ASTRONOMIA NELLA FANTASCIENZA
pillole di scienza dal libro e film “2001, odissea nello Spazio”
di Marco Marchetti

L'astronave Discovery
L'astronave Discovery dipinta da Robert McCall
per la publicitò di "2001 odissea nelo spazio"
© MGM/Turner Entertainment
da http://www.fabiofeminofantascience.org/MCCALL/MCCALL8.html

Introduzione

Molti anni fa, mentre stavo leggendo il libro di fantascienza “2001 Odissea nello Spazio” scritto da Arthur C. Clarke (1917, -) e mi tornavano alla mente le immagini dell’omonimo famosissimo film diretto da Stanley Kubrick (1928 - 1999) con la consulenza scientifica dello stesso Clarke, rimasi colpito da un curioso particolare.
A differenza di quello che succede nel film, dove l’obiettivo finale della missione spaziale è Giove, nel libro le peripezie dell’astronave Discovery finiscono nel sistema di Saturno. All’appuntamento con il pianeta degli anelli il protagonista del romanzo, l’astronauta David Bowman, arriva da solo poiché il resto dell’equipaggio è stato sterminato dall’inferocito HAL, il supercalcolatore di bordo, poi ridotto alla ragione e all’impotenza dallo stesso Bowman.
Non appena individuata la Porta delle Stelle, situata per un motivo che vedremo in seguito sulla luna di Saturno Giapeto, l’astronauta superstite lascia l’astronave in orbita attorno al satellite e si infila nella Porta a bordo di una navicella.
Nel film, invece, la Discovery viene parcheggiata in un punto, denominato L1, situato lungo la linea che congiunge Giove e il suo satellite Io dove verrà intercettata nove anni dopo dalla missione di soccorso oggetto del secondo libro "2010 l’Anno del Contatto" ad opera dello stesso Clarke.
Feci qualche ricerca e venni così a conoscenza dell’esistenza dei cosiddetti punti lagrangiani L1, L2, L3, L4, L5 e della loro interessantissima proprietà.

Questo piccolo aneddoto evidenzia il fatto che dalla fantascienza, quando scritta da validi autori dotati di un solido background scientifico, c’è sempre qualcosa di nuovo da imparare.

 

I punti lagrangiani

Questi punti prendono il nome dal matematico italo-francese Joseph-Louis Lagrange (1736 - 1816) che per primo ne ipotizzò l’esistenza nel 1772.

In sostanza si tratta di punti nei quali le forze gravitazionali (e non) indotte da due corpi in orbita uno rispetto all’altro si annullano reciprocamente; in astronomia questo argomento è noto con il nome un po’ curioso di problema ristretto dei tre corpi.

Chiariamo il tutto con un esempio. Supponiamo che i due corpi in questione siano la Terra e il Sole; tutti sappiamo che la Terra ruota attorno al Sole compiendo un giro completo una volta all’anno. Poniamoci adesso in un sistema di riferimento solidale con il movimento dei due corpi, cioè in rotazione con essi, (in questo sistema di riferimento il Sole e la Terra risulteranno fermi rispetto a noi) e prendiamo in considerazione un terzo corpo di massa trascurabile rispetto agli altri due (per esempio una sonda); questa condizione di massa molto piccola è di fondamentale importanza poiché la sua influenza gravitazionale deve essere trascurabile ripetto a quella indotta dai due corpi maggiori (nel nostro caso Sole e Terra). A questo punto ci poniamo la seguente domanda: esistono dei punti in cui le forze che agiscono sul terzo corpo (la sonda per intenderci) si annullano a vicenda? Se si, una volta che la sonda viene posizionata in uno di questi punti è destinata a rimanerci.

Nel sistema di riferimento preso in considerazione la sonda è soggetta sicuramente alle forze gravitazionali della Terra e del Sole ma non solo; occorre considerare anche le forze centrifughe e di Coriolis. Chi non conosce la natura delle forze centrifughe e di Coriolis non si spaventi; l’importante, in questa sede, è sapere che le forze gravitazionali non sono le uniche ad entrare in gioco (se così fosse la soluzione sarebbe molto più semplice). Le equazioni matematiche che descrivono questo problema furono risolte da Lagrange ed evidenziano l’esistenza di cinque punti (L1, L2, L3, L4, L5), denominati punti lagrangiani, che soddisfano la condizione richiesta.

I punti L1, L2, L3 si trovano sulla linea che congiunge la Terra con il Sole; in particolare L1 si trova fra la Terra e il Sole e dista dal nostro pianeta 1/100 della distanza che ci separa dalla nostra stella (cioè un milione e mezzo di chilometri), L2 si trova dietro la Terra (rispetto al Sole) mentre L3 si trova dietro il Sole (rispetto alla Terra).

Al contrario i punti L4 ed L5 si trovano sull’orbita della Terra; L4 precede il nostro pianeta di un angolo di sessanta gradi mentre L5 lo segue dalla stessa distanza. A differenza di L1, L2 ed L3, che sono punti di equilibrio instabile (cioè basta una piccola perturbazione per allontanare il corpo dal punto in questione) i punti L4 ed L5 in certe condizioni, che dipendono dalle masse dei due corpi principali, possono diventare punti di equilibrio stabile. Ricordiamo che i punti lagrangiani non sono punti fissi nello spazio ma sono punti fissi rispetto ai due corpi maggiori (nel nostro caso Sole e Terra).

La sonda SOHO (Solar and Heliospheric Observatory (un progetto congiunto ESA NASA), che dal 1995 studia il Sole, si muove costantemente su un’orbita centrata sul punto L1 del sistema Terra-Sole. La sonda non staziona esattamente nel punto L1 per due motivi: in primo luogo se fosse posizionata proprio in L1 le comunicazioni verso la Terra diventerebbero molto difficili; in secondo luogo, come abbiamo visto, L1 è un punto di equilibrio instabile.

Nel punto L2 (stiamo sempre parlando del sistema Terra-Sole) si trova intrappolata una miriade di piccoli meteoriti i quali danno origine ad uno sciame che accompagna fedelmente la Terra nel suo peregrinare intorno al Sole; la luce riflessa da questi minuscoli corpi che ritorna sulla Terra da origine al fenomeno del gegenschein (dal tedesco bagliore opposto), una debolissima luminescenza visibile in cielo in direzione opposta al Sole.

Anche il sistema Giove-Sole è molto interessante; i punti L4 ed L5 di questo sistema sono particolarmente stabili; infatti in essi si trovano due gruppi di piccoli asteroidi (denominati Greci e Troiani) che precedono e seguono il pianeta lungo la sua orbita attorno al Sole. Altri esempi li troviamo fra le numerose lune di Saturno. Teti condivide la sua orbita attorno al pianeta degli anelli con due piccolissime lune (Telesto e Calypso) situate nei suoi punti L4 ed L5 mentre Dione (un altro satellite di Saturno) è accompagnato dalla piccola luna Elena situata in uno dei suoi punti lagrangiani.

Ritornando alla nostra vicenda fantascientifica, David Bowman si trovava nella necessità di dovere abbandonare l’astronave Discovery nel punto più sicuro possibile in maniera tale da poterne consentire il recupero in futuro; la sua scelta non poteva che cadere in uno dei punti di Lagrange.

 

Il mistero di Giapeto

La Porta delle Stelle si trova su Giapeto e, a prima vista, ha l’aspetto di un puntino nero su una superficie bianchissima che ne consente una facile individuazione anche dallo spazio; Arthur Clarke riesce in questo modo a fornire una soluzione molto elegante di un mistero che da sempre circonda questa luna di Saturno.

GiapetoGiapeto fu scoperto nel 1671 da Gian Domenico Cassini (1625 - 1712); con un diametro di 1.400 chilometri è il terzo satellite di Saturno in ordine di grandezza (dopo Titano e Rea) ed è uno dei cinque satelliti del pianeta inanellato visibili con strumenti amatoriali.
La sua luminosità non è costante ma varia dalla magnitudine 9,5 alla 11; per chi non avesse confidenza con questi numeri diciamo che Giapeto, nel momento di maggior luminosità, è circa cinque volte più luminoso rispetto al momento in cui è meno luminoso. Questo fatto sorprese anche Cassini poiché egli riusciva a vedere il satellite quando questi si trovava da un lato di Saturno mentre quando si trovava dall’altro lato era completamente invisibile (almeno per gli strumenti dell’epoca). L’ovvia conclusione è che Giapeto ha una parte della sua superficie nera come l’asfalto mentre la rimanente è bianca come la neve.

Le ipotesi per spiegare questa peculiarità sono sostanzialmente due: una di tipo esterno l’altra di tipo interno. Secondo la prima ipotesi l’oscuramento di una parte della superficie di Giapeto sarebbe dovuta ad una caduta di materiale oscuro proveniente da Febe, un altro satellite di Saturno. Questa teoria è stata però messa in crisi da una foto presa da una delle sonde Voyager che attraversarono il sistema di Saturno nel 1979. Questa immagine mostra che il confine fra la zona scura e chiara è ben marcato e definito; ciò farebbe piuttosto pensare a materiale espulso da una eruzione vulcanica.

Forse oggi la soluzione del problema è più vicina.

Infatti nel luglio 2004 è giunta nei pressi di Saturno la missione Cassini e verso la fine dello stesso anno Giapeto è stato sorvolato ad una distanza di soli 123 mila chilometri. Le immagini inviate a Terra mostrano il satellite con una dovizia di particolari mai ottenuta fino a quel momento. In particolare queste immagini mostrano l’esistenza di una anello composto di montagne alte fino a venti chilometri situato sull’equatore del satellite per una lunghezza di circa 1.300 chilometri.

È auspicabile che le immagini appena ottenute e quelle che si renderanno disponibili in occasione del prossimo avvicinamento a Giapeto, previsto per il 2007, possano aiutare a comprendere meglio la natura di questo misterioso oggetto del sistema solare.

 

Grappoli di stelle

La Porta delle Stelle altro non è che un passaggio situato al di fuori dello spazio e del tempo ordinari che consente di raggiungere regioni distantissime in tempi ragionevolmente brevi; il suo nome deriva dall’ultima frase captata da Terra nella quale David Bowman cerca di descriverla: «L’oggetto è vuoto … non finisce mai … e … oh, mio Dio … è pieno di stelle! ».

Il viaggio di David attraverso la Porta si conclude nei pressi di un oggetto davvero affascinante; nel film la scena si sofferma per diversi istanti su uno spettacolare grappolo di centinaia di migliaia di stelle disposte secondo una ben precisa simmetria sferica, cioè fortemente ammassate nel centro e più rade in periferia.

Si tratta di un cosiddetto ammasso globulare. Gli ammssi globulari sono gruppi di centinaia di migliaia (e in certi casi milioni) di stelle che si trovano al di fuori della Via Lattea; se ne conoscono alcune centinaia che circondano la nostra galassia formando una specie di alone. Nel nostro emisfero uno di questi ammassi è addiritura visibile ad occhio nudo; si tratta dell’ammasso denominato M13 visibile nelle notti limpide senza Luna all’interno della costellazione estiva di Ercole sotto forma di un fiocchettino debolmente luminoso.

Gli ammassi globulari sono molto importanti per lo studio dell’evoluzione stellare poiché sono ambienti che contengono un gran numero di stelle nate tutte dalla stessa nuvola di gas primordiale e che si sono evolute senza alcuna interazione con l’ambiente circostante. Inoltre l’analisi statistica di queste sterminate popolazioni stellari ha consentito di stabilire con molta precisione l’età di questi ammassi fornendo così un limite inferiore all’età dell’universo (è evidente che l’universo non può essere più giovane di un qualsiasi oggetto in esso contenuto).
Proprio un conflitto fra l’età dell’universo stimata in questo modo e quella calcolata con metodi cosmologici fece entrare in crisi la teoria del Big Bang nei primi anni ’90; da questa crisi si poteva uscire supponendo che l’espansione dell’universo anziche essere rallentata dalla gravità (come comunemente accettato) fosse in realtà accelerata.
Questa ipotesi aveva l’aria di essere un espediente ad hoc per salvare la teoria del Big Bang ma l’espansione accelerata dell’universo è stata effettivamente scoperta nel 1998.

 

Altre pillole di scienza

La visione del film offre altri interessanti spunti scientifici non propriamente astronomici.

Innanzitutto la ricostruzione iniziale dell’ambiente e dei suoi abitanti quattro milioni di anni fa (tre milioni secondo il libro), all’epoca del primo incontro con il monolito nero di cristallo. A quel tempo gli uomini come noi li conosciamo erano ancora molto al di là dal venire; la razza più vicina all’uomo moderno era quella degli Autralopitechi, esseri dall’aspetto decisamente scimmiesco con qualche tratto umano. L’aspetto che questi antichissimi antenati dell’uomo avevano, ricostruito a partire dai fossili (soprattutto a partire dal più famoso di essi, Lucy, scoperto in Etiopia nel 1974 e appartenente ad un individuo di sesso femminile vissuto circa tre milioni e 180 mila anni fa), non doveva essere troppo dissimile da quello proposto nel film. Da notare che la scoperta di Lucy è avvenuta sei anni dopo l’uscita della pellicola (1968).

Un elegantissimo stratagemma permette al regista di spostare l’ambientazione del film dalla lontana preistoria alla nostra epoca. L’australopiteco protagonista della prima parte della storia, colmo di euforia per avere appena accoppato a suon di bastonate il capo di una banda rivale, scaglia in aria l’arma del delitto (un grosso osso) la quale si trasforma come per magia in una stazione spaziale orbitante intorno alla Terra accompagnata dalle note di uno dei più famosi valzer (Sul bel Danubio Blu). Subito dopo la scena si sposta all’interno di una navicella in viaggio verso la stazione e si sofferma a lungo su una penna che fluttua liberamente in aria; ciò che si vuole sottolineare è il fatto che nello spazio la gravità non viene avvertita e gli oggetti fluttuano liberamente poiché privi di peso. All’interno della stazione spaziale la sensazione di peso viene creata artificialmente grazie alla forza centrifuga indotta dalla rotazione.

Spostiamoci infine all’interno della Discovery durante il viaggio verso l’esterno del sistema solare. Si nota un contrasto quasi fastidioso fra l’assoluto silenzio che circonda le operazioni all’esterno dell’astronave (come ad esempio la sostituzione del presunto pezzo difettoso) e l’insieme di rumori e ronzii che accompagnano le operazioni interne. Questo contrasto è originato dal fatto che nello spazio vuoto il suono non riesce a propagarsi poiché, a differenza della luce, ha bisogno di un mezzo; sulla superficie terrestre (e all’interno della Discovery) questo mezzo è rappresentato dall’aria.
L’idea che anche la luce avesse bisogno di un mezzo per la sua propagazione è sopravvissuta fino a tempi relativamente recenti; essa è stata abbandonata solo nel 1887 dopo i risulati di un famosissimo esperimento condotto da Albert Abraham Michelson (1852 - 1931) e da Edward Morley (1838 - 1923) i quali dimostrarono che il presunto mezzo attraverso il quale si sarebbe propagata la luce (denominato etere) non esiste.

 

Monografia n.105-2006/2


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