MACCHIE SOLARI E CLIMA
di Marco Marchetti

 

Sono circa a diciotto mesi, che riguardando con l'occhiale nel corpo del Sole, quando era vicino al suo tramontare, scorsi in esso alcune macchie assai oscure; e ritornando più volte alla medesima osservazione, mi accorsi come quelle andavano mutando sito, e che non sempre si vedevano le medesime, o nel medesimo ordine disposte, e che talvolta ve n'eran molte, altre volte poche, e tal ora nessuna. Feci ad alcuni miei amici vedere tale stravaganza, e pur l'anno passato in Roma le mostrai a molti prelati e altri uomini di lettere; di li fu sparso il grido per diverse parti d'Europa, e da quattro mesi in qua mi sono state mandate da vari luoghi varie osservazioni disegnate, e in particolare tre lettere circa a questo argomento scritte al Sig.re Marco Velsero d'Augusta
Galileo Galilei, lettera scritta da Firenze il 2 Giugno 1612 a Maffeo Barberini (futuro papa Urbano VI)

 

APPENDICE A - La fusione nucleare
APPENDICE B - Il numero di Wolf
APPENDICE C - Variazioni dell&rsquoattività solare

 

PROLOGO

Gli anni a cavallo del 1610 furono fondamentali per il progresso umano in generale e scientifico in particolare.

Il grande scienziato italiano Galileo Galilei (1564 - 1642) aveva appreso che due vetrai olandesi avevano fatto una curiosa scoperta: applicando due lenti alle estremità di un tubo erano riusciti ad ottenere un occhiale che ingrandiva gli oggetti sui quali veniva puntato. Conscio dell’importanza che uno strumento simile avrebbe potuto avere nello studio dei corpi celesti, Galileo ne costruì uno simile e si apprestò a puntarlo in direzione del cielo stellato.

Ricordiamo che in quegli anni la scena astronomica era dominata dalla teoria tolemaica che sosteneva la centralità della Terra all’interno dell’universo (che a quei tempi si limitava all’attuale sistema solare fino a Saturno).
Questa teoria, però, dopo venti secoli di predominio assoluto veniva fortemente messa in dubbio da una nuova concezione del cosmo che scalzava la Terra da quella posizione privilegiata e la sostituiva con il Sole, relegando il nostro pianeta ad un ruolo subalterno.
Questa nuova visione del mondo era il frutto dell’opera di Niccolò Copernico (1473 - 1543) ed aveva il pregio di spiegare il comportamento dei corpi celesti in maniera molto più semplice, precisa e raffinata di quanto facesse la teoria di Tolomeo (100 - 170 circa); Galileo era un convinto ed accanito sostenitore di Copernico.

Questa era la situazione quando, durante l’inverno fra il 1609 e il 1610, Galileo cominciò le sue prime storiche osservazioni; probabilmente non immaginò neppure lontanamente che un nuovo universo stava per spalancare le porte davanti ai suoi occhi.

La qualità delle ottiche utilizzate era talmente primitiva che oggi, nell’epoca delle camere CCD e dei grandi specchi lavorati con precisioni micrometriche, ci fa tenerezza ma fu sufficiente a mostrare le caratteristiche principali della superficie lunare, le fasi di Venere, i particolari più evidenti della superficie di Giove e i quattro satelliti principali che gli orbitano attorno e la miriade di stelle invisibili ad occhio nudo la cui luce si confonde dando origine a quella striscia luminosa che attraversa il cielo e che da tempo immemorabile è conosciuta con il nome di Via Lattea.

Galileo non si dimenticò ovviamente del Sole; con molte difficoltà riuscì ad osservarlo durante il tramonto quando la sua luce è molto meno intensa (ma non meno pericolosa per la vista) e scoprì che sulla sua superficie, ad occhio nudo immacolata, erano presenti alcune macchie scure di varie forme e dimensioni le quali, con il passare dei giorni, potevano cambiare aspetto e posizione sul disco della nostra stella.

Altro che perfezione e immutabilità dei cieli come sosteneva Aristotele!

Questo fu l’inizio di una vera e propria rivoluzione scientifica (ma anche l’inizio dei guai che il grande astronomo ebbe con la Santa Inquisizione). Galileo non sapeva che le macchie del Sole, o macchie solari, erano già state osservate e studiate da svariati secoli dagli antichi astronomi cinesi poiché quelle più grandi raggiungono la visibilità ad occhio nudo.

Infatti in un documento cinese risalente al 28 a.C. si narra dell’osservazione di una macchia solare che viene descritta come &ldquoun vapore nero grande come una moneta&rdquo. La macchia in questione dovette essere veramente grande; stime attuali indicano un diametro di circa 40 mila chilometri (ricordiamo che il diametro della Terra si aggira intorno ai 12 mila e 700 chilometri.

Oggi la visione delle macchie solari è alla portata, con le dovute precauzioni (non ci si stancherà mai di ripeterlo), di un qualsiasi strumento amatoriale.

 

IL SOLE

Il Sole è una stella medio-piccola molto comune di colore giallo posizionata a circa 30 mila anni luce dal centro una galassia a spirale altrettanto comune.
Il Sole è la stella a noi più vicina ed è indubbiamente l’astro più importante per quanto riguarda la vita presente sul nostro pianeta; senza la sua luce e il suo calore la vita, come noi la conosciamo, sarebbe impossibile. Anche la civiltà tecnologica umana è in forte debito verso il Sole; infatti la maggior parte dell’energia consumata oggi dall’uomo è energia di origine solare convertita.

Il Sole può essere immaginato come una gigantesca sfera di gas con un diametro che si aggira intorno al milione e 400 mila chilometri. Nella sua parte centrale (dove la temperatura raggiunge valori pari a quindici milioni di gradi) avviene la produzione di quell’immensa quantità di energia che consente alla nostra stella di illuminare e scaldare il sistema solare da quattro miliardi e seicento milioni di anni; il meccanismo è quello della fusione nucleare, lo stesso che sta alla base del funzionamento di una bomba H. In altre parole il Sole è un gigantesco reattore a fusione nucleare.

Procedendo dal nucleo verso l’esterno incontriamo una zona in cui l’energia viene trasmessa per irraggiamento (zona radiativa) seguita da una in cui l’energia viene trasferita per convezione (zona convettiva); a questo punto troviamo la fotosfera che è la regione visibile del Sole, la zona in cui i gas cessano di essere trasparenti alla radiazione. Al di sopra della fotosfera trova posto la cromosfera, un sottile strato di gas dove hanno origine le protuberanze solari (gigantesche eruzioni di gas con dimensioni di decine di migliaia di chilometri) dopo di che si estende la corona, una regione caldissima che rappresenta la parte più esterna dell’atmosfera solare. Dalla corona si sprigiona il cosiddetto vento solare, un flusso di particelle cariche che spazza tutto il sistema solare.

La cromosfera e la corona solare, normalmente invisibili, possono essere osservate durante la fase di totalità delle eclissi di Sole oppure con particolari apparecchiature.

 

STRUTTURA E ORIGINE DELLE MACCHIE SOLARI

macchia solareLe macchie solari si formano sulla fotosfera; una macchia è composta da una regione centrale molto scura, chiamata nucleo od ombra, circondata da una zona grigia, detta penombra. La penombra non appare uniforme bensì striata, cioè formata da filamenti chiari e scuri che sembrano convergere verso il nucleo.

La forma e le dimensioni delle macchie sono estremamente variabili e possono cambiare anche in tempi brevi (dell’ordine di poche ore); ciò può essere facilmente compreso se si pensa che la fotosfera, sulla quale esse si formano, si trova allo stato gassoso con una temperatura che si aggira intorno ai 6.000 gradi centigradi. Per contro la temperatura nel nucleo di una macchia può variare da 4.000 a 5.200 gradi centigradi mentre nella penombra raggiungiamo valori pari a 5.500 gradi centigradi; di conseguenza le macchie appaiono scure solo per contrasto con le regioni fotosferiche adiacenti soggette a temperature più elevate.

Il sospetto che il numero della macchie presenti sul Sole potesse variare con un andamento ciclico (cioè alternando massimi e minimi con cadenza regolare) pare l’abbia avuto per la prima volta l’astronomo danese Christian Horrebow (1718 - 1776); purtroppo le sue opere furono pubblicate solo nel 1859 quando l’esistenza di un ciclo delle macchie solari era già stata scoperta dal farmacista tedesco S. H. Schwabe (1789 - 1875) il cui lavoro venne divulgato nel 1851.

Per convenzione si è stabilito che un ciclo di attività solare cominci con un numero minimo di macchie e finisca con l'inizio del minimo seguente.

Analisi statistiche effettuate su valori registrati a partire dal 1715 hanno mostrato che la durata media del ciclo solare (ciclo di Schwabe) è di 11,4 anni; il periodo più lungo è stato di 17,1 anni (dal 1788 al 1805) mentre quello più breve durò 7,3 anni (dal 1829 al 1837).

Una teoria completa che spieghi nei dettagli la nascita, evoluzione e scomparsa di una macchia solare e l’esistenza del ciclo undecennale ancora non esiste. Quello che si sa è che le macchie solari sono sedi di intensi campi magnetici che affiorano dalla fotosfera provenendo dalle regioni sottostanti; in questo modo il flusso di energia, proveniente dall’interno del Sole e diretto verso l’esterno, viene parzialmente interrotto e la zona interessata diventa più fredda.

 

MACCHIE SOLARI E CLIMA – IL MINIMO DI MAUNDER

Le macchie solari, come del resto altri fenomeni quali l’estensione della corona o il numero di aurore boreali visibili dalla Terra, sono un indice dell’attività solare; più alto è il numero della macchie e più elevata è l’attività della nostra stella.
Dall’esistenza di un ciclo undecennale di variazione delle macchie si deduce allora che anche l’attività del Sole oscilla con lo stesso ritmo (stiamo ovviamente parlando di variazioni molto piccole).
In altre parole il Sole è una stella variabile.

A questo punto potremmo chiederci se l’attività del Sole sia soggetta ad altre variazioni che non siano quelle evidenziate dal ciclo di Schwabe.

Nel 1893 E. Walter Maunder (1851 - 1928), sovrintendente per le ricerche solari del Royal Greenwich Observatory a Londra, si accorse di un fatto decisamente curioso che fino a quel momento era passato inosservato; Maunder aveva condotto uno studio sul numero di macchie osservate sul Sole a partire dal 1610, anno di introduzione del telescopio in Europa, e si accorse che nel periodo compreso fra il 1645 e il 1715 le macchie solari erano praticamente scomparse.
Ciò è molto strano poiché anche nel momento di minimo del ciclo di Schwabe qualche macchia è comunque presente; al contrario, nei settanta anni di durata di quel periodo il numero di macchie presenti sul Sole risultò praticamente azzerato al punto che nel 1671 la comparsa di una timida macchiolina sulla superficie immacolata del Sole fu trattata dagli organi di stampa come un evento eccezionale.

Maunder pubblicò i risultati del suo lavoro in due articoli (1894 e 1922) che però non vennero presi nella dovuta considerazione principalmente per due motivi. In primo luogo le osservazioni del numero di macchie solari vengono ritenute complete e affidabili solo a partire dal 1700; in secondo luogo vi era da parte degli astronomi una certa riluttanza ad accettare l’esistenza di cambiamenti dell’attività solare diversi da quelli regolari indicati dal ciclo di Schwabe.

Studi recenti hanno invece rivalutato il lavoro di Maunder poiché vi sono forti indizi (per non parlare di prove schiaccianti) che l’attività solare nel periodo che va dal 1645 al 1715, oggi noto col nome di Minimo di Maunder, subì una drastica diminuzione.

Abbiamo visto come il numero di macchie presenti sul Sole non sia l’unico indicatore del livello di attività della nostra stella. Prendiamo ad esempio la corona solare: la sua visione ad occhio nudo è uno degli aspetti più affascinanti della fase di totalità di un’eclisse di Sole.
La forma e le dimensioni della corona dipendono fortemente dal livello di attività solare. Ora fra il 1645 e il 1715 si verificarono 63 eclissi totali di Sole; quelle visibili dall’Europa furono studiate con grande attenzione e gli osservatori furono concordi nell’affermare che la corona solare era scomparsa.

Parliamo adesso di aurore boreali.
Le Luci del Nord’, come vengono anche chiamate, sono frange luminose, variamente colorate, visibili nelle regioni polari causate dall’interazione del vento solare con l’alta atmosfera.
La conformazione del campo magnetico terrestre intrappola e convoglia le particelle cariche del vento solare in direzione dei due poli; questo è il motivo per cui le aurore boreali, molto comuni dei cieli delle regioni ad elevata latitudine, sono rarissime nelle zone temperate e all'equatore.
Da quanto appena esposto si capisce come anche il numero di aurore boreali dipenda dall’attività del Sole.

Ebbene nel periodo dal 1645 al 1715 le aurore boreali furono molto rare e addiritura scomparvero del tutto negli ultimi trentasette anni del periodo; si narra che nel 1716 la notizia dell’apparizione della prima aurora boreale dopo tanto tempo suscitò la curiosità e la sorpresa di Hedmund Halley (1656 - 1742), il grande astronomo inglese che scopri la periodicità della cometa che porta il suo nome, il quale ammise quasi con vergogna di non averne mai osservata una in tutta la sua vita nonostante avesse ormai sessanta anni.
Ovviamente Halley non sapeva di essere vissuto a cavallo del Minimo di Maunder.

Un altro indicatore del livello di attività solare, di cui non abbiamo parlato in precedenza, è la quantità di Carbonio-14 presente negli anelli di accrescimento degli alberi; tutti sappiamo che la sezione del tronco di un albero mostra generalmente una serie di anelli concentrici contando i quali si riesce a risalire all’età dell’albero stesso.
È già stato osservato da tempo che lo spessore degli anelli varia in sintonia con il ciclo undecennale delle macchie solari, segno inequivocabile dell’influenza che il ciclo ha sul clima terrestre.
D’altra parte il carbonio-14 è una rara varietà radioattiva del carbonio che si forma nell’alta atmosfera terrestre a causa del bombardamento degli atomi di azoto da parte dei raggi cosmici, un flusso di particelle cariche che proviene dallo spazio.
Il carbonio-14, dal punto di vista chimico, è indistinguibile del carbonio ordinario cosicchè viene assimilato dalle piante grazie alla fotosintesi clorofilliana e, fra l’altro, si accumula nel tronco degli alberi.
Quando il Sole è fortemente attivo il suo campo magnetico scherma parzialmente la Terra, la quantità di raggi cosmici in arrivo è minore e quindi si forma meno carbonio-14; al contrario quando il Sole è quieto arrivano più raggi cosmici con il conseguente aumento di carbonio-14 che viene a formarsi.
Di conseguenza la percentuale di carbonio-14 nel tronco degli alberi è un altro indicatore del livello di attività del Sole.

L’esistenza di alberi millenari (es. pinus aristata) ha consentito lo studio della percentuale di carbonio-14 nell’atmosfera per un periodo di circa 7 mila anni e i risultati sono veramente interessanti.
Innanzitutto lo studio conferma il brusco calo dell’attività solare in corrispondenza del Minimo di Maunder; inoltre l’andamento del livello di carbonio-14 rivela che il Minimo di Maunder non fu l’unico.
Sono stati scoperti altri undici periodi caratterizzati da una diminuzione dell’attività del Sole alternati a periodi in cui l’attività solare subì un forte incremento.

Gli effetti sul clima terrestre potrebbero essere notevoli anche se non tutti gli scienziati concordano su questa relazione.
Sta di fatto comunque che il Minimo di Maunder cadde nel bel mezzo della Piccola Età Glaciale, un periodo che va dal 1450 al 1850 con un clima insolitamente freddo caratterizzato da un forte abbassamento delle temperature medie e da una forte espansione dei ghiacciai.
Al contrario il Massimo Medioevale, un periodo insolitamente caldo che va dal 1100 al 1250, coincide con periodo di forte attività solare.

Oggi il tema dei mutamenti climatici è di grande attualità; alcuni modelli matematici utilizzati dai climatologi per studiare l’andamento del clima del nostro pianeta tendono a minimizzare gli effetti della variazione dell’attività solare concentrandosi principalmente sul contributo delle attività umane (imputato numero uno: l’accumulo di anidride carbonica nell’atmosfera a causa del massiccio impiego di combustibili fossili); però, alla luce di quanto visto fino ad’ora, ritengo personalmente che tenere in poca considerazione l’attività solare sia un grosso errore.

 

 

 


APPENDICE A – La fusione nucleare

Fin dalla sua nascita, avvenuta come detto in precedenza quattro miliardi e seicento milioni di anni fa, il Sole emette continuamente nello spazio una grandissima quantità di energia e si ritiene che farà altrettanto per i prossimi cinque miliardi di anni. Si capisce allora che il meccanismo attraverso il quale la nostra stella genera quest’immensa mole energetica deve avere una efficienza straordinaria.
Questo meccanismo è stato scoperto e ben compreso solo in tempi relativamente recenti, negli anni a cavallo del 1930.

Il Sole è composto in prevalenza da idrogeno, il materiale più leggero e diffuso del nostro universo. Nella regione centrale del Sole regnano sovrane pressioni e temperature elevatissime; in queste condizioni estreme i nuclei degli atomi di idrogeno (cioè i singoli protoni) sono soggetti a violentissimi urti a causa dei quali i nuclei in questione possono unirsi fra loro (cioè fondere) e formare nuclei di atomi più pesanti. Questo fenomeno si chiama fusione nucleare.

Un tipico processo di fusione nucleare che avviene all’interno del Sole è la cosiddetta catena protone-protone in cui quattro nuclei di atomi di idrogeno (cioè quattro protoni) si uniscono (cioè fondono) e formano un nucleo di atomo di elio.

Analizzando con cura il fenomeno tutti ci aspetteremmo che la massa del nucleo di elio risultante sia uguale alla somma delle masse dei quattro protoni che hanno contribuito a formarlo.

In realtà non è così; il nucleo di elio risulta leggermente più leggero dei quattro protoni e, a questo punto, giunge spontanea la domanda: che fine ha fatto la massa mancante?

Una delle conseguenze più importanti della teoria della relatività ristretta, pubblicata da Albert Einstein (1879 - 1955) nel 1905, è che materia ed energia sono equivalenti e possono, in certe condizioni, essere convertite l’una nell’altra secondo la celeberrima formula:

E = mc2

dove E rappresenta l’energia, m la mssa e c la velocità della luce (299.792,458 chilometri al secondo).

Ecco quindi la risposta alla domanda che avevamo lasciato in sospeso: la massa mancante si è trasformata in energia.

Da quella formula traspare in modo chiarissimo anche la grande efficienza di questo processo di conversione; infatti la costante di proporzionalità fra massa ed energia è il quadrato della velocità della luce che è un numero grandissimo. E’ quindi sufficiente una minima quantità di materia per generare una immensa quantità di energia.

Da molti anni sono in corso studi e ricerche per lo sfruttamento pacifico della fusione nucleare per la produzione di energia elettrica; le difficoltà derivano dall’esigenza di riprodurre in ambiente terrestre le condizioni di pressione e temperatura esistenti al centro del Sole.

Dopo un periodo di facili entusiasmi, culminato nel 1989 con l’annuncio della scoperta della fusione fredda (un tipo di fusione, che avverrebbe a temperatura ambiente grazie all’aiuto di particolari catalizzatori, osservata da un chimico inglese e da uno americano e mai più riprodotta in laboratorio), le prospettive di un prossimo utilizzo industriale della fusione nucleare sono molto meno rosee.

Inutile sottolineare l’importanza di queste ricerche: a meno di nuove e rivoluzionarie scoperte scientifiche o del rinvenimento di nuovi e imponenti giacimenti petroliferi, la fusione nucleare sarà l’unica fonte di energia in grado di far fronte alla domanda mondiale da parte di una popolazione in continua crescita in un futuro che non è poi così lontano.
Le riserve mondiali di combustibili fossili stanno diminuendo ad una velocità preoccupante; secondo alcuni ricercatori con i ritmi di consumo attuale (destinati inevitabilmente ad aumentare) il greggio si esaurirà nel giro di quaranta anni mentre gas naturale e carbone faranno la stessa fine rispettivamente fra sessanta e duecento anni.

Sul fronte militare le cose sono andate decisamente meglio (come avviene sempre in questi casi); il primo ordigno basato sulla fusione nucleare, denominato bomba all’idrogeno o bomba H’ e dotato di un potere distruttivo senza precedenti, è stato fatto esplodere dagli Stati Uniti nel 1951 a soli sei anni dall’esplosione della prima bomba atomica (1945) e a nove anni dall’innesco della prima reazione a catena controllata (1942).

 

 


 

APPENDICE B – Il numero di Wolf

Il metodo più usato per lo studio statistico delle macchie solari si basa sul cosiddetto numero di Wolf.

Johann Rudolph Wolf (1816, 1893) ideò una formula empirica per stimare l’attività solare sulla base del numero di macchie presenti sul Sole; la formula è la seguente:

R = K (10g + m)

dove R è il numero di Wolf, g il numero di gruppi di macchie, m il numero delle singole macchie e K un fattore correttivo che dipende, fra l’altro, dal telescopio usato e dal sito di osservazione.

Il numero di Wolf può variare da 0, che significa assenza totale di macchie, fino a oltre 200.

 

 


 

APPENDICE C – Variazioni dell’attività solare

Vengono di seguito riportate, in ordine cronologico, le variazioni più importanti dell’attività solare registrate negli ultimi mille anni:

Minimo di Oort dal 1040 al 1080
Massimo termico medioevale dal 1100 al 1250
Minimo di Wolf dal 1280 al 1350
Minimo di Spoerer dal 1450 al 1550
Minimo di Maunder dal 1645 al 1715
Minimo di Dalton dal 1790 al 1820

 

Monografia n.104-2006/1


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