di Oriano Spazzoli
Nebulosa del Granchio (M
1 o Crab Nebula)
generata dall'esplosione di una Supernova
Prostrato umilmente davanti a vostra maestà, do notizia che è apparsa una stella ospite che splende di luce gialla. Esaminato attentamente lauspicio riguardo allimperatore ecco quale è stata linterpretazione: il fatto che la stella ospite sta dentro la casa lunare Pi e la pienezza del suo splendore significano che nel paese cè una persona di grande saggezza e virtù. rivolgo preghiera che questo avvenimento sia fatto registrare dallUfficio della Storiografia.
Queste parole dellastrologo Yang Wei Te
annunciarono allimperatore della Cina nel luglio 1054 d.C.
(1° anno, 7° mese e 22° giorno del regno di Ci-Ho), la
comparsa nella costellazione del Toro (la casa lunare Pi) di una
stella luminosissima mai vista prima.
Contemporaneamente dalla parte opposta del globo indiani
dellantica cultura Anasazi in Arizona, ritraevano in
pitture murali la Luna con accanto un oggetto di dimensioni
paragonabili al disco lunare. Forse limmagine che essi
hanno lasciato di questa straordinaria osservazione non
corrisponde esattamente alla realtà, ma gli astronomi
contemporanei, risalendo dallattenta analisi delle
testimonianze sia alla posizione esatta che alla luminosità
delloggetto osservato sono oggi giunti alla conclusione che
dovette trattarsi di una stella di magnitudine apparente
(grandezza che indica la luminosità di un oggetto visto dalla
terra) -6, più luminosa di come appare il pianeta Venere,
(lastro più luminoso per noi dopo il Sole e la Luna, il
quale assume al suo massimo magnitudine -4,4) a 2° di distanza
dalla falce tipica della fase immediatamente precedente la
Luna nuova.
Fatto altrettanto straordinario fu che la suddetta stella, come era apparsa a poco a poco si affievolì, come ingoiata mese dopo mese, dalloscurità del cielo fino a sparire circa due anni dopo. Altre analoghe testimonianze variamente collocate in ordine cronologico, sono riportate negli annali astronomici cinesi.
Le stelle nuove
Contemporaneamente allosservazione della stella misteriosa del 1054 lEuropa attraversava i secoli bui del Medioevo, scenario storico dominato dal difficile rapporto tra politica e religione, ancora refrattario alle novità scientifiche perché rigidamente ancorato alla visione del mondo aristotelica. Essa aveva perso nei secoli la sua carica innovativa e la compatibilità con i rigidi schemi della teologia medioevale (nonché con gli inganni del senso comune) la rendevano scienza ufficiale.
Uno dei fondamenti di tale visione era lassegnazione al cielo della natura divina, cui si abbinava il requisito fisico dellimmutabilità (ciò che è di natura divina non può né nascere né morire e deve sempre essere uguale a sé stesso): dunque non si poteva concepire come reale una stella che facesse la sue apparizione in cielo dal nulla e nel nulla tornasse. In obbedienza a ciò oggetti come le comete e le meteore luminose venivano considerate prodotti del mondo sublunare (in particolare esalazioni dalla sfera del fuoco come i fulmini). Forse proprio per questo notizie attendibili di apparizioni di stelle nuove in Occidente scarseggiano dallantica Grecia fino al Medioevo.
Forse le uniche informazioni degne di menzione al riguardo ci vengono dagli Annales Hepidanni, dellabbazia benedettina svizzera di San Gallo; nella parte che copre gli anni tra il 919 e il 1044 è annotato: É apparsa una nuova stella di grandezza inconsueta, di aspetto scintillante e abbagliante per gli occhi, che ha suscitato timore. Come per una sorta di prodigio essa appariva ora contratta, ora diffusa e altre volte quasi spenta. È stata inoltre visibile per tre mesi ai limiti estremi del Sud, al di là di tutte le costellazioni che vediamo in cielo....
Oggi si sa che lo scritto fa riferimento ad una stella apparsa nella costellazione del Lupo nel 1006 (losservazione è confermata dagli annali del monastero di Santa Sofia a Benevento, ove si parla di una stella clarissima apparsa in quellanno), la quale raggiunse molto probabilmente magnitudine apparente -9.
Una svolta nellanalisi di tali fenomeni si ebbe quando, la sera dell11 Novembre 1572, uno dei più grandi astronomi della storia, il danese Tycho Brahe, sostando presso il monastero di Herridsvadd al ritorno da un viaggio in Germania, notò una stella brillantissima 5° a Nord-Ovest di Cassiopeiae, in un punto in cui non si era mai notato alcun astro. «La stella non aveva coda, né appariva contornata da veli nebulosi...il suo splendore era molto superiore a quello offerto in quel momento dal pianeta Giove... rivaleggiava in fulgore con Venere allepoca in cui essa si trova alla massima vicinanza. Era persino visibile in pieno giorno da chiunque godesse di buona vista».
Raggiunta una magnitudine apparente massima uguale a -4 (alla stima di queste luminosità contribuì in maniera decisiva Walter Baade, astronomo presso losservatorio di Mount Wilson in California; egli infatti fissò dei criteri di valutazione che consentissero di associare ad una indicazione qualitativa sulla luminosità fornita dalle antiche testimonianze scritte, un valore corrispondente della magnitudine entro lindeterminazione di 1/4 dellunità), dopo circa 17 mesi la stella disparve senza lasciare traccia.
Anche se Tycho condivideva la posizione tradizionale sullimmutabilità dei cieli, i tempi erano mutati e il dibattito sulla recente teoria eliocentrica di Copernico aveva stimolato la reattività del mondo scientifico alle novità e alle eccezioni; così questa osservazione casuale lo spinse a effettuare misure precise sulla posizione delloggetto celeste osservato rispetto alle stelle vicine. Per fare ciò collocò un sestante in modo tale che il suo asse fisso fosse appoggiato al davanzale della finestra e su di un pilastro allinterno della stanza e che il suo asse mobile scorresse lungo il piano meridiano della finestra.
Osservazioni sistematiche svolte lungo tutto il periodo dellapparizione della stella non mostrarono alcun moto della stella relativo a quelle vicine: ne concluse che lastro osservato non poteva essere altro che una delle cosiddette stelle fisse. Espose poi i risultati dei suoi studi e delle sue deduzioni nel trattato De nova et nullius evi memoria prius visa stella del 1573; tuttavia egli riteneva ancora la nascita di una stella un miracolo; come tale esso non consentiva di affermare in generale che la cosmologia aristotelica fosse in errore.
Un altro fenomeno analogo fu osservato la sera
del 9 ottobre 1604 da un medico cosentino rimasto sconosciuto
(che rivelò la sua scoperta al padre gesuita Cristoforo Clavio)
e contemporaneamente dallastronomo Ilario Altobelli nella
regione meridionale della costellazione dellOfiuco.
Lastro fu poi studiato nel 1605 da Johannes Kepler per
tutto il periodo in cui risultò visibile (circa un anno, con
magnitudine massima pari a -3); i risultati del lavoro del grande
astronomo tedesco sono raccolte nel trattato De Stella
Nova in Pede Serpentarii.
Da allora osservazioni di fenomeni analoghi si sono succedute in grande quantità ed il termine stella nova si può dire sia divenuto il termine convenzionale con cui si sono classificati tali fenomeni.
Novae: interpretazione astrofisica
Se nellantichità le stelle novae erano ritenute una anomalia inspiegabile nel cielo, oggi il loro mistero è stato parzialmente svelato soprattutto grazie alle conoscenze sulla struttura della materia e sulla natura della luce, nonché dal contributo allastrofisica che ne è seguito.
Particolare importanza rivestirono nello studio delle cause astrofisiche di questi fenomeni la classificazione e linterpretazione che il fisico tedesco Kirchhoff fornì dellanalisi spettroscopica della luce emessa da un gas (lanalisi spettroscopica della luce di una sorgente incandescente, scomposta con un prisma, mostra comportamenti dipendenti dalla natura della sorgente: se la sorgente è un gas caldo si ha lo spettro a righe, ovvero la luce è composta da una serie di righe staccate luna dallaltra di diversi colori, se è un gas ionizzato o un solido o liquido incandescente si ha uno spettro continuo, in cui cioè i colori delliride si succedono luno allaltro senza interruzioni; se poi davanti ad una sorgente di continuo si trova un gas più freddo, questultimo determina la sovrapposizione al continuo di una serie righe oscure che costituiscono lo spettro di assorbimento. Inoltre ogni gas è responsabile di una serie particolare di righe di emissione e assorbimento e le sue condizioni fisiche determinano sia la distribuzione in intensità luminosa del continuo sia la larghezza delle righe, nonché il loro spostamento per effetto Doppler verso il blu per una sorgente in avvicinamento e verso il rosso per una sorgente in allontanamento).
Nel 1866 dunque W. Huggins si accorse che gli spettri delle stelle novae si presentavano diversi da quelli delle stelle ordinarie, la cui luce analizzata mostrava uno spettro continuo con righe di assorbimento (dovuto al fatto che le stelle sono agglomerati di gas i cui atomi sono ionizzati, cioè privati dei loro elettroni, dallalta temperatura che vi si verifica e alla presenza di gas più freddo nella parte esterna delle atmosfere stellari responsabile dellassorbimento); essi rivelavano larghe righe di emissione prodotte da gas (soprattutto idrogeno) ad alta temperatura, sicuramente rifornito di energia da un precedente processo esplosivo.
Quando poi nel 1885 si scoprì nella galassia di Andromeda una nova molto più luminosa della media delle novae osservate nella stessa galassia si prospettò lipotesi, poi verificata da Erwin Hubble negli anni '20, che Andromeda fosse un sistema stellare simile alla nostra galassia, e che quindi, se in esso le novae avessero avuto la stessa luminosità che nella nostra galassia, quelloggetto avrebbe costituito il primo esempio di una nuova categoria di fenomeni, detti supernovae, risultato di eventi esplosivi di entità molto superiore a quelli che si verificano nelle novae.
Alla base della costruzione di un modello astrofisico che spieghi entrambi i fenomeni cè lo studio delle cosiddette curve di luce grafici che rappresentano la luminosità, ottenuta con sistemi di fotometria ottica, a intervalli di tempo regolari. Ne risulta per le novae una variazione di luminosità improvvisa di un fattore 104, e talvolta anche superiore, rispetto al minimo, nonché una brevissima durata del fenomeno esplosivo (da qualche decina di giorni per le più veloci a qualche mese per le più lente) in rapporto al periodo di quiescenza (che per le novae ricorrenti è di qualche decina di anni).
Gli spettri delle novae durante la fase di quiescenza sono continui e corrispondenti ad una elevata temperatura superficiale; poiché la luminosità assoluta in tale fase è molto bassa ed essa è legata alla temperatura dalla relazione
L = 4 psR2T4
se ne deduce che il raggio delle stelle in questione deve essere molto piccolo, probabilmente una nana bianca (stella di massa inferiore a 1,5 masse solari che ha esaurito il suo combustibile nucleare e si è contratta fino ad assumere una densità di una tonnellata per centimetro cubo) o una stella avviata a diventarlo.
La fase esplosiva delle novae, oltre che dallaumento di luminosità di cui si è già parlato, è caratterizzato anche da una sequenza di fasi in cui lo spettro della stella subisce delle variazioni, che forniscono a loro volta indicazioni sulle modalità del processo esplosivo: dopo una prima fase immediatamente seguente lesplosione, in cui lo spettro è di tipo stellare (continuo con righe di assorbimento allargate dalla elevata temperatura e spostate per la elevata velocità impressa dallesplosione allo strato di gas assorbente espulso), si passa ad una seconda fase in cui lo spettro diviene a righe di emissione, inizialmente sovrapposte al continuo, ma che poi allindebolirsi di questultimo divengono lunica componente dello spettro (fase nebulare poiché lo spettro a righe è caratteristico delle nebulose gassose) prima che, al loro indebolirsi vi appaia sovrapposto ad esse il debole spettro continuo della stella nella fase di quiescenza. Il succedersi di queste fasi è pienamente in accordo con lidea che il fenomeno sia in realtà un processo esplosivo nel quale dapprima la stella scaglia fuori, come unonda durto sferica, una parte del proprio inviluppo esterno (questo spiega lo spettro stellare iniziale) il quale poi diradandosi forma una piccola nebulosa sferica.
Per quale meccanismo dunque una stella piccola e debole può esplodere con tanta violenza?
Losservazione delle curve di luce di una grande quantità di novae ha mostrato una tipologia alquanto varia di questi oggetti, e ciò rende più difficile per gli astrofisici il costruirne un modello interpretativo comune.
Comunque il fatto che molte novae siano state
individuate in sistemi binari permette di considerare come
possibile causa dellesplosione un processo tipico dei
sistemi doppi formati da due stelle molto vicine (doppie
strette) di massa diversa, nei quali la stella più
massiccia si evolve più rapidamente dellaltra dando
origine nella fase finale ad una stella di piccole dimensioni
(forse anche una nana bianca) la cui forte attrazione
gravitazionale risucchia materia dalla compagna;
poiché le due stelle ruotano intorno al comune centro di
gravità al gas così sottratto è impressa la rotazione della
stella cui viene tolto e ne risulta che esso cadendo verso la
stella che lo attrae vi si muove descrivendo una spirale.
A poco a poco il gas attratto, riscaldandosi nella sua caduta, si
addensa intorno alla stella più densa fino a formare un
disco di accrescimento; lurto tra la materia in
caduta e il disco di accrescimento riscalda il disco nel punto di
caduta stesso e leclissi periodica di tale punto (detto
hot spot o macchia calda), che essendo più caldo del
resto del disco irradia maggiore energia rispetto al resto del
disco, spiega le oscillazioni di luminosità a breve periodo (da
qualche ora a qualche giorno) che si individuano nelle curve di
luce delle novae in ciascuna delle fasi evolutive. Inoltre
lidrogeno incandescente caduto sulla stella comprime la
materia sottostante finché non vi si mescola innescando una
reazione che determina una condizione di instabilità e la stella
esplode espellendo lidrogeno intruso e
ritornando nelle condizioni iniziali.
Le Supernovae: tipo I e tipo II
Supernova SN 2001V in NGC 3987 (Osservatorio
di Bastia - RA)
Come si è già detto il fenomeno delle Supernovae ha entità molto superiore: fu lastronomo svizzero Fritz Zwicky negli anni '50 a classificarle come una categoria di oggetti a parte diversificandoli delle novae classiche.
Ed in effetti si calcola che lenergia sviluppata dallesplosione sia dellordine di 1043~1044 Joule, e laumento di luminosità che ne risulta le porta ad assumere una luminosità massima 108~109 volte superiore a quella solare. Le più importanti testimonianze storiche dellapparizione di stelle nuove nel cielo sono state identificate con certezza come supernovae.
Dal 1885 ad oggi sono state scoperte e studiate diverse centinaia di supernovae e dallanalisi delle relative curve di luce si è stilata una classificazione di tali fenomeni in due tipi: le supernovae di tipo I (SI) e quelle di tipo II (SII).
Le prime hanno una sola curva di luce caratteristica che mostra come la luminosità raggiunga una magnitudine assoluta massima M=19,8 dopo aver percorso le ultime 2,5 magnitudini prima del massimo in 20 giorni e prima di seguire un cammino inverso quasi speculare nei successivi 20 giorni. In seguito la diminuzione di magnitudine assoluta presenta un andamento lineare con il tempo (il diagramma cartesiano che rappresenta il tempo in ascissa e la magnitudine assoluta in ordinata ha la forma di una retta). I loro spettri non permettono un chiara identificazione degli elementi, tuttavia quando ciò è possibile da essi si può dedurre che la velocità di espansione della materia espulsa dal processo esplosivo è dellordine di 10.000 Km/s.
Le supernovae di tipo II, che raggiungono una magnitudine assoluta massima M=16,5, invece non hanno una curva di luce tipica. Il loro spettro ha caratteristiche simili a quelli delle novae; da esso è possibile ricavare che la velocità di uscita della materia espulsa è circa 5103 Km/s. Esse per lo più si osservano nei bracci delle galassie a spirale.
La causa del fenomeno delle supernovae si
inquadra nel complesso ed articolato quadro dellevoluzione
delle stelle. Nel nucleo di ogni stella la fusione nucleare di
elementi leggeri permette alla pressione del gas stellare di
bilanciare la gravità stessa della stella.
Quando il combustibile nucleare (idrogeno, elio, carbonio...) in
grado di svolgere efficientemente tale funzione si esaurisce, la
stella comincia a contrarsi e se la sua massa è inferiore a 1,5
masse solari la materia può assumere una struttura compatta
(detta degenere, nella quale il comportamento
quantistico degli elettroni gioca un ruolo fondamentale) con
densità che raggiungono la tonnellata per centimetro cubo, e
pressione elevatissima in grado di bloccare la contrazione
gravitazionale e di produrre quindi una struttura stabile (anche
se non sono più attivi in essa meccanismi di produzione di
energia e quindi la stella è destinata a raffreddarsi per
irraggiamento).
Se invece la stella ha una massa superiore a tale limite
(limite di Chandraseckar) la contrazione non si
arresta e la stella prosegue il suo collasso, che
assume le caratteristiche di un processo implosivo violento. In
esso probabilmente si produce unonda di riflessione
responsabile dellespulsione verso lesterno della
materia dellinviluppo e di parte del nucleo della stella.
Lenergia prodotta nellesplosione è così elevata da creare di nuovo le condizioni per la sintesi nucleare degli elementi (le supernovae vengono considerate le principali responsabili dellesistenza in natura degli elementi più pesanti, in particolare Iridio e Plutonio 244). La supernova è dunque il segnale della fine violenta della vita di una stella che la luce, messaggera impietosa, ci racconta. Resteranno uniche tracce di questa catastrofe cosmica un piccolo nucleo collassato superdenso (una stella di neutroni con una densità di migliaia di tonnellate per centimetro cubo o un buco nero) e una nebulosa di gas in rapida espansione (la materia espulsa che si rimescola al gas interstellare formando i cosiddetti resti di supernova, tra i quali si annoverano strutture filamentari quali la nebulosa Velo nel Cigno o la grande Nebulosa di Gum, o nebulose più giovani e compatte anche se in rapida espansione quali la famosa Crab Nebula o Nebulosa del Granchio o M 1) destinata a disperdersi nello spazio dopo aver irraggiato nello spazio lenergia residua in tutte le frequenze dello spettro elettromagnetico (dalle onde radio ai raggi X) per centinaia di migliaia di anni.
Ma cè dellaltro: londa durto prodotta dallesplosione comprime lidrogeno interstellare, al quale si mescola anche il gas stellare espulso, e laumento di densità può creare localmente le condizioni perché si avvii un processo di contrazione gravitazionale attraverso il quale un piccolo e freddo globulo di gas può, contraendosi e riscaldandosi, divenire una stella; ciò spiega tra laltro la presenza nelle stelle di elementi pesanti (rilevati dallanalisi spettroscopica). Il ciclo della vita di una stella può dunque essere avviato dalla morte di unaltra. È una fine che determina un principio e che richiama alla mente lidea, antica come luomo, della ciclicità della natura.
Le supernovae e lestinzione dei dinosauri
Le supernovae di cui luomo conserva in qualche modo memoria sono state prodotte da esplosioni di stelle distanti più di 3000 anni luce da noi. Se invece una supernova esplodesse a distanza inferiore ai 300 anni luce da noi, lemissione di raggi che investirebbe la Terra sarebbe così elevata da produrre gravi conseguenze ambientali: prima tra tutte, la distruzione completa dello strato di Ozono (O3) che protegge gli organismi viventi dallirraggiamento del Sole nellultravioletto.
La frequenza media di supernovae a una distanza inferiore a 200 anni luce dalla Terra, dovrebbe essere di una ogni 70 milioni di anni circa; tale dato, unito alle considerazioni fisiche fatte sullentità del fenomeno, appare compatibile con lipotesi che attribuisce lestinzione dei dinosauri (avvenuta circa 60 milioni di anni fa) a una simile esplosione così vicina alla Terra.
Una prova a sostegno di tale ipotesi fu il rilevamento in strati rocciosi depositatisi circa 65 milioni di anni fa di una percentuale anomala di Iridio, elemento, come si è detto, che si forma nelle esplosioni delle supernovae.
Tuttavia fu anche rilevata lassenza di Plutonio 244, altro prodotto di sintesi tipico di questi processi; pertanto si ritenne lipotesi catastrofica più verosimile fosse limpatto tra la Terra e un asteroide o un grosso frammento meteorico, anche perché si misurarono nelle rocce suddette concentrazioni degli isotopi di Iridio simili a quelle presenti nei campioni di rocce lunari e meteoriche.
Unaltro elemento di discussione al riguardo fu fornito dallosservazione della tipologia delle stelle che circondano il nostro Sole; esso si trova allinterno di un sistema stellare, il Sistema locale, del quale fanno parte anche molte stelle giovani e massicce di età inferiore ai 60 milioni di anni collocate in un anello di Idrogeno del raggio di circa 2.000 chilometri e il cui centro dista 900 anni luce dal Sole; tale anello si espande ad una velocità di 6 Km/s. In questo caso forse losservazione del cielo ci fornisce la testimonianza indiretta degli effetti dellesplosione di una supernova più vicina al Sole di quelle che luomo abbia mai osservato.
Lanello è probabilmente ciò che resta dellonda di compressione prodotta dallesplosione, e le stelle si formarono per instabilità gravitazionale prodotta dalla compressione del gas secondo il meccanismo già illustrato. Se però letà e la dinamica del fenomeno possono essere in accordo con lipotesi che ascrive la distruzione dei grandi rettili ad una supernova, in questo caso la distanza ipotizzata (900 anni luce) sembra essere eccessiva per poter produrre un evento di tale portata sulla Terra.
Bibliografia:
Monografia n.12-1997/6
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