, quando l’Europa era dominata dall’Uomo di Neanderthal.

La cometa era sicuramente luminosissima e occupava gran parte del cielo; la sua eccezionale luminosità si deve al fatto che era una cometa giovane che si avventurava per la prima volta nelle regioni più interne del sistema solare. La sua presenza in cielo suscitò stupore, ammirazione e anche timore fra gli uomini; probabilmente qualche antico sacerdote o sciamano ne approfittò per incutere terrore e per predire sventure e cataclismi di ogni genere (come avviene puntualmente anche oggigiorno).

La cometa era ovviamente indifferente alle vicende umane; arrivò quasi alla chetichella, raggiunse il punto più vicino alla Terra dove si mostrò in tutto il suo splendore, fece il suo giro di valzer attorno al Sole dopodiché se ne tornò dove era venuta senza lasciare traccia.

Non era la prima volta che una cometa si affacciava nei cieli del nostro pianeta. Prima di lei ne erano giunte a milioni e dopo di lei ne sarebbero arrivate altre migliaia ma quella cometa era differente da tutte le altre poiché da allora, ogni settantasei anni, sarebbe tornata a far visita alla Terra.

Puntualissima la cometa non mancò un appuntamento e fu testimone del sorgere della nostra civiltà. Infatti fu vista dagli antichi astronomi cinesi, mediorientali, greci, romani, medioevali e moderni; però gli uomini non sapevano che la cometa era sempre la stessa e tutte le volte veniva scambiata per una cometa diversa. Questo stato di cose durò fino agli inizi del 1700 quando un grande astronomo inglese si accorse che le comete apparse nel 1531, 1607 e 1682 erano molto simili; questo signore si convinse che la cometa era una sola che periodicamente visitava la Terra e ne predisse il ritorno per il 1758.

La cometa non mancò l’appuntamento più importante e nel 1758, puntuale come un orologio svizzero, fece il suo ritorno illuminando la tomba del grande scienziato ormai morto da sedici anni.

Questo grande astronomo si chiamava Edmond Halley e la cometa prese il suo nome; da allora è universalmente nota come cometa di Halley.

 

LA VITA

Edmond Halley è considerato il più grande astronomo inglese; tuttavia i suoi interessi non si limitarono alla nobile scienza del cielo ma spaziarono nel campo della matematica, della fisica, della fisica terrestre e della meteorologia.

Nacque ad Haggerston, un sobborgo di Londra, il 29 ottobre 1656 da una famiglia molto agiata; il padre infatti era un ricco commerciante proprietario di molti fabbricati. A sedici anni perse la madre e contemporaneamente si iscrisse all’Università di Oxford che però abbandonò nel 1676, prima del conseguimento della laurea, per imbarcarsi sulla Unity, nave della compagnia inglese delle Indie Orientali, diretta all’isola di Sant’Elena situata nell’Atlantico meridionale a 2.000 chilometri dalle coste africane. Il giovane Halley aveva in mente la compilazione di un catalogo della posizione e luminosità delle stelle principali del cielo australe. La permanenza sulla sperduta isola durò circa un anno durante il quale l’appena ventenne Halley misurò la posizione di più di trecento stelle, effettuò osservazioni accurate della Luna e osservò il transito di Mercurio sul disco solare. Nel 1678 tornò in patria e presentò i risultati delle sue osservazioni: l’accoglienza fu trionfale e John Flamsteed (1646 - 1719), allora primo astronomo reale e direttore del Reale Osservatorio di Greenwhich che conosceva Halley poiché lo aveva avuto come assistente durante gli anni dell’università, lo definì un novello Thyco. Da notare anche l’astuzia politica del giovane; infatti utilizzando alcune stelle australi inventò una nuova costellazione in onore del re Carlo II il quale spinse per fargli ottenere la laurea nonostante non fossero stati superati tutti gli esami necessari. E così, a soli 22 anni, Edmond Halley era già famoso ed affermato.

La seconda parte del resoconto della spedizione scientifica a Sant’Elena verrà pubblicata nel 1686. Essa comprende un saggio ed una carta sui monsoni e sugli alisei, la relazione fra pressione atmosferica e altezza sul livello del mare e la spiegazione dei moti atmosferici causati dal riscaldamento solare.

Nel 1682 prese moglie e si stabilì in una casa ad Islington dove fu allestito un osservatorio privato. Qui effettuò osservazioni della Luna, di Saturno e dei suoi satelliti, scoprì il moto proprio delle stelle (confrontando le loro posizioni con quelle misurate dagli astronomi greci e sottraendo il contributo della precessione) e ideò un metodo per calcolare la distanza Terra-Sole a partire dalle osservazioni del transito di Venere sul disco solare. Per quanto riguarda la fisica terrestre Halley compì studi sulle maree e sul magnetismo terrestre scoprendo la differenza fra polo geografico e polo magnetico. È proprio in questo periodo che iniziò la vicenda, di cui parleremo meglio in seguito, che legherà per sempre il suo nome alla cometa più famosa.

Nel 1698, dopo avere conseguito il titolo di Capitano della Royal Navy, Halley ottenne il comando di un piccolo vascello a bordo del quale effettuò tutta una serie di osservazioni dei venti e delle declinazioni magnetiche di una vasta porzione dell’Oceano Atlantico; il risultato di tutte queste misurazioni fu la stesura della prima mappa magnetica dell’Oceano Atlantico.

Nel 1703 gli venne assegnata la cattedra Savilliana di geometria ad Oxford, nel 1710 ottenne la laurea ad honorem in legge e nel 1720 successe a Flamsteed nella carica di primo astronomo reale a Greenwhich, un incarico che ricoprì fino alla morte avvenuta nella medesima località il 14 gennaio 1742.

Tuttavia la figura di Edmond Halley passerà alla storia soprattutto grazie alla cometa che porta il suo nome.

 

L’EPOCA STORICA

Verso la fine del 1600 l’astronomia era una scienza in pieno fermento; il vecchio modello tolemaico con la Terra al centro del sistema solare era stato abbandonato grazie all’opera di uomini del calibro di Niccolò Copernico (1473 - 1543), Thyco Brahe (1546 - 1601), Giovanni Keplero (1571 - 1630), Galileo Galilei (1564 - 1642) ed erano state poste le basi dell’astronomia moderna. Su queste fondamenta un’altra generazione di astronomi aveva iniziato a costruire le possenti mura di un edificio che ancora oggi gode di ottima salute.

Copernico aveva spodestato la Terra dalla posizione privilegiata che le era stata assegnata dalle antiche teorie e, al suo posto, aveva messo il Sole. Giovanni Keplero, dopo più di vent’anni di studi sulle posizioni dei pianeti raccolte scrupolosamente dal suo maestro Thyco Brahe, scoprì che le posizioni e i movimenti attorno al Sole dei cinque pianeti allora conosciuti non sono frutto del caso ma obbediscono a tre semplici regolette. Queste regole, note con il nome di Leggi di Keplero, sono le seguenti:

La prima legge ci indica la forma dell’orbita che un pianeta percorre intorno al Sole. L’orbita non è una circonferenza come credeva Copernico bensì un ellisse; il Sole non giace nel centro dell’ellisse ma si trova in corrispondenza di uno dei due fuochi.

La seconda legge è una maniera molto elegante per dire che il pianeta quando si trova più vicino al Sole si muove più velocemente di quanto non faccia quando si trova più lontano.

La terza legge afferma che, detto A il semiasse maggiore dell’orbita e P il periodo di rivoluzione intorno al Sole:

A3 / P2 = K

dove K è una costante valida per tutti i pianeti. Questa legge è importantissima; infatti i periodi di rivoluzione dei pianeti attorno al Sole sono molto facili da misurare cosicché è sufficiente conoscere la distanza di un singolo pianeta (per esempio la Terra) dal Sole per calcolare immediatamente le distanze dal Sole di tutti gli altri pianeti. E se non conosciamo la distanza dal Sole di alcun pianeta niente paura: possiamo porre la distanza Terra-Sole uguale ad 1 e costruire un modello del sistema solare comunque in scala.

Per importanti che siano, le leggi di Keplero forniscono solamente una descrizione del movimento dei pianeti intorno al Sole ma non ci danno alcuna indicazione del perché i pianeti si muovono in quel modo. Ad ogni modo Keplero & company avevano già fatto abbastanza: ora, come accennato in precedenza, c’era un’altra generazione di astronomi che stava lavorando su questo e su altri problemi.

Edmond Halley era uno di questi.

Sul fronte cometario le cose erano molto meno definite. L’antica visione aristotelica, che indicava le comete come fenomeni meteorologici, aveva subito il primo durissimo colpo nel 1577. In quell’anno apparve nei cieli terrestri una luminosissima cometa che fu osservata e studiata in tutto il mondo; il 13 novembre fu notata per la prima volta da Thyco Brahe il quale la seguì fino a tutto il gennaio dell’anno successivo. Thyco cercò in tutti i modi di misurare la parallasse della cometa, di modo da poterne calcolare la distanza, ma non riuscì ad ottenere alcun valore; conoscendo il margine di errore dei propri strumenti Thyco ne dedusse che la cometa doveva avere una parallasse talmente piccola che la collocava ad una distanza almeno sei volte maggiore di quella della Luna.

Keplero era ancora in tenera età quando sua madre lo portò su un’altura per osservare la cometa del 1577; rimase molto impressionato e da adulto studiò in maniera approfondita l’argomento. Secondo Keplero le comete non sono eterne poiché la coda si genera sotto l’azione dei raggi del Sole che disperde le particelle della testa (un’ipotesi incredibilmente moderna e vicina a quella reale); per quanto riguarda le orbite Keplero riteneva che fossero rettilinee in disaccordo con Thyco Brahe che aveva assegnato alla cometa del 1577 un’orbita circolare.

Dello stesso parere fu, in un primo momento, anche Johannes Hevelius (1611 - 1687), grande studioso del cielo e di comete. In gioventù, ligio all’ortodossia aristotelica, Hevelius riteneva che le comete fossero fenomeni atmosferici; poi ebbe la stessa esperienza di Thyco Brahe: cercò, serza riuscirci, di misurare la parallasse della cometa del 1652, la prima da lui osservata e si convinse che doveva trovarsi ad una distanza molto maggiore di quella della Luna. Da osservazioni successive dedusse che le orbite non potevano essere circolari ma dovevano essere rettilinee dopodiche arrivò a considerare l’ipotesi che le traiettorie avrebbero potuto incurvarsi in prossimità del Sole fino ad ammettere che le orbite avrebbero pututo essere paraboliche.

Infine nel 1680 apparve un’altra bellissima cometa e G. S. Dorffel, un pastore protestante di Plauen in Sassonia, ne calcolò l’orbita identificandola con una parabola con il Sole in corrispondenza del suo fuoco.

Ed è a questo punto che si inserisce la figura di Edmond Halley accanto a quella di un altro straordinario personaggio.

 

HALLEY E NEWTON

Verrà un uomo, un giorno, che spiegherà in quali regioni
corrono le comete, perché si stacchino tanto dagli altri
astri, quali siano la loro grandezza e la loro natura.
Seneca (4 a.C. circa - 65 d.C.)

Quest’uomo visse 1600 anni dopo Seneca e si chiamava Isaac Newton (1642 - 1727). Vide la luce nel castello di Woolsthorpe, in Inghilterra, il giorno di Natale del 1642 a meno di un anno dalla morte di Galileo e a poco più di dodici da quella di Keplero. Nacque prematuro e aveva un aspetto così gracile che nessuno avrebbe scommesso una lira sulla sua sopravvivenza; smentendo ogni più ottimistica previsione visse fino a 85 anni (che per quei tempi era un vero record) ed è considerato una delle menti più geniali che il genere umano abbia partorito.

Per la nostra storia gli anni 1665 e 1666 furono di cruciale importanza; per sfuggire ad una pestilenza il giovane Newton si rifugiò nel suo luogo natale e qui cominciò a meditare sulla terza legge di Keplero. Grazie ai poderosi strumenti matematici da lui stesso introdotti (il calcolo differenziale e integrale) Newton dimostrò, usando le sue stesse parole, «che le forze che mantengono i pianeti delle loro orbite devono variare come gli inversi dei quadrati delle distanze dai centri attorno ai quali essi ruotano».

Da qui l’idea di base della teoria della gravitazione universale, il capolavoro di Newton: esiste una forza universale che attrae tutti i corpi; in particolare la forza che attrae due corpi è direttamente proporzionale al prodotto delle loro masse e inversamente proporzionale al quadrato della distanza che li separa. In termini matematici dati due corpi di masse M1 e M2, posti ad una distanza R, la forza F che li attrae è pari a:

F = G M1 M2 / R2

dove G è una costante.

Le tre leggi di Keplero si possono ricavare per deduzione da questa formidabile teoria.

Nel gennaio 1684 Halley stava affrontando lo stesso problema con cui aveva avuto a che fare Newton a suo tempo; ragionando sulla terza legge di Keplero, Halley era giunto alla conclusione che la forza che governa i movimenti dei pianeti doveva variare con l’inverso del quadrato della distanza con il centro del moto ma non era riuscito a dimostrarlo. Qualche giorno dopo, durante una conversazione con gli amici Robert Hooke (matematico e astronomo 1635 - 1703) e Christopher Wren (astronomo e architetto 1632 - 1723), sentì riferire da Hooke che lui possedeva quella dimostrazione che però si rifiutava ostinatamente di mostrare. Allora Wren per calmare gli animi, visto che la discussione si stava scaldando, promise in regalo un libro del valore di 40 scellini al primo che avesse fornito quella benedetta dimostrazione entro due mesi. Nessuno dei due si presentò a ritirare il premio.

Nell’agosto dello stesso anno Halley fece visita a Newton a Cambridge e gli sottopose il quesito. Alla precisa domanda di quale orbita avrebbe percorso un pianeta se fosse attratto dal Sole con una forza che varia come l’inverso del quadrato della distanza, Newton rispose prontamente "un’ellisse" e quando Halley gli chiese come facesse ad esserne così sicuro Newton rispose «l’ho dimostrato quasi vent’anni fa». Eccitatissimo Halley gli chiese di vedere la dimostrazione conscio che l’importanza di questa scoperta andava ben oltre il premio di Wren ma Newton l’aveva persa. I due si lasciarono con la promessa di Newton di ricostruire la dimostrazione e di inviarla quanto prima ad Halley.

Qualche tempo dopo ciò che Halley si vide recapitare era ben più di una semplice dimostrazione; il documento, oggi noto con il titolo "De Motu", era una nuova e potentissima teoria della gravitazione in grado di rendere conto non solo del movimento dei pianeti ma anche quello della Luna, delle mele che cadono e delle traiettorie dei proiettili. Il "De Motu" era l’anteprima della teoria della gravitazione universale.

Al colmo dell’eccitazione Halley convinse Newton a formalizzare e rendere pubbliche le sue teorie; nacquero così i Principia, l’opera fondamentale di Newton il cui titolo esatto è Philosophiae Naturalis Principia Mathematica, pubblicati interamente a spese di Halley il quale curò anche la revisione delle bozze e il controllo dei calcoli.

Per quanto riguarda le comete, fino al 1684 anche Newton pensava che percorressero traiettorie rettilinee; per spiegare lo strano (almeno in apparenza) comportamento della cometa del 1680, visibile prima durante la sera e poi durante il mattino, Newton, come molti altri, sosteneva che si trattava di due comete distinte.

Ciò indica che non riteneva ancora la forza di gravità come universale visto che le comete non ne erano influenzate. Nel "De Motu" ammette la possibilità di orbite curve mentre nei "Principia" la visione è decisamente moderna. Nel capitolo dedicato alle comete Newton dimostra che l’orbita di una cometa può essere un’ellisse (analogamente ai pianeti) ma anche una parabola o un’iperbole all’interno della quale il Sole occupa uno dei fuochi; in altre parole viene generalizzata la prima legge di Keplero. Le comete entrano così ufficialmente a far parte del sistema solare.

Nel tratto di orbita in corrispondenza del Sole le tre curve praticamente coincidono; sfruttando questo fatto Newton suggerì un metodo per il calcolo dell’orbita. A partire da tre osservazioni si calcola un’orbita provvisoria di tipo parabolico (questa scelta semplifica i calcoli); a partire da questa orbita provvisoria si segue la cometa e a partire dalle successive osservazioni si determina l’orbita reale. Questo metodo fu utilizzato la prima volta a posteriori per la cometa del 1680 e indicò che questa cometa aveva un’orbita parabolica.

 

LA PREVISIONE ED IL RITORNO

Mi raccomando di procurare per me ciò che osservò Mr. Flamsteed della
cometa del 1682 soprattutto nel mese di settembre, perché io sono sempre più convinto
che al momento attuale abbiamo visto quella cometa tre volte, fin dall’anno 1531 …

Edmond Halley, 28 settembre 1695
Lettera a Issac Newton

Nel frattempo, verso la fine di agosto del 1682, era stata avvistata una nuova cometa. Fu osservata e studiata da diversi astronomi in tutta Europa ma i dati migliori furono quelli raccolti a Greenwhich da Flamsteed che la seguì fino alla fine di settembre.

La vide anche Halley che in seguito ne calcolò gli elementi orbitali con il metodo suggerito da Newton e cominciò a sospettare fortemente che la cometa in passato aveva già fatto visita alla Terra. Ciò accadeva nel 1695; purtroppo Halley non potè completare rapidamente i suoi studi poiché nel 1696 Newton lo volle accanto a sé alla Zecca per la riforma monetaria inglese, nel 1698 si imbarcò sulla Paramour per il già citato viaggio in lungo e in largo per l’oceano Atlantico, nel 1701 si imbarcò per una esplorazione dettagliata della Manica e nel 1702 fu spedito prima a Trieste, poi a Osnaburg, Hannover e Vienna.

Ritornò fra le mura di casa solo nel 1703 e potè completare i suoi studi sulla cometa del 1682 che furono presentati alla Royal Society nel 1705. Spiccano in queste pagine i calcoli per la ricostruzione dell’orbita di 24 comete apparse fra il 1337 e il 1698 e il forte sospetto avuto in passato si trasformò in certezza. Le comete apparse nel 1531, 1607 e 1682 hanno caratteristiche orbitali molto simili e sono quasi certamente un’unica cometa che periodicamente torna a illuminare i cieli terrestri. Halley fece di più: ne previde il ritorno per la fine del 1758 o l’inizio del 1759 e invitò i futuri astronomi a cercarla per quella data.

La notte di Natale del 1758 Johann Palitzsch (1723 - 1788), un agricoltore appassionato di astronomia di una località vicino a Dresda, vide attraverso il suo telescopio un piccolo batuffolo luminoso che giorno dopo giorno si spostava sullo sfondo del cielo stellato e aumentava di luminosità.

La cometa era tornata. Le osservazioni successive da cui furono dedotte le caratteristiche orbitali fugarono ogni dubbio in proposito: Halley aveva ragione. La cometa era la stessa del 1531, osservata da Pietro Apiano (1495 - 1552), del 1607, osservata da Keplero e Christian Longomontano (1562 - 1647), e del 1682, osservata dallo stesso Halley.

Un trionfo della scienza, in particolare di Newton, della sua teoria della gravitazione universale e di tutti coloro che avevano creduto in essa. Per i protagonisti principali fu un riconoscimento purtroppo postumo poiché Halley e Newton erano ormai scomparsi da tempo.

 

LA COMETA DI HALLEY

Ovviamente non è possibile chiudere il discorso senza un breve accenno alla protagonista femminile del nostro racconto. Sull’argomento è stato scritto moltissimo e non è questa la sede per un discorso approfondito.

Il primo passaggio di cui si ha una certa sicurezza risale al 240 a.C.; nelle antiche cronache cinesi vi sono indizi di passaggi ancora più antichi (soprattutto nel 466 a.C. e nel 1057 a.C.) ma non vi è nulla di certo.

 

Famosissimo il passaggio del 1301 al quale Giotto si ispirò per la cometa apposta nel suo affresco riguardante la Natività all’interno della Cappella degli Scrovegni a Padova.

 

Molto importanti i passaggi del 1835 e del 1910 durante i quali la cometa fu osservata e studiata con tecniche ormai moderne; durante quest’ultimo transito la Terra fu investita dalla coda della cometa e la pubblicazione di questa notizia senza le dovute precauzioni scatenò un’ondata di paura e terrore fra le popolazioni che temevano di morire soffocate dalle presunte esalazioni venefiche sprigionate dalla cometa.

Molto deludente il passaggio del 1986 (l’ultimo), probabilmente il transito più sfortunato da duemila anni a questa parte; la cometa passò lontanissima dalla Terra e, nel nostro emisfero, raggiunse a malapena la visibilità ad occhio nudo.
Il sottoscritto la osservò per la prima volta al telescopio il 14 novembre 1986 quando era ancora di settima magnitudine (ben al di sotto della visibilità ad occhio nudo); poì seguì un lungo periodo di cieli nuvolosi e coperti e quando finalmente tornò il sereno fu un’emozione fortissima vederla con l’ausilio di un modesto binocolo nella costellazione dell’acquario in corrispondenza di una tripletta di stelline che sembravano il profilo di una piccola corona.

Durante il prossimo passaggio le cose andranno sicuramente meglio; arrivederci quindi al 2062.

 

Monografia n.107-2006/4


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