INTRODUZIONE ALLA TEORIA DELLA RELATIVITÀ
di Claudio Zellermayer


Albert Einstein in visita all'osservatorio
di Monte Wilson negli Stati Uniti

La teoria della relatività ristretta o relatività speciale, come viene chiamata nei paesi anglosassoni, trae origine dagli studi di Albert Einstein formalizzati in un articolo del 1905.

Per poter dare un’occhiata a questa teoria ed a come essa ha rivoluzionato il mondo della fisica occorre tornare un po’ indietro nel tempo e risalire fino a Newton ed al suo problema della ricerca del sistema di riferimento assoluto. Per poter descrivere qualsiasi fenomeno fisico sotto forma di legge è necessario avere un sistema di riferimento ed occorre che tale sistema di riferimento non alteri in alcun modo la nostra descrizione del fenomeno. Nella nostra vita quotidiana siamo portati spontaneamente a fare riferimenti quando facciamo delle misure, o quando diamo delle indicazioni. Per descrivere le leggi della fisica dobbiamo definire una categoria di sistemi di riferimento, detti inerziali. Nei sistemi di riferimento inerziali vale il principio di inerzia o prima legge della dinamica che afferma che se un corpo non è soggetto a forze fisiche esso rimane nel suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme. Questa definizione del principio di inerzia è dovuta a Galileo Galilei.

Un sistema non inerziale è quindi un sistema associato ad un corpo sottoposto a forze e quindi ad una accelerazione. Trovato un sistema inerziale, se ne possono definire infiniti altri purché il moto relativo di ognuno di questi sistemi sia rettilineo uniforme.

Un esempio di situazione in cui vale il principio di inerzia è il volo delle sonde spaziali nel cosmo. Una volta che queste sonde sono sfuggite alla forza di gravità della Terra, esse continuano il loro viaggio con velocità costante, la velocità che avevano nel momento in cui non subivano più la forza di gravità. Se tutti i sistemi di riferimento inerziali hanno moti relativi, ci si chiede quale è, fra tutti questi, quello che è in quiete assoluta, cioè fermo.

Il problema di Newton consisteva nel trovare un sistema inerziale in quiete assoluta e si pensò di trovare tale sistema introducendo l’esistenza dell’etere, una sorta di quasi-vuoto, trasparente, impalpabile e legato alle stelle fisse. Tutti i sistemi inerziali hanno quindi un moto rispetto all’etere anche se tale moto è costante, cioè rettilineo uniforme.

Il bisogno della ricerca dell’etere si fa più pressante quando si ha l’unificazione delle forze elettriche e magnetiche ad opera di James Clerk Maxwell. Una carica elettrica (ad esempio un elettrone) che oscilla nello spazio genera un campo elettromagnetico che si propaga sotto forma di onda piana. Il problema sta nell’individuare il mezzo di propagazione delle onde elettromagnetiche.

Le conoscenze che si avevano alla fine del secolo scorso dei fenomeni ondulatori mostravano che era necessario averne uno: le onde sonore si propagano nell’aria, mentre l’acqua propaga le perturbazioni. Per le onde elettromagnetiche il mezzo di propagazione non poteva essere il vuoto e quindi viene riesumato l’etere.

Un esperimento, molto noto, fatto nel 1887 da Michelson e Morley, eseguito proprio per misurare la velocità della Terra nell’etere, mostra inconfutabilmente che tale velocità è nulla. Sulla base di tale esperimento Einstein ipotizza che l’etere non esista e di conseguenza non esiste un sistema di riferimento assoluto: i moti sono tutti relativi. All’epoca di Einstein già si sapeva che la luce e più precisamente la radiazione elettromagnetica, si propagava con velocità finita pari a circa 300.000 km/sec.

Già verso la fine del 1600 l’astronomo danese Roemer constata che la luce ha una velocità finita. Osservando le eclissi dei satelliti di Giove nota che c’è un ritardo tra la posizione dei satelliti e la previsione. Giustamente Roemer imputa il ritardo al fatto che la luce non si propaghi istantaneamente e dà una prima valutazione della velocità della luce: circa 220.000 km/sec. Considerando l’epoca di questa misura, è un’ottima approssimazione.

Da questi presupposti Einstein enuncia i suoi postulati di relatività:

  1. Le leggi della fisica hanno la stessa forma in tutti i sistemi di riferimento inerziali;
  2. La luce ha una velocità finita sempre uguale in tutti i sistemi di riferimento inerziali.

Il secondo postulato quindi pone un limite invalicabile alle velocità in natura. Se in qualsiasi sistema di riferimento inerziale un segnale luminoso ha la stessa velocità, sarà impossibile superare tale limite. Supponiamo di trovarci su un’astronave in moto ad una velocità sostenuta. Se dall’astronave viene inviato un segnale luminoso nel verso di percorrenza dell’astronave, un osservatore fermo rispetto all’astronave dovrebbe vedere quel segnale muoversi ad una velocità pari alla somma della velocità della luce più quella dell’astronave. Il secondo postulato di relatività afferma che ciò non è vero: il segnale luminoso per l’osservatore fermo si muoverà sempre alla velocità della luce.

All’epoca di Einstein fare simili ipotesi era senz’altro azzardato, ma nel seguito i due postulati si sono dimostrati corretti tutte le volte che se n’è cercata la verifica. Da questi due postulati apparentemente semplici si deve edificare nuovamente tutta la fisica, migliorandone quelle parti che sono in contrasto coi postulati di relatività. Ciò significa che la fisica newtoniana ha una sua validità limitata al campo delle velocità molto basse rispetto alla velocità della luce. Il solo fatto di considerare la luce come una velocità limite della natura porta come immediata conseguenza l’eliminazione del concetto di tempo assoluto.

Nella fisica di Galileo e Newton il tempo scorre in modo assoluto in tutti i sistemi di riferimento; infatti un intervallo di tempo tra due eventi in un sistema di riferimento inerziale è lo stesso se misurato in un altro sistema in moto rispetto al primo. Nella relatività ristretta la situazione non è più la stessa. Per un osservatore che viaggia a velocità prossime a quelle della luce il tempo scorre più lentamente che per l’osservatore fermo. Per l’osservatore in moto l’intervallo di tempo è sempre lo stesso, cambia la sua misura quando si passa da un sistema all’altro.

Questo è dovuto al fatto che nella teoria della relatività la luce impiega tempo per collegare due punti dello spazio. Tale fenomeno è noto col nome di dilatazione del tempo. È chiaro però che nel momento in cui consideriamo eventi che si muovono a velocità molto basse rispetto a quella della luce vale la fisica classica così come la si impara a scuola.

Altra conseguenza della teoria della relatività ristretta è che un oggetto che si muove a velocità prossima a quella della luce appare ad un osservatore in quiete, più corto rispetto alla dimensione dell’oggetto medesimo in quiete. Quest’effetto noto come la contrazione delle lunghezze è un effetto che non può essere misurato direttamente, cioè non può essere verificato, a differenza del primo effetto relativistico, la dilatazione del tempo, che può essere quantificato sperimentalmente in vari modi. La dilatazione del tempo e la contrazione delle lunghezze sono le conseguenze più vistose della relatività ristretta.

Anche nel caso della teoria della relatività ristretta, come per tutte le teorie è sempre necessario che ci siano delle verifiche sperimentali. Dato che la contrazione delle lunghezze non può essere verificata, l’unico effetto realmente misurabile è la dilatazione del tempo. Tali misure vengono eseguite nei laboratori di fisica atomica dove studiando il tempo di vita delle particelle subatomiche, in quiete ed in moto, è possibile verificare appunto che le particelle in moto relativistico vivono più a lungo di quelle in quiete o comunque in moto newtoniano.

Unitamente a queste verifiche sulla dilatazione del tempo, quando una particella viene accelerata sempre più affinché raggiunga una velocità prossima a quella della luce, l’energia spesa per tale accelerazione si trasforma in massa, cioè aumenta la massa della particella in questione. Al limite, una particella che raggiunga la velocità della luce (e non sia un fotone, cioè un quanto di luce), dovrebbe avere una massa infinita.

La relazione che lega queste grandezze è la ben nota:

E = mc2

dove E è l’energia, m è la massa e c è la velocità della luce moltiplicata per se stessa due volte.

Molti altri esperimenti simili hanno sempre dimostrato la totale validità di questa teoria. Altro concetto di grande importanza nella relatività ristretta è lo “spaziotempo”: in relatività ristretta, dato che il tempo non è più assoluto, non è possibile slegare il concetto di spazio da quello di tempo. Il tempo diventa quindi un’altra coordinata da aggiungere alle tre spaziali che già conosciamo.

D’altronde anche noi in pratica usiamo quattro coordinate o quattro dimensioni nella vita di tutti i giorni. Quando fissiamo un appuntamento con una persona indichiamo un posto (tre coordinate per lo spazio) e l’ora (una coordinata per il tempo). La differenza sta nel fatto che in questa teoria si stabilisce un legame geometrico tra lo spazio e il tempo.

Dal concetto di tempo relativo si passa poi alla conseguenza che la simultaneità degli eventi viene a cadere quando abbiamo sistemi di riferimento in moto relativo. Due eventi si dicono simultanei quando accadono nel medesimo istante. Nella relatività ristretta, eventi che sono simultanei se misurati in un determinato sistema di riferimento inerziale senz’altro non lo saranno più se osservati da un altro sistema di riferimento inerziale in moto uniforme.

La relatività ristretta ed ancor di più la relatività generale, che è il miglioramento di questa teoria, hanno cambiato completamente il modo di porsi davanti alla natura.

Accettare che esiste una velocità limite, invalicabile, ha posto dei confini a ciò che noi possiamo fare. Ad esempio questa velocità rende di fatto impossibile i viaggi interstellari perché, pur essendo elevata la velocità della luce rimane sempre piccolissima rispetto alle distanze tra le stelle, inoltre per accelerare una astronave a velocità prossime a quella della luce occorre una quantità di energia talmente elevata da prosciugare tutte le riserve della Terra per secoli. Inoltre osservare oggetti celesti, come le galassie, che sono a distanze dell’ordine delle decine di milioni di anni luce (un anno luce è la distanza che compie la luce in un anno pari a circa 10.000 miliardi di chilometri) significa vedere tali oggetti come erano quando la luce è partita, cioè milioni di anni fa. Di fatto è come viaggiare indietro nel tempo.

Il fenomeno della dilatazione del tempo implica che un astronauta che viaggiasse alla velocità della luce per andare, ad esempio, alla stella più vicina, distante circa 4 anni luce, al suo ritorno sulla Terra, troverebbe non più la gente invecchiata di 8 anni, ma di secoli. Molto probabilmente si perderebbe il ricordo della sua partenza. Per lui sono passati fisicamente 8 anni, per chi è rimasto sulla Terra, col tempo relativisticamente dilatato, sono passati dei secoli. I concetti nuovi della relatività oltre a rivoluzionare la fisica ci costringono a confrontarci con situazioni che richiedono tempo e pazienza per essere accettate ed in seguito comprese.

 

Monografia n.9-1997/3


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