di Oriano Spazzoli
Astronavi in un sistema planetario con stelle adi neutroni (Dettmann 95)
Premessa.
Da quando i Pitagorici cominciarono a
considerare la matematica fondamentale per la conoscenza della
natura (nel loro caso essa costituiva la realtà stessa), la
scienza ha iniziato un lungo duplice cammino che si è sviluppato
in due direzioni: losservazione della natura, di cui essa
è descrizione, e lo sviluppo teorico dei suoi modelli
descrittivi. Tali direzioni, anche se talvolta sono parse
indipendenti, hanno spesso finito con il congiungersi, specie
quando, allinizio del novecento il nuovo vento della
Relatività e della Fisica dei Quanti ha aperto la strada alla
lettura dellinfinitamente grande e dellinfinitamente
piccolo.
Quello che vi presentiamo qui è una minuscola parte delle
complesse conseguenze di questo percorso, che ci ha permesso di
entrare nellinterno delle stelle e di immaginare con gli
strani occhi della Fisica ciò che mai potremo vedere.
Cenno sullevoluzione stellare.
Come è ormai noto a molti il nostro Sole è una stella del tutto simile a tante altre che popolano la nostra e tutte le altre galassie; esso irraggia la Terra e tutto il sistema solare allo stesso modo da circa 5 miliardi di anni diffondendo nello spazio la sua luce gialla. Il suo colore ci informa sulla sua temperatura superficiale (5.500° Kelvin) e indirettamente anche sulla sua massa e sulle sue condizioni fisiche interne.
Oggi abbiamo appreso che tutta la sua enorme energia è prodotta da reazioni termonucleari che avvengono nelle sue regioni più interne caldissime (a temperature di milioni di gradi), nelle quali nuclei di Idrogeno (protoni) urtando tra di loro si trasformano in nuclei di Elio (2 protoni e 2 neutroni) e in altri sempre più complessi con considerevole guadagno di energia; non solo, ma siamo anche stati in grado di riprodurre alcuni di tali processi sulla Terra, e stiamo tuttora tentando di trarne giovamento (si pensi ai tentativi di riprodurre in laboratorio la fusione nucleare controllata e ai vantaggi cospicui che essa apporterebbe alla nostra civiltà).
Ma abbiamo anche appreso che tra altri 5
miliardi di anni il Sole cesserà di esistere, proprio perché il
suo combustibile non produrrà più energia
sufficiente per mantenerlo nelle attuali condizioni.
Lenergia sviluppata nel nucleo solare infatti gli è
sufficiente per sostenersi sul proprio peso ed evitare di
collassare, cioè di contrarsi per effetto della sua
gravità. Quando nel Sole dunque le reazioni termonucleari non
avverranno più in quantità sufficiente, dapprima si
contrarranno le zone più interne sviluppando, per effetto della
contrazione, radiazione così intensa ed energetica da produrre
unazione meccanica sugli strati più esterni che si
espanderanno spingendosi fino allorbita di Marte ed oltre
(già allora la Terra non esisterà più).
Il Sole diverrà una Gigante rossa dalla temperatura
esterna di 3.000° circa. Nellarco di qualche centinaio di
milioni di anni parte degli strati più esterni si disperderà e
la materia residua del Sole completerà la sua contrazione
finché nel suo interno delle minuscole particelle, gli
elettroni, non verranno a trovarsi così vicine le une alle altre
da impedire il proseguimento della contrazione, esercitando una
forte pressione che creerà una strana piccola stella in
equilibrio, caldissima (100 milioni di gradi) e densissima (il
Sole avrebbe un raggio di qualche migliaio di chilometri):
diverrà allora una nana bianca, ormai morta e
destinata a raffreddarsi inesorabilmente nellarco di
miliardi di anni dopo aver irraggiato tutta la sua energia senza
redintegrarla attraverso alcun meccanismo. Sarà dunque una fine
lenta, non seguita ad alcuna catastrofe stellare: ma non per
tutte le stelle la morte è stato è e sarà evento così
quieto. Stelle di massa maggiore del Sole, più
luminose e più calde (dalla luce bianca azzurra e blu), possono
evolvere in modo diverso.
Se la massa della stella è infatti superiore a 1,5 masse solari
circa (il limite di Chandraseckar, dal nome
dellastrofisico teorico che lo calcolò), la pressione
verso lesterno dovuta agli elettroni stipati nel cuore
della stella (elettroni degeneri) non è più
sufficiente a conservare la struttura della nana
bianca, che diviene instabile. Ciò determina la
contrazione violenta, detta anche collasso, del nucleo stellare:
secondo uno dei modelli dinamici studiati, il collasso avviene
come processo implosivo con formazione di unonda
durto che, riflettendosi poi contro gli strati più densi
produce una violenta esplosione della stella che scaglia nello
spazio buona parte della materia stellare accompagnata da una
grande quantità di radiazione ad alta frequenza (raggi g).
Questa sequenza di eventi è quella che produce il fenomeno delle
Supernovae, stelle che aumentano improvvisamente la
loro luminosità fino ad un miliardo di volte rispetto al valore
di quiescenza, e la cui luce analizzata spettroscopicamente
rivela che la materia degli strati più esterni della stella si
sta espandendo con una velocità fino a 10.000 Km/sec. Il primo
protagonista del nostro racconto è proprio il resto stellare
superstite di questa esplosione.
Le stelle di neutroni
Una stella la cui massa è superiore al limite di Chandraseckar non può trasformarsi dunque in una nana bianca stabile; al suo interno gli elettroni sono ridotti a densità così elevate che cominciano a combinarsi con i protoni per effetto di una forza a corto raggio, linterazione debole, e a formare neutroni (occorre ricordare che alle densità per noi usuali la reazione di scomposizione, o decadimento, del neutrone in un protone, un elettrone ed un neutrino, è nettamente più probabile della reazione opposta). Si forma quindi allinterno del residuo stellare dellesplosione della Supernova, un gas di neutroni liberi: il loro comportamento statistico a densità prossime al miliardo di tonnellate per centimetro cubo è del tutto simile a quello degli elettroni nelle nane bianche, e produce una pressione complessiva elevatissima che blocca la contrazione gravitazionale del frammento restante di nucleo stellare; questultimo diviene dunque una stella a neutroni. La densità di una stella di neutroni è tale che a quella densità il Sole verrebbe ad avere un raggio di circa una decina di chilometri: a quelle densità così elevate la gravità superficiale è così elevata da condizionare tutti i fenomeni fisici. Quello delle stelle di neutroni è un mondo fisico da ridisegnare considerando linfluenza che la forza gravitazionale, come Albert Einstein ed i suoi allievi dimostrarono, ha sullo spazio intero, sulla sua geometria. Ma lo spazio che la teoria della Relatività studia, non è lo spazio euclideo tridimensionale sperimentato dai nostri sensi, bensì uno spazio matematico a quattro dimensioni, nel quale il tempo è la quarta dimensione fisica soggetta a trasformazioni da un sistema di riferimento allaltro simili a quelle delle ordinarie dimensioni spaziali.
Di questo mondo fisico quello che noi percepiamo ad ogni istante è soltanto una proiezione tridimensionale; nonostante ciò anche nel nostro mondo sensibile si sono potute individuare prove osservative della sua validità, come lo scorrere anomalo del tempo, più lentamente dove il campo gravitazionale è più forte, o la deviazione della luce in prossimità di un forte campo gravitazionale (la gravità devia la luce allo stesso modo della materia), o quelle anomalie dell'orbita di Mercurio intorno al Sole che la meccanica celeste non era mai riuscita a spiegare.
In base a questa visione del mondo un osservatore che sulla superficie della stella di neutroni (prima di essere schiacciato dalla terribile gravità del pianeta) si osservasse le scarpe le vedrebbe di un colore diverso da quello osservato sulla Terra, a causa della perdita di energia, quindi del conseguente arrossamento, della luce in uscita da un punto più vicino al centro di gravità ad un punto più esterno nel quale la gravità è più debole. Inoltre se, per assurdo, vi riuscisse a sopravvivere, le sue gambe invecchierebbero assi più lentamente delle parti superiori del suo corpo.
Questi due effetti sono entrambi connessi allinfluenza della gravità sul tempo; tale influenza è tanto più marcata quanto più il raggio di un oggetto celeste contratto si avvicina a quello al quale la gravità superficiale è talmente forte da impedire alla luce di uscire dal campo gravitazionale delloggetto stesso (che per un corpo a simmetria sferica è uguale al cosiddetto raggio di Schwartzschild:
2 G M
Rs =
c2
dove M è la massa del corpo, è la velocità
della luce e G è la costante gravitazionale presente nella legge
di Newton).
Il primo in particolare ci permette di comprendere come
losservazione di oggetti assai densi, il cui spazio-tempo
è deformato da una così elevata gravità
superficiale, sia assai ardua non solo per le piccole dimensioni
di tali oggetti ma anche per la perdita di energia subita dalla
luce nellallontanarsi dalla loro superficie (proprio come
un oggetto lanciato verso lalto sulla Terra perde energia
cinetica salendo). Tuttavia un meccanismo assai complesso
permette a questi oggetti di segnalare la loro presenza
nelluniverso; tale meccanismo ha una sua giustificazione
teorica nelle leggi dellelettromagnetismo.
Per fornire unidea di tale meccanismo
occorre ricordare anzitutto che ogni stella è dotata di un campo
magnetico che si amplifica quando la stella si contrae (poiché
durante la contrazione le linee di forza del campo si
infittiscono) e che la rotazione complessiva (definita da una
grandezza dinamica detta momento angolare e data dal
prodotto della massa del corpo per il suo raggio per la sua
velocità di rotazione per un fattore geometrico dipendente dalla
forma del corpo e dal suo asse di rotazione) della stella in
contrazione si conserva in modo che al diminuire del suo raggio
aumenti la sua velocità di rotazione (per lo stesso meccanismo
che fa sì che una pattinatrice su ghiaccio ruoti più
velocemente su se stessa quando si raccoglie e più lentamente
quando apre le braccia); accade inoltre che lasse del campo
magnetico risulti non allineato con lasse di rotazione
della stella e che per tale rapido moto rotatorio descriva una
superficie conica (rotatore obliquo). Il forte campo
magnetico determinato dalla contrazione ruotando velocemente
intorno ad un asse diverso dal proprio asse di simmetria funge da
potentissimo acceleratore di particelle cariche, portando
elettroni superstiti strappati alla superficie della stella a
velocità prossime alla velocità della luce (relativistiche).
Tale flusso di particelle, interagendo con il forte campo
magnetico della stella, emette una notevole quantità di
radiazione elettromagnetica strettamente collimata in direzione
dellasse del campo magnetico stesso e, poiché esso ruota
velocemente anche la direzione del fascio di rotazione ruoterà
nello spazio come il fascio luminoso emesso da un faro rotante
(per questo motivo tale effetto viene definito effetto
faro). Un osservatore lontano può trovarsi, nel caso più
fortunato, allineato periodicamente con il fascio di radiazione,
proprio come accade con unosservatore che osserva la luce
di un faro rotante, e quindi riceverà un segnale costituito da
impulsi periodici a varie frequenze (X, radiazione luminosa,
radiofrequenze): ciò costituisce il fenomeno delle
pulsar (abbreviazione da pulsating radio
sources).
Quando nel 1967 lantenna del radiotelescopio di Cambridge
captò casualmente un segnale radio pulsante proveniente dalla nebulosa del granchio, nella costellazione del Toro, sebbene fosse già nota
da tempo la teoria del collasso gravitazionale, non si immaginava
ancora la connessione tra un fenomeno simile e quel complesso
quadro teorico. Quel segnale proveniente dallo spazio ispirò
inizialmente suggestive ipotesi su possibili contatti con
civiltà extraterrestri, e questo suggerì il nome del primo
progetto di ricerca rivolto alla sua rilevazione e allo studio
delle sue caratteristiche: little green men,
piccoli uomini verdi. Da allora decine di oggetti di
questo tipo sono stati scoperti con i radiotelescopi ed
individuati otticamente come debolissime stelle, spesso collocate
al centro di resti nebulari dell'antica esplosione di una
Supernova (proprio come nel caso della pulsar della nebulosa del
granchio), a conferma delle complesse formulazioni teoriche che
sono state qui riassunte in sintesi.
Buchi neri.
La teoria della relatività generale, e in particolare lo studio della stabilità di una struttura stellare in presenza di un forte campo gravitazionale, pone dei limiti abbastanza stretti alla stabilità di una stella a neutroni. Accade infatti che, se il frammento stellare superstite dellesplosione di una Supernova supera la massa di 0,7 masse solari, la pressione dei neutroni compressi allinterno della stella (neutroni degeneri) non sia sufficiente a bilanciare il peso complessivo delloggetto allelevata densità tipica di mostri di questo tipo. Dunque la contrazione prosegue finché la superficie della stella raggiunge il limite minimo al quale la gravità superficiale è così forte che nessun segnale elettromagnetico può più essere emesso dalla superficie della stella che diviene quindi un corpo completamente oscuro: un buco nero. Essa allora scompare al di là di una sorta di orizzonte oltre il quale nessun fenomeno diviene più osservabile in alcun modo, e che viene dunque definito orizzonte degli eventi. Per la verità la materia stellare diviene invisibile prima che la superficie stellare raggiunga lorizzonte degli eventi a causa della fortissima perdita di energia dovuta allintensissimo campo gravitazionale (si calcola che una stella a simmetria sferica in collasso gravitazionale emetta radiazione elettromagnetica trascurabile già ad un raggio uguale a 3/2 del raggio di Schwartzschild). Va detto che la dilatazione del tempo per effetto del campo gravitazionale è tale che mentre un osservatore (sfortunato!) in caduta sulla superficie della stella misurerebbe un tempo di collasso finito fino allorizzonte degli eventi, un osservatore lontano dovrebbe vedere lo stesso collasso stellare svolgersi in un tempo infinito, cioè non potrebbe assistere mai alla formazione del buco nero vero e proprio. Tuttavia il fatto che la stella divenga praticamente invisibile prima del raggiungimento dellorizzonte degli eventi, fa sì che un osservatore possa comunque assistere alla sua formazione o riconoscerne lesistenza. Ma se da un buco nero non può uscire una sia pur minima quantità di radiazione elettromagnetica, come può un oggetto simile segnalare la sua presenza?
Ricordiamo a questo proposito lapprofondita e articolata analisi teorica del problema che ha portato alla formulazione del teorema cosiddetto black holes have no hair (i buchi neri non hanno capelli), su cui lavorarono negli anni '70 Hawking, Carter, Israel e Robinson e che afferma che le uniche informazioni che un buco nero trasmette delle sue condizioni fisiche nello spazio circostante, sono la sua massa, la sua carica e la sua eventuale rotazione eventuali (questultima indicata dal suo momento angolare) che contribuiscono a determinarne la geometria.
Riconoscere buchi neri: il quadro delle possibili osservazioni.
Naturalmente losservazione diretta di un buco nero non è possibile; tuttavia, secondo le formulazioni teoriche fondate sulla teoria della relatività generale, esso può modificare lo spazio circostante in modo tale da determinare fenomeni osservabili o comunque rilevabili da strumenti sensibili a radiazione elettromagnetica di vario tipo. Losservazione di tali fenomeni può costituire una prova indiretta dellesistenza di questi oggetti. I buchi neri si possono manifestare in diversi modi:
nel caso di buchi neri isolati, collocati in una regione dello spazio a bassissima densità, si può verificare che la luce di un oggetto collocato al di là del buco, sulla sua stessa direzione venga deflessa per effetto della curvatura dello spazio prodotta dal campo gravitazionale del buco nero, e limmagine del corpo celeste risulti distorta o comunque modificata come se fosse osservata attraverso una lente (tale effetto si dice infatti lente gravitazionale).
Per buchi neri isolati circondati da materia interstellare il campo gravitazionale intorno al buco è così intenso da provocare la caduta della materia nel buco. La materia interstellare cadendo lungo traiettorie a spirale verso lorizzonte degli eventi si riscalda e comincia ad emettere radiazione elettromagnetica in tutte le frequenza. Tuttavia va detto che la materia interstellare è assai rarefatta e la quantità di materia che cade nel buco è, con ogni probabilità, insufficiente a produrre un emissione rilevabile.
Come accade che, in base alla teoria dellelettromagnetismo, una carica elettrica che subisce una accelerazione emette radiazione elettromagnetica, allo stesso modo, in base alla teoria relativistica della gravitazione, si ha che loscillazione di una massa produce una oscillazione dello spazio che si propaga in forma di radiazione gravitazionale. Poiché la radiazione gravitazionale prevista in teoria è molto debole, essa è assai difficile da rilevare. Gli eventi che possono produrre una radiazione gravitazionale che può essere rilevata sono fenomeni di notevole entità in cui sono coinvolte grandi masse o grandi quantità di energia (collasso gravitazionale ed esplosione di una Supernova, caduta di una stella in un buco nero o collisione tra buchi neri, fenomeni, questi ultimi, che potrebbero verificarsi nelle regioni centrali delle galassie o degli ammassi stellari più ricchi). Allo stato attuale non è stato effettuato alcun rilevamento significativo di radiazione gravitazionale con gli strumenti realizzati a tale scopo.
Se un buco nero si forma
in un sistema binario, il suo forte campo gravitazionale
attrae materia della stella compagna, e tale materia,
cadendo nel buco lungo traiettorie a spirale, si addensa
in un disco di accrescimento che cresce di dimensioni
fino a raggiungere una situazione stazionaria (nella
quale la quantità di materia che arriva
dallesterno è uguale a quella che scende nel buco
dallinterno). Allinterno del disco,
compressione e vorticità portano la materia a
raggiungere temperature elevatissime (decine di milioni
di gradi) sufficienti a produrre una emissione termica di
radiazione X.
Linvio nello spazio di satelliti artificiali su cui
sono stati montati sensori a raggi X (telescopi X), hanno
permesso di sviluppare fin dagli anni '70 una
astronomia X. Tra i primi obiettivi di studio
ed osservazione vi fu una sorgente X identificata con un
sistema binario, trovata nella costellazione del Cigno,
catalogata come Cygnus X-1, della quale fu poi
studiata attentamente lemissione per dedurne le
dimensioni delloggetto responsabile di essa
(compatibili con quelle previste dal modello teorico di
buco nero X-emittente in un sistema binario), mentre dal
moto della stella compagna in rotazione intorno al
sospetto buco nero si è dedotta una stima della massa
del buco, pari a circa nove masse solari (ben superiore
cioè al massimo valore per una massa di stella a
neutroni stabile).
Può essere accaduto nella
fase iniziale della vita delluniverso che si siano
create le condizioni per la formazione di buchi neri di
piccole dimensioni (1015g, un miliardo di miliardi di
volte inferiore a quella solare); creatisi in seguito al
formarsi di situazioni di instabilità gravitazionale
alle elevate densità della materia primordiale
delluniverso. Queste instabilità si sarebbero
amplificate dando luogo a un processo di contrazione
gravitazionale inarrestabile. Si è supposto anche che
simili buchi neri siano molto diffusi nello spazio, e che
costituiscano la maggior parte della massa
delluniverso. A tali buchi neri sarebbero,
naturalmente, associati meccanismi di produzione di una
grande quantità di radiazione ma, dal momento che non si
vede traccia di tale irraggiamento nello spazio, si
considera oggi improbabile che tali oggetti si siano
formati.
Molto più probabile pare al contrario la formazione di
buchi neri di massa molto grande (105 dalle alle 109
masse solari) al centro di grandi sistemi stellari, come
ad esempio nel cuore delle galassie. Pare che questa
possa essere la causa dellattività dei nuclei
galattici che si manifesta mediante lemissione di
radiazione elettromagnetica in grande quantità, come ad
esempio accade per le cosiddette
radiogalassie. La loro emissione radio,
estesa ad una zona molto più grande delle dimensioni
della galassia visibile, è prodotta molto probabilmente
da fasci di elettroni riforniti di energia da complicati
processi che possono avvenire nei pressi di un grande
buco nero centrale in rotazione su se stesso. Un
contributo significativo alla ricerca teorica per la
costruzione di modelli di grandi buchi neri fu fornito
dal fisico inglese Roger Penrose che studiò la
possibilità che in una regione particolare collocata
immediatamente al di fuori dellorizzonte degli
eventi, detta ergosfera, una qualsiasi
particella potesse frammentarsi in due parti, una della
quali, essendo dotata di energia negativa e cadendo
dentro il buco, finirebbe col ridurre lenergia
complessiva del buco stesso.
La parte restante della particella, di energia positiva,
invece sarebbe libera di allontanarsi portando con sé,
per la conservazione dellenergia, una quantità di
energia pari a quella persa dal buco nero. Tale
meccanismo di estrazione di energia da un buco nero
(applicazione teorica della teoria relativistica della
gravitazione e della meccanica quantistica) viene
denominato oggi processo di Penrose.
Conclusione.
I modelli teorici dei buchi neri possono prevedere ciò che accade fuori dellorizzonte degli eventi, ma non forniscono alcuna indicazione fisicamente credibile su che cosa accade alla materia della stella dopo che questa si è contratta fino alle dimensioni di un buco nero.
La teoria della relatività generale è solo in grado di prevedere che la materia continuerà a collassare fino a trovarsi tutta concentrata in un punto in modo che la sua densità risulti infinita (è ciò che viene indicato con il termine matematico di singo-larità). Qualcuno ritiene forse che non sia importante sapere che cosa accade là dentro; del resto Steven Hawking ha dimostrato che nello spazio non può esistere un singolarità nuda: ciò significa, a grandi linee, che la geometria dello spazio non consentirà mai che un simile punto a densità infinita sia osservabile.
Tuttavia luomo nella sua eterna sfida contro i propri limiti, è convinto di poter capire il destino di quella materia persa e, se da un lato non può osservarla direttamente, dallaltro però, attingendo agli strumenti matematici più sofisticati, rivolge su di essa locchio della sua mente, perfettamente consapevole di conoscere infinitamente meno di ciò che si può e si potrà imparare, e fiducioso che questa sia la sola strada che lo può portare oltre le colonne dErcole dellincalcolabile.
BIBLIOGRAFIA
L. Gratton: Introduzione allastrofisica - Ed. Zanichelli
R. e H. Sexl: Nane bianche, Buchi neri e stelle di neutroni - Ed. Boringhieri
R. Wald: Teoria del Big Bang e Buchi neri - Ed. Boringhieri
S. Weinberg: Gravitation and Cosmology - Ed. J. Wiley & sons
Monografia n.21-1997/15
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