Freddi mondi lontani: i misteri di Urano e Nettuno svelati dal Voyager II
di Oriano Spazzoli

Voyager 2: Miranda e Nettuno

 

Urano prima del Voyager

Quando nel dicembre del 1985 il Voyager II entrò nell’orbita di Urano erano ancora molti gli interrogativi irrisolti sugli ultimi pianeti del sistema solare. Urano visto da Terra non era altro che una macchiolina verdastra circondata dai suoi satelliti; stupiva in particolare come il loro allineamento fosse in una direzione assai inclinata rispetto all’eclittica e quindi al piano di rivoluzione orbitale del pianeta intorno al Sole. Si sapeva che l’atmosfera di Urano era costituita prevalentemente di metano (dall’analisi spettroscopica della luce proveniente da Urano), e si era notato, dalla variazione di luminosità di una stella occasionalmente in congiunzione con esso, che Urano era dotato di un anello. Inoltre lampi di radiazione ultravioletta ricevuti dal pianeta nel 1982, testimoniavano la presenza di idrogeno e al tempo stesso vennero attribuiti a processi di ricombinazione che si verificavano nell’alta atmosfera, analoghi a quelli che danno origine alle nostre aurore polari. Ci si a spettava di conseguenza che Urano fosse dotato di un campo magnetico sufficientemente forte da giustificare questi fenomeni.
Di Urano infine si conoscevano 5 satelliti: i quattro scoperti da William Herschel (lo scopritore di Urano) nel XVIII secolo, Ariel, Umbriel, Titania e Oberon, più Miranda, il più interno e il più piccolo.

Grande era al tempo stesso l’attesa dell’incontro del Voyager II con Urano, anche alla luce dei successi della doppia spedizione (Voyager I e II) nelle esplorazioni di Giove e Saturno, nonché dei loro satelliti.

DISTANZA MEDIA dal SOLE

2,87 • 109 km

PERIODO DI RIVOLUZIONE

84,1 anni

DIAMETRO EQUATORIALE

51200 Km

PERIODO DI ROTAZIONE MEDIO

17 h

DENSITÀ

1,2 kg/litro

Dati di Urano

Immagini e primi risultati osservativi

Le prime immagini di Urano riprese dal Voyager (ottenute con filtri blu, verde e arancione) mostrano una sfera azzurrognola omogenea, apparentemente liscia come un pallone di gomma; la colorazione azzurrognola si deve alla presenza di metano negli strati alti dell’atmosfera (il metano, la cui formula è CH4, ha una molecola costituita da un atomo di Carbonio e da quattro atomi di Idrogeno, e la sua presenza in abbondanza dei pianeti esterni è resa possibile dal fatto che la maggior parte dell’idrogeno del sistema solare è stata spinta verso l’esterno dal vento solare) e in particolare al fatto che il metano assorbe la radiazione rossa riflettendo invece quella visibile di maggior frequenza.

Ulteriori immagini invece sono state ricostruite a falsi colori per rendere evidenti irregolarità cromatiche altrimenti quasi impercettibili; esse sono state ottenute con filtri UV (ultravioletto), violetto e arancione e hanno mostrato una superficie suddivisa in bande concentriche che si sviluppano dalle regioni circumpolari, bruno-rossicce, fino alla zona equatoriale.

Il fatto che le regioni circumpolari appaiano più scure si deve alla presenza ad alta quota in esse di brine “polari” di idrocarburi le quali assorbono la luce riflessa dal metano (la quale dà luogo a reazioni fotochimiche). Tali brine vengono trascinate verso la regione equatoriale dai venti ad alta quota e questo spiega la graduale variazione cromatica di Urano dai poli verso l’equatore percepibile in queste immagini.

L’uso del filtro arancione (corrispondente a una lunghezza d’onda di 6190 Angstroem, cioè quella della principale riga di assorbimento del metano), consente di vedere quali sono le regioni in cui si verifica il maggior assorbimento, cioè quelle nelle quali c’è la maggior quantità di metano ad alta quota (dove le brine polari sono più scarse). Non è ben chiaro il motivo di questa disomogeneità; forse le brine di idrocarburi, essendo più pesanti, sono generalmente più profonde, ma la veloce rotazione del pianeta (circa 17 ore) e il conseguente schiacciamento ai poli ne fanno affiorare una maggior quantità in prossimità dei poli, in seguito alla fuga del metano verso le regioni equatoriali per la forza centrifuga.

Una opportuna combinazione dei filtri mette in mostra poi particolari importanti che dimostrano come Urano in realtà sia meno quieto di come sembri, immerso nella nebbia delle brine che lo avvolge. Vi si scorgono:

  1. nubi che galleggiano sopra cumuli di metano,
  2. la rotazione differenziata del pianeta (diversi periodi di rotazione a latitudini diverse) che si coglie dal movimento delle formazioni nuvolose.

Ma senza dubbio l’aspetto più spettacolare del pianeta è la straordinaria inclinazione dell’asse di rotazione rispetto al piano orbitale: esso è quasi parallelo al piano dell’orbita intorno al Sole, formando un angolo di ben 82° con la perpendicolare ad esso.

Per dare un’idea di che cosa questo significhi ricordiamo che se fosse la Terra ad avere tale caratteristica non esisterebbero zone temperate e le escursioni termiche stagionali sarebbero così forti da rendere la superficie terrestre assolutamente inadatta alla vita. Il basso irraggiamento dovuto alla grande distanza dal Sole rende la temperatura superficiale molto bassa (per superficie di Urano, pianeta costituito prevalentemente da gas, si intende ovviamente la superficie visibile); in particolare, all’epoca dell’incontro del Voyager con il pianeta la temperatura del polo rivolto verso il Sole era di -208 °C, lievemente superiore a quella della regione equatoriale che era di -215° centigradi.

La possibilità di ricevere radiazione UV da regioni più profonde ha consentito di scoprire come all’interno la temperatura sia notevolmente più alta: in particolare al polo illuminato risulta di 750 °K mentre all’equatore risulta di 1000 °K. È inutile precisare che tale riscaldamento è l’effetto di una produzione energia interna al pianeta.

 

Il mistero del campo magnetico

È curioso che, benché si sapesse già da tempo che Urano doveva possedere un campo magnetico abbastanza intenso, in grado di produrre rilascio di radiazione in grandi aurore polari, il Voyager avvicinandosi ad Urano non sia stato in grado di misurare alcun campo magnetico per molto tempo, fino a quando nelle immediate vicinanze del pianeta non scoprì che il campo magnetico in realtà c’era ed era consistente, ma il suo asse, diversamente da quanto ci si aspettava era fortemente inclinato (55°) rispetto all’asse di rotazione, in modo da formare una configurazione fisica che in elettromagnetismo viene chiamata “rotatore obliquo”.

Le ragioni della presenza di un campo magnetico consistente, e quindi di una magnetosfera di grandi dimensioni, sono nella struttura interna del pianeta; esso è infatti per la maggior parte gassoso con un piccolo nucleo roccioso poco più grande della Terra (il suo raggio è infatti di 7.500 chilometri), intorno al quale ruota velocemente uno strato di idrogeno che la elevata pressione del gas soprastante ha reso liquido, conduttore e ionizzato, condizioni queste che determinano la presenza del campo magnetico (come accade per Giove e per Saturno).

L’accoppiamento tra il campo magnetico ed il vento solare produce la formazione di una serie di fasce di plasma intrappolato (o come si dice in termine tecnico “congelato”) lungo le linee di forza del campo magnetico, analoghe alle fasce di Van Allen terrestri.

L’incanalamento del plasma lungo la linee di forza del campo magnetico poi è responsabile, come si è già accennato, del fenomeno delle aurore polari, su Urano presenti anche alle medie latitudini a causa della suddetta inclinazione anomala dell’asse del campo magnetico.

 

Anelli di Urano

Se da Terra si era intuita l’esistenza di un anello, il Voyager non soltanto fu in grado di confermarla, ma scoprì che quello che si riteneva un unico anello in realtà era costituito da 10 più piccoli: e, d, g, h, b, a, 4, 5, 6 rispettivamente dal più esterno al più interno (con l’aggiunta di un decimo anello molto sottile). Anche gli anelli di Urano sono costituiti di pulviscolo e particelle di ghiaccio e roccia delle dimensioni massime di qualche metro.

Vediamo ora le caratteristiche di alcuni di questi:

Tutti gli altri anelli sono costituiti da particelle molto piccole e hanno una larghezza di qualche chilometro appena.

Tra l’anello più interno e il pianeta c’è poi un disco diffuso a bassa densità di larghezza circa uguale a 3.000 chilometri e costituito di particelle solide.

Va ricordato che già nel XIX secolo Roche calcolò che non si possono formare satelliti a una distanza da un pianeta inferiore a 1,25 volte il suo raggio; la materia in tale spazio, non riuscendo ad aggregarsi per formare un satellite rimane disposta lungo il piano di rotazione del pianeta a formare una serie di anelli e ciò spiega perché tutti i grandi pianeti ne sono forniti.

Come già per Saturno anche intorno ad Urano il Voyager scoprì l’esistenza di piccole lune collocate vicino agli anelli, che con la loro pur debole gravità contribuiscono a confinarli e a stabilizzarli; esse sono denominate “satelliti pastore”.

 

Le lune di Urano

Satellite

distanza da Urano (Km)

diametro

(in Km)

massa/massa di Urano

(x 100000)

densità

(Kg/litri)

albedo

Miranda

130000

500

0,2

1,3

0,3

Ariel

192000

1330

1,8

1,3

0,3

Umbriel

267000

1110

1,2

1,4

0,12

Titania

438000

1600

6,8

2,7

0,2

Oberon

586000

1630

6,9

2,6

0,2

Satellite

diametro (Km)

raggio orbitale (Km)

periodo di rivoluzione

1985U1

130

85892

18h 17m

1986U1

90

66090

12h 12m

1986U2

70

64350

11h 50m

1986U3

70

61750

11h 06m

1986U4

50

69920

13h 24m

1986U5

50

75100

14h 56m

1986U6

50

62700

11h 24m

1986U7

15

49300

7h 55m

1986U8

20

53300

8h 55m

1986U9

50

59100

10h 25m

Il Voyager ha poi notevolmente incrementato il numero delle lune di Urano note; allo stato attuale si conoscono ben 15 satelliti, 10 dei quali scoperti dalla sonda, che transitando inoltre in prossimità dei satelliti maggiori ha permesso di scoprirne interessati caratteristiche morfologiche.

Riassumiamo in una tabella le principali caratteristiche fisiche dei satelliti principali e delle nuove lune.

Ricordiamo che 1986 U7 e 1986 U8 sono i già citati “satelliti pastore”.

Oberon, il più esterno ha mostrato una superficie pianeggiante con ampi crateri scavati nel ghiaccio; in particolare si intravede nelle immagini del Voyager un grande cratere con un picco centrale chiaro che affiora da un fondo scuro costituito materiale di carbonio fuso a causa dell’impatto violento e solidificatosi poi. Gli altri crateri, più vecchi contengono depositi successivi alla loro formazione. Il fatto che Oberon, come tutti i satelliti di Urano tranne Miranda e Ariel, siano scuri si deve proprio alla presenza di grande quantità di carbonati, che hanno un basso potere riflettente.

Titania ha una superficie solcata da profonde valli larghe da 50 a 100 chilometri e lunghe centinaia di chilometri.

Umbriel è il satellite più scuro, con minori variazioni di colore; la sua superficie si presenta punteggiata da una grande quantità di crateri da impatto.

La superficie di Ariel invece contiene zone chiare e zone scure alternate; immagini ravvicinate mostrano sia crateri da impatto che segni di attività geologica, come valli lineari che si intersecano e solchi sinuosi.

Miranda è di gran lunga il più bello dei satelliti di Urano; la sua superficie, completamente ghiacciata, appare irregolare e accidentata, suddivisibile in due tipi di terreni:

Corrugamenti del terreno profondi alcuni chilometri si presentano come chiari segni di attività tettonica.

In un quadro generale di tutti i satelliti si nota come l’attività geologica diminuisca all’aumentare dalla distanza (gli effetti gravitazionali di marea del resto giocano un ruolo fondamentale in essa); la presenza di attività interna, anche piuttosto recente, nei satelliti lascia poi intuire la possibile esistenza di materia fluida nel loro sottosuolo.

 

La riscoperta di Nettuno

DISTANZA MEDIA DAL SOLE

4,5 • 109 km

PERIODO DI RIVOLUZIONE

164 anni

DIAMETRO EQUATORIALE

49500 Km

PERIODO DI ROTAZIONE MEDIO

16 h

MASSA

17,2 masse terrestri

DENSITÀ

1,7 kg/litro

Scoperto alla metà del XIX secolo in seguito a calcoli che attribuivano alle perturbazioni gravitazionali di un nuovo pianeta le irregolarità dell’orbita di Urano, Nettuno (che ai telescopi più potenti appare nulla più di una macchiolina azzurrognola) era ritenuto sia per il colore della luce che rifletteva sia per le caratteristiche fisiche (massa, dimensioni e quindi densità), deducibili anche dal moto dei suoi due satelliti scoperti da Terra (Tritone e Nereide) il gemello di Urano.

Il Voyager II, pur confermando le analogie fisiche tra i due pianeti, quando nel 1989 entrò nell’orbita di Nettuno, dimostrò con immagini decisamente più spettacolari di quelle di Urano che in realtà esso appare decisamente più interessante dal punto di vista estetico, perché la sua superficie visibile vista da vicino presenta un maggior numero di particolari (macchie, striature, veloci nubi gassose) che sfumano l’uno nell’altro in meravigliose variazioni di tonalità dell’azzurro, colore dominante.

Naturalmente la colorazione di Nettuno (evidenziata nelle immagini a falsi colori, ma comunque reale) si deve alla presenza di grande quantità di metano nell’alta atmosfera, come nel caso di Urano.

Tornado alle immagini del Voyager, ricordiamo i principali particolari che caratterizzano la faccia di Nettuno vista da vicino:

Anche nel caso dei cicloni di Nettuno, l’occhio del ciclone, il punto cioè in cui è localizzata la massima depressione atmosferica, è la regione più profonda (verso di essa le nubi ad alta quota si muovono disegnando strette spirali come l’acqua scende verso lo scarico del lavandino); talvolta sull’occhio del ciclone restano in evidenza cirri ad altissima quota che producono lo strano e suggestivo effetto visibile nella macchia “occhio del mago”.

Oltre alle principali anomalie appena descritte il Voyager osservò altri particolari, altre nubi chiare e macchie scure, il cui movimento appariva però così disordinato da impedire agli studiosi dell’atmosfera del “pianeta azzurro” di tracciarne uno schema dinamico sufficientemente preciso.

L’atmosfera di Nettuno contiene oltre al metano (2%), anche idrogeno molecolare (al 85%) ed elio (13%); anche nel caso di Nettuno, come già per Urano, la temperatura molto bassa sulla superficie visibile, prende a salire verso le regioni centrali all’aumentare della pressione.

Probabilmente uno dei processi che produce la formazione di nubi è attivato dalla luce del Sole: essa scinde le molecole di metano ad alta quota ed il metano dissociatosi forma idrocarburi più pesanti i quali a loro volta scendono verso la troposfera sottostante, ove la maggior temperatura li fa evaporare a formare nubi convettive che risalgono verso la stratosfera.

 

Campo magnetico

Anche il campo magnetico di Nettuno, come già quello di Urano è fortemente inclinato rispetto all’asse di rotazione, ma oltre a ciò esso presenta una maggiore irregolarità sia perché i valori sulla superficie visibile sono assai disomogenei (vanno da 0,06 a 1,2 Gauss), sia perché il centro stesso del campo magnetico è fortemente spostato rispetto al centro geometrico del pianeta.

Tali irregolarità vengono attribuite ad effetti mareali prodotti dalla gravità dei satelliti vicini, in particolare di Tritone, uno dei satelliti più massicci del sistema solare, sulle masse fluide del pianeta (che costituiscono la maggior parte della sua massa totale), e in particolare sullo strato di idrogeno liquido e conduttore responsabile del campo magnetico stesso.

Naturalmente l’irregolarità del campo magnetico determina una distribuzione delle aurore polari alquanto irregolare su tutto il pianeta.

 

Tritone

 

Tritone

Nereide

Distanza da Nettuno (in milioni di Km)

0,335

1,4 - 9,7

periodo (giorni)

5,877

360,14

eccentricità

<0,001

0,75

senso di rivoluzione

retrogrado

diretto

Con il suo diametro di 2720 chilometri è il maggiore satellite di Nettuno, la sua densità è 2,03 Kg/litro la sua temperatura superficiale è di -236°. Possiede un tenue atmosfera composta prevalentemente di azoto con una piccola percentuale di metano; la sua pressione atmosferica in superficie risulta di soli 10 microbar (corrispondenti a 1/100.000 di atmosfera). Già le prime immagini del Voyager hanno mostrato un suolo completamente ghiacciato e fortemente accidentato. Successive immagini più ravvicinate con una risoluzione di particolari della superficie di soli 800 metri di larghezza mettono in evidenza una lunga serie di irregolarità morfologiche della superficie: in particolare

Poiché il ghiaccio è assai riflettente e la superficie di Tritone è completamente ricoperta di ghiaccio Tritone ha una albedo altissima: 0,6 per le zone più scure e addirittura 0,9 per le zone più chiare. Ricordiamo che poiché all’epoca del transito del Voyager nei pressi di Tritone Plutone si trovava all’interno dell’orbita di Nettuno, le immagini di Tritone hanno l’affascinante privilegio di provenire dai confini del nostro sistema planetario.

Riportiamo in tabella alcune caratteristiche dinamiche di Tritone e Nereide, l’altro satellite scoperto dai telescopi terrestri.

Anelli e minilune

Nome

dist. da Nettuno (Km)

diametro (Km)

periodo di rivoluzione

albedo

segni particolari

1989N1

(Proteus)

117500

420

26,9

0,06

forma irregolare, crateri da impatti, solchi

1989 N2

73000

200

13,4

0,05

forma irregolare

1989N3

52500

140

8,2

-

-

1989N4

63000

160

10,3

-

orbita inclinata di 4,5° rispetto al piano equatoriale

1989N5

50000

90

7,5

-

-

1989N6

48200

50

7,1

-

-

Se già si sapeva della presenza di anelli intorno ad Urano dalle osservazioni fatte con i telescopi terrestri, invece i tenui anelli di Nettuno furono scoperti soltanto dal Voyager II, anche se pure in questo caso variazioni irregolari di luminosità di alcune stelle in prossimità dell’occultazione avevano fatto ipotizzare l’esistenza di due anelli incompleti. In particolare il Voyager II rilevò la presenza di tre anelli principali e un disco diffuso e trasparente:

Le immagini hanno poi mostrato come gli anelli siano sì tenui e disomogenei, ma continui, e che anch’essi siano dotati di satelliti pastore; in questo caso tale funzione è svolta da 1989N3 (che dista dall’anello interno solo 500 chilometri) e 1989 N4 (che è prossimo all’anello principale).

Dopo l’incontro tra il Voyager e Nettuno ai già noti Tritone e Nereide si sono aggiunti altri sei satelliti. Riporto una tabella riassuntiva contenente alcuni loro dati nonché qualche loro caratteristica morfologica.

 

Conclusione

L’avventura del Voyager tra i pianeti si concluse con il volo intorno a Nettuno; da allora esso prosegue il suo cammino nello spazio verso la nube di Oort ai confini del sistema solare, un cammino senza speranza perché se è vero che il Voyager ha impiegato oltre 10 anni per percorrere l’intero sistema planetario, è altrettanto vero che la nube di Oort dista dal Sole qualche migliaio di volte le distanza percorsa dalla partenza fino a Nettuno e Tritone. Molto probabilmente non saremo più in grado di ricevere i sempre più deboli segnali del Voyager ed esso diverrà un relitto vagente nello spazio molto prima di raggiungere il limite del sistema solare. Ma questo confine così remoto per noi è in realtà qualche decina di volte inferiore alla distanza dalla stella più vicina, che a sua volta è qualche decina di migliaia di volte inferiore alle dimensioni della nostra galassia e così via...

Dunque nel ripercorrere il grande lavoro che quei piccoli esploratori che furono i due Voyager, tuttavia ci si trova sempre a fare i conti con una realtà indiscutibile: le nostre dimensioni infinitesime rispetto all’Universo.

Ma forse il fascino dell’Universo non è solo legato alla bellezza dello spettacolo che ci regala, ma anche a quel suo lasciar intuire al di là dei sensi, alla sua inesplorabilità che però non ci impedisce di immaginare e di descrivere realtà fisiche estreme ben al di sopra della dimensione umana o di considerare l’intero universo come un unico sistema e studiarlo come tale.

 

Le informazioni contenute nella presente trattazione
sono state tratte dagli annuari della rivista l’Astronomia
in possesso della biblioteca dell’Associazione Astrofili Ravennati
“Rheyta”
(A.R.A.R.), e in modo particolare da quelli
relativi agli anni 1986 e 1989.

 

Monografia n.50-2000/9


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