BREVE STORIA DELL'ASTRONOMIA mitologia classica e sistema solare di Luigi Candiano
I PRIMORDI
Fin dai suoi primi anni di esistenza l'uomo ha sicuramente goduto dello spettacolo delle meraviglie del cielo. Oltre alla contemplazione dei fatti naturali, il succedersi del giorno e della notte, le lunazioni ed il ciclo delle stagioni, lo portarono, per necessità di vita, ad un rudimentale computo del tempo gettando le basi per una scienza che si dedica oggi allo studio degli astri: l'Astronomia.
Avendo da sempre a che fare con le cose del cielo, nella concezione di tutti i popoli dell'antichità, questa scienza è stata strettamente legata alla tradizione religiosa tanto che avvenimenti dell'una o dell'altra si confondevano tra di loro. Tuttavia la spinta ricevuta dall'astronomia da parte di sacerdoti ed astrologi è stata molto utile per il suo progresso generale. Un tempo, infatti, non esisteva la figura dell'astronomo come 'scienziato', ma erano soprattutto i sacerdoti che si occupavano dello studio degli astri onde trarne auspici e predire il futuro.
Non ha senso di parlare dell'origine dell'astronomia e poco valgono i tentativi di localizzarla in questo o quel luogo. Si conoscono infatti vari centri di cultura astronomica sparsi in tutto il mondo, ognuno dei quali è stato adattato agli usi, ai costumi ed alle tradizioni di ogni singolo popolo. Caldei, Maya, Egiziani, Fenici, Cinesi ed altri hanno lasciato tracce delle loro esperienze astronomiche sviluppate autonomamente.
La maggior parte di queste è stata dedicata soprattutto al computo del tempo utilizzando le lunazioni, il sorgere e il tramontare del sole e, a volte, anche se raramente, i movimenti dei pianeti. È così che nei popoli primitivi troviamo calendari con giorni e mesi lunari, definiti dall'intervallo di due noviluni o due pleniluni, in diverse regioni della Terra ed in diverse epoche.
Oltre al computo del tempo, anche il problema dell'orientamento dovrebbe avere interessato i popoli primitivi; un problema facilmente risolvibile conoscendo i moti del Sole e la posizione delle Stelle. Il punto cardinale Est era ritenuto da molti sacro proprio per il fatto che da quella direzione sorge il Sole; molti templi e molte chiese sono orientati lungo la direzione Est-Ovest.
È ben nota a tutti, tra l'altro, l'importanza che da sempre ha avuto il Grande Carro, per la sua vicinanza al polo e per la sua utilizzazione nella ricerca della Stella Polare, per gli antichi navigatori del Mediterraneo.
Per potersi orientare con le stelle occorreva conoscerle, ed è per questo che si cominci a riunirle in gruppi, le costellazioni, ai quali gli antichi hanno dato il nome dei loro miti, delle loro leggende e dei loro Dei.
Poche notizie si hanno sulle osservazioni dei pianeti. Si trova spesso menzionato Venere, il più appariscente dei pianeti, che, per la sua alternanza nell'apparire all'alba o al tramonto, veniva spesso scambiato per due oggetti diversi.
Da questi primi passi nello studio del cielo per necessità di vita, la via da percorrere verso l'acquisizione di cognizioni più difficili sarà lunga e travagliata. Presso i popoli più progrediti l'astronomia era destinata comunque ad assumere sempre più importanza fino ad essere elevata ala rango di "scienza pura".
CALDEI ED EBREI
Le notizie a noi pervenute sui Caldei, popolo che abitava le pianure della Mesopotamia, sono poche ed incomplete. Alcune tavolette di argilla, risalienti al 4000 a. C., ci fanno supporre che i Caldei rappresentassero la casta sacerdotale dei Babilonesi ed è quindi a loro che erano affidate le mansioni di osservazione del cielo soprattutto per fini astrologici e religiosi.
Benché essi non abbiano mai raggiunto i progressi fatti più tardi dai greci, in campo astronomico, i Caldei li precedettero in alcune importanti scoperte. Erano in grado, infatti, di predire, con una certa approssimazione, i moti diretti e retrogradi dei pianeti, le loro congiunzioni e, soprattutto, erano già capaci di calcolare gli istanti delle eclissi di Luna.
Possiamo distinguere nell'astronomia babilonese due periodi: il più antico, che va dal 4000 a. C. fino alla catastrofe di Ninive (607 a. C. ), e quello relativamente più moderno che arriva approssimativamente fino al periodo della nascita di Cristo.
Del primo periodo si sa pochissimo se non che si tratta di nozioni inerenti il culto religioso ed astrologico. Fra le tavolette di argilla ritrovate negli scavi archeologici ne sono state rinvenute alcune raffiguranti il cielo stellato su cui erano tracciate le figure di qualche costellazione. Allora il calendario babilonese era regolato dal novilunio, con 12 mesi lunari in un anno solare ed un tredicesimo mese in aggiunta di tanto in tanto, quando lo si riteneva opportuno. Un calendari luni- solare, quindi, ulteriormente suddiviso in periodi più brevi corrispondenti alle nostre settimane. L'istante del tramonto del Sole segnava l'inizio del giorno costituito da dodici intervalli detti Kaspu.
Il secondo periodo porta ad un computo più esatto del tempo, indispensabile per migliorare la qualità delle osservazioni astronomiche. È infatti di questo periodo la prima suddivisione del cerchio in 360 gradi, come conseguenza del cammino percorso dal Sole nel cielo. La maggiore precisione porta ad osservazioni sistematiche e fondate sul calcolo di fenomeni celesti come le eclissi, la prima delle quali è stata registrata, dai Caldei, il 19 marzo 721 a. C. . Questa ed altre osservazioni di eclissi lunari vengono usate ancor oggi per i calcoli sul moto della luna. A tale proposito ai Caldei si attribuisce la scoperta del "Ciclo di Saros", una successione di 223 lunazioni secondo la quale, ritornando la Luna nella stessa posizione rispetto ai suoi nodi, al suo perigeo e al Sole, si ripetono nello stesso ordine le eclissi del ciclo precedente.
Per quel che riguarda i pianeti, i Caldei eseguirono osservazioni dei loro moti tra le stelle, studiandone in dettaglio le stazioni e le retrogradazioni lungo quella che essi chiamavano "via del Sole", il nostro Zodiaco. In antiche tavolette si trovano spesso menzionati i cinque pianeti visibili ad occhio nudo, posizionati rispetto alla Luna, alle stelle o al Sole.
Alle comete, alle meteore ed ai bolidi veniva poi data una enorme importanza astrologica e per questo, ad ogni loro apparizione, venivano seguite con molto interesse.
Pur essendo le loro osservazioni esclusivamente rivolte a previsioni astrologiche, ai Caldei va il grande merito di non essersi basati solamente sulla loro fantasia, ma su osservazioni celesti sistematiche ed accurate, estese per un gran numero di anni alla ricerca di una certa periodicità per ogni fenomeno. Essi comunque non arrivarono mai alla conoscenza della geometria e della trigonometria, che forse li avrebbe portati a soluzioni più rigorose dei vari problemi astronomici.
Nonostante abitassero regioni confinanti ed avessero molti rapporti con i Babilonesi, gli Ebrei, non hanno mai avuto una cultura astronomica degna di tale nome. Ciò è da imputare, molto probabilmente, a motivi religiosi. Avendo infatti notato che lo studio degli astri, spesso e volentieri, portava i popoli al culto degli stessi, del Sole e della Luna come divinità da adorare, essi si astennero sempre, o quasi, dal praticare osservazioni astronomiche. Contro tali culti astrologici i profeti lanciavano terribili minacce.
L'astronomia ebraica rimane quindi molto scarna, limitata all'indispensabile computo del tempo, fatto tra l'altro con molta approssimazione e adottando un anno formato da dodici mesi lunari, suddivisi in periodi misurati secondo le fasi della Luna stessa. Sicura è da perte degli ebrei, in tutto il mondo, l'introduzione del "sabbato" come giorno di generale riposo; lo si trova riportato negli scritti più antichi addirittura come una legge, per cui se la si trasgrediva si andava incontro a severe sanzioni.
Chiuso in se stesso e nella sua religione monoteistica, il popolo ebraico, non si può certo paragonare ai vicini Fenici, Egiziani e Babilonesi, distintisi, in questo campo, in modo particolare.
MAYA, INCA ED AZTECHI
Dalle iscrizioni rinvenute su monumenti dell'America centrale dagli archeologi, possiamo dedurre come alcune popolazioni del Messico, ad esempio i Maya, raggiunsero a quel tempo un grado di civiltà e cultura paragonabile a quello dei babilonesi, degli assiri e degli egiziani. Per queste popolazioni centroamericane l'astronomia era, in particolar modo, una scienza particolarmente coltivata. Dopo le ultime scoperte archeologiche in questo settore all'Università del Maryland è stato persino creato un centro di archeoastronomia ove astronomi e archeologi lavorano in stretta collaborazione.
Pur non essendo a conoscenza della forma della terra, i Maya, conoscevano le cause delle eclissi, sapevano usare lo gnomone e sapevano calcolare i momenti dei solstizi e degli equinozi. A tale proposito si è visto come molte delle loro costruzioni siano orientate secondo questi punti di fondamentale importanza l'astronomia di posizione. Alla base di tali conoscenze sta sicuramente il loro progresso in campo matematico:conoscevano infatti lo zero ed adottavano la numerazione posizionale.
I cicli, il ripetersi dei fenomeni astronomici avevano assunto presso i Maya un significato talmente importante che il loro calendario, ad uso civile e religioso, era esclusivamente basato sui fenomeni celesti. Esso utilizzava alternativamente l'anno solare e l'anno di Venere, determinato dalla rivoluzione sinodica del pianeta. Questo pianeta era tra l'altro divinizzato visto che rappresentava uno dei loro dei più importanti: il serpente piumato Quetzalcoatl. Anche il Sole e la Luna erano, naturalmente, divinizzati a tal punto che, presso questi popoli, la superstizione religiosa si mescolava pittoresticamente con le osservazioni astronomiche. Conoscevano molto bene e seguivano i moti dei cinque pianeti visibili ad occhio nudo e sapevano già che la Via Lattea era nient'altro che un grande ammasso di stelle. In particolare considerazione erano tenuti da Maya, Inca ed Aztechi, i punti ove quest'ultima incontrava il percorso del Sole, la nostra eclittica. Era infatti rispetto a questi punti che davano i tempi dei fenomeni astronomici, in particolar modo per quel che riguardava i pianeti.
Da alcuni ritrovamenti archeologici nella zona di Palenque, in Messico, pare che i Maya avessero, già cinque secoli prima di Cristo, adottato un anno formato 365,242 giorni (il suo valore reale è di 365,2422 giorni!). Questi erano compresi in 18 mesi di 20 giorni ciascuno più un breve mese addizionale di 5 giorni. Ogni mese aveva un suo nome ed in esso i giorni erano contati da 0 a 19. Questo computo del tempo così evoluto è tale che in nessun altra parte della Terra si può trovare eguale fino all'inizio dell'era moderna. Tali progressi in campo astronomico, considerati eccessivi, hanno sviluppato la fantasia dell'uomo fino a fargli pensare che, al loro inizio, le civiltà dell'America centrale siano state visitate da qualche forma di vita extraterrestre intelligente ed evoluta. Fra i vari complessi archeologici rinvenuti da queste parti, ve ne sono alcuni veramente singolari che non potevano servire, vista la loro costruzione e collocazione, che per le osservazioni astronomiche. Cito, ad esempio, i templi-osservatori della città Maya di Uaxactun, dai quali si potevano mirare, con opportuni punti di riferimento, i luoghi del sorgere e del tramontare del Sole nei giorni di equinozio e di solstizio. La torre di Palenque, un vero e proprio osservatorio, dalle cui finestrelle opportunamente piazzate si potevano scorgere, negli istanti del loro sorgere e tramontare, il Sole, la Luna ed il pianeta Venere. Ed ancora il "Castillio" a Chicèn Itzà, il "Caracol" dalla classica forma a cupola di osservatorio astronomico e tanti altri ancora.
I CINESI
L'antica astronomia cinese è famosa in tutto il mondo per l'accuratissima registrazione e la costanza nel tempo delle osservazioni celesti; osservazioni talmente precise da costituire probabilmente la migliore cronaca astronomica dal 2000 a. C. fino ai nostri giorni.
Di solito è abitudine attribuire ai cinesi grandi ed importanti conoscenze astronomiche prima ancora del secondo millennio prima di Cristo, anche se non esiste a tale proposito alcun documento o reperto archeologico di varia natura che provi il loro effettivo progresso prima di tale data.
I loro studi sui moti della Luna e del Sole, compiuti da un osservatorio astronomico fatto costruire nel 2608 a. C. dall'imperatore Hoang-Ti, avevano come scopo principale quello di elaborare e correggere l'allora carente calendario.
Fra le discipline scientifiche in Cina l'astronomia ha da sempre avuto un ruolo di primissimo piano. Ciò era dovuto al fatto che i cinesi consideravano l'imperatore qualcosa di divino che era tale per volere del cielo e di conseguenza, tutti i fenomeni che si verificavano sulla volta celeste, per forza di cose, avevano un evidente riscontro sulla Terra, sulle attività umane e soprattutto sul comportamento e le decisioni dell'imperatore.
Per questo gli astronomi della corte reale erano responsabili direttamente con la loro stessa vita dell'esattezza delle previsioni delle eclissi o di altri eventuali importanti fenomeni celesti tanto legati alla vita dell'imperatore e della nazione.
Per dare maggiore importanza alla connessione esistente tra imperatore e avvenimenti celesti, ogni nuovo regnante, non appena saliva al trono, era solito cambiare immediatamente, innanzitutto la sede dell'osservatorio astronomico imperiale portandolo adiacente al palazzo della propria città (a secondo della dinastia regnante) ed in seguito anche le regole che costituivano le basi per la compilazione del calendario lasciandovi così impressa l'impronta del proprio passaggio.
Come nella maggior parte delle popolazioni antiche il calendario cinese era per lo più un calendario lunisolare riveduto e corretto di dinastia in dinastia data anche la non coincidenza delle lunazioni con il movimento apparente annuale del Sole sulla volta celeste.
A parte le osservazioni dei moti della Luna e del Sole, gli astri più brillanti del cielo e quindi anche i più facili da seguire, gli astronomi cinesi rivolgevano particolare attenzione ad avvenimenti come l'apparizione di una cometa, l'esplosione di una nova (vedi, ad esempio, quella del 1054 così ben descritta nelle cronache cinesi e che ha dato origine alla famosa nebulosa del Granchio nella costellazione del Toro), le congiunzioni planetarie ed ovviamente le eclissi di Sole e di Luna.
La ripartizione del cielo, come è possibile immaginare, era fatta in modo completamente diverso da quello occidentale, con piccole costellazioni (circa 250) la più famosa delle quali è giunta fino ai nostri cieli col nome di costellazione del Dragone, divenuta in Cina talmente importante (anche per la sua vicinanza al polo nord celeste e per il fatto che anticamente conteneva la stella polare) da diventare simbolo nazionale.
Gli scarsi contatti fra il lontano Oriente e l'Europa, soprattutto per le enormi difficoltà di viaggio per raggiungere terre così lontane, portarono la due culture ad incontrarsi molto tardi e ad aumentare il mito di un popolo misterioso e saggio, capace di grandi invenzioni e che era già a conoscenza, 6000 e più anni prima della nascita di Cristo, dei più grandi segreti scientifici. Grande importanza ebbero, a tale proposito, le missioni religiose che i Gesuiti andavano fondando in tutto il mondo. Proprio in una di queste Padre Matteo Ricci, dal 1600 in poi, lavorò a stretto contatto con gli astronomi cinesi divulgando fra di essi le ultime e più importanti scoperte astronomiche occidentali (si era nel periodo della rivoluzione copernicana e dei primi utilizzi del cannocchiale di Galileo Galilei).
Con Padre Ricci e con i Gesuiti l'astronomia occidentale divenne famosa e conosciuta in tutta la Cina a tal punto che, dopo una gara su chi, fra astronomi cinesi, arabi ed europei, fosse, con maggiore precisione, in grado di prevedere l'eclissi di Sole del 1629 (gara vinta da astronomi europei), l'imperatore decise, da quel momento, di affidare ai Gesuiti la compilazione, ma soprattutto la riforma, del calendario.
A testimoniare questa grande fama raggiunta dai Gesuiti rimane ancora oggi a Pechino, vicino alla celebre piazza Tienanmen, un osservatorio astronomico intitolato a Matteo Ricci.
I GRECI
Parlare di astronomia presso gli antichi Greci vuol dire percorrere alcune delle tappe fondamentali di questa scienza, soprattutto nella costruzione della struttura dell'Universo. Da Talete a Pitagora, da Eudosso ad Ipparco, ecco solo alcuni dei nomi dei più famosi "astronomi" di quel tempo.
I primi fondamenti astronomici greci pare debbano essere fatti risalire al 600 a. C. quando Talete di Mileto, a capo della "scuola ionica", insegnava sulla sfericità della Terra, sul fatto che la Luna è visibile solo poiché riflette i raggi solari, affermando anche che le stelle del cielo erano fatte di "fuoco".
Della scuola ionica fece parte anche Anassimandro, che, completando gli studi del predecessore, fu il primo a fare delle osservazioni celesti utilizzando strumenti come lo gnomone (pare da lui stesso inventato).
Intorno al V secolo a. C., nel centro della cultura mondiale di quel tempo, per mano di Pitagora, nasce e si sviluppa la omonima scuola alla quale si attribuiscono le prime idee sui moti, di rotazione e di rivoluzione, della Terra. Un passo importante che pone il nostro pianeta fra i corpi celesti (pianeti) anche se ancora al centro dell'Universo. Di questa scuola era Filolao, che verso la fine V secolo a. C., ipotizza una prima struttura dell'Universo, con un fuoco centrale, ed i pianeti, Sole compreso, ruotanti intorno ad esso. Un sistema quello di Filolao, che resisterà fina a che non verrà sostituito dalle nuove concezioni aristoteliche.
Nel frattempo, però, fra il 429 ed il 347 a. C., appare una figura che lascerà una notevole traccia del suo passaggio: Platone. Tra le allusioni astronomiche ritrovate nei suoi scritti, che sono più che altro a carattere mistico-poetico, si possono ad esempio, rintracciare i primi accenni a epicicli e deferenti, ai moti della Luna e dei pianeti ed alla materia che componeva le stelle. Ecco come il grande filosofo descrive, nel "Timeo", l'Universo:
«. . . ed Egli (Dio) lo fece tondo e sferico, in modo che vi fosse sempre la medesima distanza fra il centro ed estremità. . . . e gli assegnò un movimento, proprio della sua forma, quello dei sette moti. Dunque fece che esso girasse uniformemente, circolarmente, senza mutare mai di luogo. . . . ; e così stabilì questo spazio celeste rotondo e moventesi in rotondo.»
Quello di Platone era dunque un sistema geocentrico, a sfere concentriche, che fu in seguito perfezionato da Eudosso e a cui Aristotele, per altro suo discepolo e amico, attingerà in gran parte.
Fu proprio Eudosso da Cnido (409 - 356 a. C.) che per primo tentò di risolvere, da valente geometra quale era, in modo meccanico il problema dei movimenti irregolari (stazioni e retrogradazioni) dei pianeti. Per tentare di dare risposta alle sue teorie, egli si recò a studiare addirittura in Egitto dove i sacerdoti custodivano una innumerevole serie di cronache su antiche osservazioni celesti. Riuscì nel suo intento, dotando il sistema planetario di una serie di sfere motrici (in tutto 27) le quali contenevano i poli delle sfere dei pianeti, in modo che quest'ultimi potessero muoversi nel cielo indipendentemente gli uni dagli altri e tracciare nel cielo le traiettorie da noi osservate e solo apparentemente irregolari. Il sistema di universo costruito da Eudosso da Cidno e perfezionato da Callippo qualche anno più tardi con l'aggiunta di alcune sfere per Mercurio, Venere, Marte e per la Luna ed il Sole, diede lo spunto al grande Aristotele di parlare di astronomia. Egli, infatti, a dispetto degli anni (quasi 1800) in cui le sue teorie resteranno valide per tutti o quasi, non è da considerare un vero e proprio "astronomo".
Aristotele aveva diviso il cosmo in due parti: la prima perfetta e incorruttibile, quella oltre alla Luna, costituita da sfere concentriche ove erano incastonati i pianeti e le stelle; l'altra, sublunare, costituita dal mondo caotico e corruttibile, formata da quattro sfere (Terra, Acqua, Aria e Fuoco) in cui l'ordine era solo una tendenza per ogni cosa. Al di là della più esterna di queste sfere concentriche, quelle delle stelle fisse, Aristotele collocava il "motore" di tutto l'Universo che trasmetteva il moto con una serie di sfere di collegamento per un totale di 55. Un sistema questo geocentrico ed incorruttibile, che resisterà per ben 18 secoli, fino cioè alla teoria copernicana.
Prima di Copernico, però, aveva già tentato di ipotizzare un Universo costruito con un sistema eliocentrico, mettendo così la Terra a ruotare intorno al Sole e ponendola quindi fra i pianeti. Fra questi, degni di nota, troviamo Aristarco ed Eraclide facenti parte della scuola alessandrina, che avevano teorizzato non solo un sistema eliocentrico, ma avevano trovato spiegazione al fenomeno delle stagioni, attribuendolo alla diversa inclinazione dell'asse della Terra rispetto allo Zodiaco e quindi rispetto al piano dell'eclittica. Pare inoltre, che avessero già idea della natura stellare del Sole e della distanza infinitamente grande delle stelle.
Un altro "astronomo" della scuola alessandrina degno di nota fu Eratostene, il primo a tentare di calcolare la grandezza della Terra con metodo scientifico, osservando la posizione del Sole nel cielo a diverse latitudini. Famoso rimane l'esperimento compiuto in un giorno di solstizio d'estate, quando misurò la distanza del Sole dallo Zenit dalla città di Alessandria. Sapendo che Syene (la moderna Assuan), in quello stesso istante il Sole era esattamente allo Zenit e conoscendo esattamente la distanza delle due città, riuscì, col calcolo, a trovare la lunghezza del meridiano che le congiungeva, visto che Syene ed Alessandria si trovano quasi alla stessa longitudine. Il valore che ne ricavò fu 250.000 stadi equivalenti a quasi 40.000 chilometri, molto vicino al valore reale.
Il primo vero e proprio astronomo di quel periodo fu però Ipparco di Nicea (194 - 120 a. C. ), scopritore della precessione degli equinozi. Confrontando le sue osservazioni con quelle dei suoi predecessori egli scoprì degli spostamenti di lieve entità che potevano essere rilevati solo con osservazioni fatte a distanza di molto tempo le une dalle altre e che espose nella sua celebre opera "Spostamenti dei punti dei solstizi e degli equinozi".
Di notevole importanza anche il suo "Nuovo catalogo stellare" ove erano catalogate oltre 1.000 stelle, con le coordinate corrette per la precessione e suddivise in sei classi (grandezze) a seconda della loro luminosità. Ipparco fu spinto alla compilazione di questo catalogo dall'apparizione di una "stella nuova" nel 134 a. C. per meglio valutare eventuali nuove apparizioni.
Le osservazioni astronomiche fatte da Ipparco per determinare l'entità della precessione, lo portarono a determinare anche le lievi differenze fra anno siderale (misurato col transito delle stelle al meridiano) ed anno tropico (misurato col passaggio del Sole nel punto equinoziale di primavera). Per quel che riguarda i pianeti, Ipparco, cercò di determinare, con la maggiore precisione possibile, i loro tempi di rivoluzione, senza peraltro costruire un vero e proprio sistema. Negli anni che seguirono la morte di Ipparco non vi è da registrare alcun progresso di una certa rilevanza nelle scienze astronomiche, nè nomi di una certa rilevanza.
Per ritrovare un piccolo risveglio bisogna arrivare a Tolomeo (circa 150 d. C.). Claudio Tolomeo, nato ad Alessandria d'Egitto, fu l'ultimo rappresentante dell'antica astronomia greca. Visse nel II secolo d. C. e, secondo la tradizione, svolse la sua attività di astronomo nei pressi della sua città natale. Il merito principale di Tolomeo fu quello di aver raccolto tutto lo scibile astronomico, qual'era ai suoi tempi, dopo i grandi progressi dovuti ad Ipparco, e, coordinato ed arricchito con le sue esperienze, di averlo esposto nella sua opera principale, l'Almagesto.
Il titolo originale di quest'opera, che è rimasta come testo fondamentale astronomico fino a tutto il medio evo, era "Grande composizione" che tradotto in arabo fa "Al Magistri", da cui il titolo a noi conosciuto "Almagesto". In esso Tolomeo aveva esposto un sistema del mondo, noto come sistema tolemaico anche se non si trattava completamente di farina del suo sacco, che poneva la Terra al centro dell'universo ed i pianeti, compresi il Sole e la Luna, ruotanti intorno ad essa col sistema degli epicicli e dei deferenti. In questo sistema Tolomeo negava anche la rotazione della Terra intorno al proprio asse, essendo il movimento diurno proprio della sfera celeste. Nell'Almagesto, prima di avere a che fare col suddetto sistema, a dimostrare la compiutezza dell'opera, il lettore si viene a trovare davanti a dei capitoli che trattano di coordinate celesti, di trigonometria piana e sferica, di dimensioni della Terra, di eclissi di Sole e di Luna, di strumenti di osservazione e, a completamento, di un catalogo completo delle posizioni di ben 1.022 stelle.
L'Amagesto di Tolomeo, come abbiamo già detto, parecchi secoli come "il Libro" dell'astronomia. Questo perché i metodi matematici e geometrici di cui Tolomeo si serve nella sua opera lo fecero preferire alle simili di quel tempo. Inoltre, per la sua completezza, ebbe una rapida ed ampia diffusione. L'Almagesto fu tradotto infatti una prima volta in latino da Boetius (traduzione mai giunta a noi). Più importante invece la traduzione in arabo, per ordine del califfo Al Manum nell'827 d. C., traduzione che si diffuse in Europa e che fu ritradotta in latino, assai prima che si scoprisse l'originale in greco (1438), a Napoli nel 1230.
Per tornare al sistema costruito da Tolomeo ed esposto negli ultimi cinque libri, o capitoli, dell'Almagesto, bisogna riconoscere che si tratta di un sistema piuttosto complicato, che però risponde con una buona approssimazione alle posizioni dedotte col calcolo matematico. Le irregolarità dei moti dei pianeti, del Sole e della Luna erano facilmente spiegabili mettendo la Terra non esattamente al centro delle orbite planetarie, ma leggermente decentrata. Era in tal modo evidente che a questo fatto era possibile anche attribuire la diversa velocità del Sole nel cielo e soprattutto, l'alternarsi delle stagioni.
Di questo sistema Dante Alighieri fece l'impalcatura del suo 'Paradiso'. Ma non solo. Esso continuò ad essere insegnato nelle scuole del tempo anche dopo le innovazioni di Copernico, Keplero e Galileo fin quasi ai primi del settecento.
Oltre all'Almagesto è doveroso, per completare il curricolum delle opere di Tolomeo dedicate all'astronomia, citare anzitutto l'"Ottica" (di cui rimane solo una traduzione latina eseguita da tale ammiraglio siciliano Eugenio), il "Planisfero" e il "Tetrabiblo", opera in cui è esaltato il valore assoluto dell'astronomia, in confronto a quello dell'astrologia. Celebre è anche la sua "Geografia" che fino all'epoca delle grandi scoperte geografiche rimase la fonte principale di questa disciplina.
Con Tolomeo finisce la storia dell'astronomia greca fatta di poche osservazioni, ma arricchita dalla matematica e dalla geometria che assumeranno una sempre maggiore importanza nell'aiutare questa scienza a progredire ed a perfezionarsi.
Testo pubblicato nell'area Astro.ita della rete FIDONET negli anni '90
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