E QUEL GIORNO LA TERRA SI TROVÒ CON DUE LUNE
i sessant'anni dello Sputnik

di Franco Gàbici

Rappresentazione dello Sputnik in orbita terrestre

ALLA NUOVA LUNA

In principio Dio creò il cielo
e la terra, poi nel suo giorno
esatto mise i luminari in cielo,
e al settimo giorno si riposò.
Dopo miliardi di anni l'uomo,
fatto a sua immagine e somiglianza,
senza mai riposare, con la sua
intelligenza laica,
senza timore, nel cielo sereno
d'una notte d'ottobre,
mise altri luminari uguali
a quelli che giravano
dalla creazione del mondo. Amen.

Salvatore Quasimodo
da “La terra impareggiabile”

Mi sono sempre chiesto che faccia avrà fatto la Luna quando, dopo aver intessuto per miliardi e miliardi di anni orbite solitarie attorno alla terra, si accorse che un piccolo intruso costruito dal bipede uomo si era messo a fare altrettanto. D'accordo, si trattava al suo confronto di un vero e proprio granellino di polvere che non avrebbe mai potuto raggiungere le sue altezze, ma era pur sempre un segnale che lo spazio non era più completamente suo.
“Che fai tu Luna in ciel, dimmi che fai?”.
Mmmh, avrebbe risposto la Luna, sto a guardare e ti dirò che sono anche abbastanza ingrugnata al punto che mi verrebbe da esclamare ciò che disse Catone quando vide passeggiare il sommo Dante nel suo Purgatorio: “Son le leggi d'abisso così rotte? O è mutato in ciel nuovo consiglio, che, dannati, venite a le mie grotte?”.
E invece le leggi non si erano affatto rotte, ma era successo semplicemente che gli uomini avevano messo in orbita una luna artificiale.

Elementare Watson! Elementare? Provate a dirlo agli americani, che da due anni avevano annunciato al mondo intero per bocca del presidente Eisenhower che durante l'anno geofisico internazionale (ottobre 1957 - dicembre 1958) avrebbero mandato in orbita un satellite artificiale.
E tutti ne erano convintissimi perché l'America era grande e in fatto di tecnologia nessuno poteva batterla anche perché, si diceva, le grandi scoperte e i grandi progressi possono avvenire solamente nei paesi liberi.
E l'America lo era, mentre la Russia no, tant'è vero che all'inizio del film di Frank Tashlin "Hollywood or bust!" (distribuito in Italia col titolo “Hollywood o morte!”) Jerry Lewis impersona il cinefilo russo e, se vi ricordate, Jerry indossa il colbacco e quando applaude si vede che ha le mani legate da una grossa catena che gli stringe entrambi i polsi.

Tutti, insomma, se ne stavano col naso per aria ad aspettare il prodigio.
Il satellite americano era pure stato battezzato con una sigla che, evidentemente senza saperlo, anticipava l'epoca dell'informatica.
Infatti lo avevano chiamato Mouse, che con il computer non c'entra assolutamente niente, ma che è l'acrostico di Minimum Orbital Unmanner Satellite Earth.
Sui giornali, intanto, cominciavano ad apparire con una certa insistenza interviste a grandi personaggi (Von Braun in prima fila) che parlavano di questo satellite che avrebbe sbalordito il mondo intero.

E invece, zac, arrivò la mazzata.
Zitti zitti, infatti, i sovietici lasciarono tutti con un palmo di naso annunciando al mondo intero che nella notte fra il 4 e il 5 ottobre del 1957 avevano messo in orbita il primo satellite artificiale.

7 otobre 1957, LE FIGARO 7 ottobre 1957, NEW YORK HERALD TRIBUNE 8 ottobre 1957, LA STAMPA 19 ottobre 1957, VIE NUOVE
20 ottobre 1957, LA DOMENICA DEL CORRIERE
6 gennaio 1958, TIME
30 novembre 1957, SAPERE
4 novembre 1957, GUERIN SPORTIVO

Era un aggeggio di alluminio grande quanto un pallone da basket, ma agli americani sembrò un dinosauro.
Che figura! E mentre gli addetti ai lavori si palleggiavano l'un con l'altro la responsabilità (Truman aveva ragione quando diceva che occorreva potenziare la politica dei missili e adesso vi sta bene come un vestito nuovo se i Russi sono arrivati primi nella corsa allo spazio…) dopo nemmeno un mese i Russi spararono un altro colpo annunciando “Sputnik 2”, una specie di fortezza volante che pesava mezza tonnellata e che a bordo aveva la famosa cagnetta Laika.

17 novembre 1957, DOMENICA DEL CORRIERE

E se siamo in grado di mandare in orbita macchine volanti di questa stazza, questo sembrava essere il messaggio politico dei Sovietico, saremo in grado anche di mandare in orbita macchine con bombe e missili a sorvolare sulle vostre teste.
Occhio al cielo, dunque! Era questo, in fondo, il caldo clima della guerra fredda.

Amici miei, si dissero gli americani, qui bisogna correre subito ai ripari e in fretta e furia chiamarono a raccolta tutti i loro esperti.
Van Allen, che stava dirigendosi verso il Polo Sud per una missione scientifica, rientrò immediatamente per accelerare i tempi della messa in orbita del satellite dello zio Sam e tutti si misero freneticamente al lavoro.
Gli americani, com'è noto, hanno sempre amato far le cose alla luce del sole e convocarono tutti davanti ai teleschermi per il lancio del loro satellite mentre una torma incredibile di giornalisti e di curiosi affollò le vicinanze di Cape Canaveral per assistere al prodigio.

Conto alla rovescia: dieci, nove… e allo “zero!” il Vanguard si alzò da terra di poche spanne e dopo due secondi bruciò sulla rampa come un cerino.

27 dicembre 1957, THE NEW YORK TIMES

La Nasa, che all’epoca non esisteva ancora (fu fondata, infatti, nel luglio del 1959 e divenne operativa solamente il 1 ottobre), avrebbe più avanti dato la notizia che l’apogeo raggiunto dal Vanguard era stato di 60 centimetri!
Il senatore Johnson, futuro presidente degli Usa, definì il lancio del Vanguard “il fallimento meglio propagandato e più avvilente della nostra storia”.
E il parere unanime di tutti gli americani fu riportato da un servizio di “Epoca” dall’eloquente titolo “Carnevale a Capo Canaveral” e sintetizzato in questo concetto: “Non era possibile far capire a quelli del Vanguard che sarebbe stato meglio nell’interesse pubblico che essi avessero conservato la delusione per se stessi?”.
L’International Herald Tribune uscì con un pezzo di otto colonne col titolo “Kaputnik”.
Tutti d’accordo, dunque, che la gattina frettolosa aveva dato alla luce un gattino cieco.

Dopo il lancio dei primi due satelliti, il programma “Sputnik” prevedeva altri tre lanci, l’ultimo dei quali, messo in orbita il 19 agosto del 1960, fu una specie di arca di Noè che ospitava due cani, quaranta topi, due ratti e una varietà di piante.
Dopo alcuni giorni i cani e sei topolini furono recuperati e fu un primo importantissimo passo verso la conquista del “quarto ambiente” (così a quei tempi era chiamato lo spazio, che faceva il poker con la terra, il mare e l’aria).

Poi arrivarono Gagarin, Glenn e la Tereskova.

La battaglia a suon di missili fra le due superpotenze continuò a ritmi serrati in nome dello slogan “Primi nello spazio significa primi in tutto” inventato da un senatore americano e il testa a testa si concluse nel famoso 21 luglio del 1969 quando l’America arrivò prima sulla Luna.

1979, foglietto emesso dall'USA nell'anniversario dello sbarco di Apollo 11

Quell’impronta di Armstrong cancellò gli smacchi dello Sputnik e, almeno per quella volta, la par condicio tecnologica fu rispettata in pieno.

 

- dall' “Almanacco del Planetario duemiladiciassette” -


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