di Marco Garoni
Le fasi della
nascita di un sistema solare
Lo studio del Cielo ha una storia
millenaria, ma altrettanto non si può dire della cosmologia,
dell'astrofisica e di tutta quella parte di studio del cielo che
noi associamo ad una definizione moderna di Astronomia.
Per millenni gli astronomi, anche dopo Galileo ed il suo
cannocchiale, potevano determinare soltanto la posizione degli
astri.
Con queste osservazioni abbiamo studiato a fondo i moti celesti
ed il comportamento della Forza di Gravità decretando così il
successo della meccanica newtoniana.
Le strutture dei corpi celesti
rimanevano però sconosciute, come lo erano da millenni, quando
il Sole e gli astri venivano considerati divinità e proprio per
questo insondabili nella loro natura.
Svanito l'alone divino rimaneva però la mancanza di mezzi per
poter indagare più a fondo. È soltanto abbandonando
l'osservazione pura (« con la certezza che è
data dagli occhi » per citare Galileo) e con l'introduzione
della spettroscopia e della fotografia, che abbiamo iniziato ad
analizzare la luce (Radiazione) nelle sue singole componenti
inaugurando una nuova storia dell'astronomia.
Un po' di storia
Ovviamente la storia non può che partire dal Principio, con la P maiuscola, cioè dal Big Bang, o meglio da qualche istante dopo.
Bastano pochi minuti per raffreddare abbastanza il neonato universo (un miliardo di gradi) in modo da trovare le prime aggregazioni di particelle (protoni, neutroni ed elettroni): nuclei di Deuterio ed Elio.
Dopo circa 400.000 anni i vari nuclei si combinarono con gli elettroni formando gli atomi, soprattutto di Idrogeno (74% ca.), Elio (26% ca.), Deuterio (<1%) e tracce di Litio e Berillio.
È da questi primi elementi che
nasce l'Universo come oggi lo conosciamo.
La genesi delle prime stelle e delle prime galassie è ancora una
delle questioni sostanzialmente aperte dell'astronomia.
Più chiaro è quel che è accaduto dopo e che accade tutt'ora.
Il gas interstellare
Come abbiamo appena visto il mezzo
interstellare è composto perlopiù da Idrogeno ma, rispetto alla
composizione primitiva è sporcato da altri elementi
più pesanti come magnesio, ferro, calcio, ossigeno e da polveri
(sostanzialmente grafite e silicati).
Queste polveri anche se estremamente rarefatte (una particella
ogni 100 miliardi di particelle di idrogeno) giocano un ruolo
fondamentale.
Questa miscela di gas e polveri non ha una densità uniforme.
Sotto l'effetto di varie fluttuazioni (di origine gravitazionale, termodinamica, elettromagnetica, turbolenze interne, etc..) si possono creare addensamenti chiamati Nebulose Diffuse (o più semplicemente Nebulose) che se fotografati al telescopio si mostrano in tutto il loro splendore.
La densità di queste nubi è di poche centinaia di atomi per cm3 e la temperatura si aggira tra i -250° e -150°.
È in queste zone che può attivarsi il processo di formazione stellare, sotto forma di una ulteriore contrazione e frammentazione alimentata dalla Gravità.
Le stelle
Le fasi iniziali della contrazione sono relativamente tranquille. La densità delle polveri rimane bassa e la nube tende a frammentarsi. Ad un certo punto questi frammenti raggiungono densità tali da creare dei globuli scuri (la polvere assorbe la luce visibile) chiamati Globuli di Bok (dal nome dell'astronomo Olandese che li scoprì negli anni '40 nella nebulosa Laguna nel Sagittario) del diametro di circa un anno luce, massa pari a 50-60 masse solari e densità di qualche centinaio di milioni di atomi per cm3.
Globulo di Bok
della Nebulosa Laguna
Al centro di questi addensamenti le
radiazioni prodotte non riescono a disperdersi e la temperatura
aumenta (siamo a densità di qualche miliardo di molecole per cm3
e temperature intorno al centinaio di gradi); il processo di
formazione stellare accelera. Man mano che la parte centrale del
globulo accresce, aumenta la temperatura ed aumentando la massa
aumenta la capacità di attrarne altra, favorendo così la
compressione con conseguente aumento ulteriore della temperatura.
Attraverso successivi collassi e riscaldamenti si forma un nucleo
estremamente denso, con pressioni e temperature tali da innescare
i primi processi di fusione nucleare del Deuterio (siamo a un
milione di gradi). Non siamo ancora alla completa formazione di
una stella.
Questa fase embrionale si chiama
Protostella.
Dall'inizio del processo sono
passati dai 100.000 anni (per protostelle di circa 15 masse
solari) ai 10 milioni di anni (per protostelle simili al Sole).
Nel nucleo protostellare continua ad affluire materiale
favorendo, attraverso ulteriori compressioni, l'aumento di
temperatura e pressione.
Al raggiungimento dei 10 milioni di gradi si innesca la fusione
nucleare dell'Idrogeno. L'energia prodotta arresta il processo di
contrazione ed il sistema si stabilizza in un equilibrio tra
contrazione gravitazionale e pressione interna: è nata una
stella.
I pianeti
Nel 1644 Cartesio ipotizzò che il sistema solare si fosse originato da una nube di gas e polveri.
Cent'anni dopo Kant immaginò che dal centro di questa nube abbia avuto origine il Sole e dalla periferia i pianeti.
Per completare l'opera, nel 1796
Laplace aggiunge che la rotazione della nebulosa poteva creare le
condizioni necessari alla formazione planetaria.
Presto questo modello puramente
meccanicogravitazionale, non supportato da alcuna
conoscenza di fisica atomica e termodinamica, mostra i suoi
limiti.
Ancora oggi però possiamo considerarlo un valido punto di partenza.
Ritorniamo quindi alla nostra protostella, estremamente attiva e variabile, ancora instabile ma con le prime reazioni nucleari già attive.
Non tutto il materiale circostante
finisce nella protostella. La rotazione della nube ha confinato
il materiale in una sorta di gigantesco disco sottile.
La parte più periferica ha continuato ad orbitare attorno alla
protostella e ad accumulare materiale formando quella che viene
chiamata Nebulosa Protoplanetaria. Anche in questa inizia un
processo di aggregazione di materiali che, attraverso reciproche
collisioni, porta alla formazione di piccoli agglomerati più
densi. Con il tempo si producono veri e proprio corpi solidi
delle dimensioni di qualche chilometro chiamati Planetesimi.
In questa fase è fondamentale sottolineare l'estrema attività
della protostella.
Per sistemi simili a quello solare, questa fase viene associata
ad una particolare categoria di stele variabili dette T-Tauri,
caratterizzate da una fortissima emissione di particelle (Vento
Solare).
Questi intensi venti stellari hanno l'effetto di differenziare la
composizione del disco protoplanetario. Il gas e le particelle
più leggere vengono espulse dalle zone più interne che quindi
rimangono ricche di elementi pesanti (agglomerati
ferrosi, silicati,...).
Nelle zone più periferiche, a temperature minori, è stato
favorito l'accumulo di elementi più volatili (idrogeno, elio,
metano ammoniaca, ghiaccio...). Nell'arco di alcune centinaia di
milioni di anni questi planetesimi si aggregheranno in formazioni
sempre più grandi ripulendo lo spazio circostante: i Pianeti.
Nelle vicinanze del Sole, la
maggior velocità di rivoluzione ha impedito la formazione di
pianeti grandi a favore di corpi più piccoli e ravvicinati (Mercurio, Venere,
Terra e Marte),
composti da materiale roccioso.
Più lontano (oltre i 600 milioni di km dal Sole) la minor
velocità e la temperatura decisamente più bassa hanno favorito
la formazione di corpi più grandi originando pianeti giganti
gassosi come Giove
e Saturno.
In questa formazione praticamente viene assorbito tutto l'idrogeno e l'elio rimanenti.
Ancor più lontano, con un processo ancora più lento, sono nati pianeti come Urano e Nettuno, più poveri di idrogeno ed elio ma ricchi di ammoniaca e metano. Ancora oltre la densità di materia e la bassissima velocità hanno impedito l'aggregazione di oggetti di grandi dimensioni lasciando perciò una grossa quantità di piccoli frammenti composti da ghiacci (gli oggetti transnettuniani e le comete) che raggruppiamo in due zone chiamate Fascia di Kuiper e Nube di Oort.
Schema della
fascia di Kuiper e della nube di Ort
Un grosso numero di frammenti è
rimasto anche in una zona molto più interna del sistema solare.
Tra Marte e Giove c'è la Fascia Principale di Asteroidi, milioni
di corpi rocciosi e ferrosi che non sono riusciti ad aggregarsi
in pianeta, la cui causa è da ricercare nelle perturbazioni
gravitazionali di Giove. Parte dei planetesimi primordiali di
questa zona furono spinti via, impattando su satelliti e pianeti
o catturati dal loro campo gravitazionale trasformandosi in
satelliti.
Gli effetti gravitazionali (o anche effetti mareali) in scala
più locale vengono usati anche per spiegare la presenza degli
anelli attorno a Saturno ed agli altri giganti gassosi.
I satelliti
Come abbiamo appena visto alcuni satelliti ruotano attorno ai pianeti a seguito di un processo di cattura. Si tratta di piccoli corpi che troviamo in abbondanza attorno a Giove, Saturno, Urano e Nettuno.
Due li ritroviamo anche più vicini a casa nostra. Sono Phobos e Deimos, le piccole lune di Marte.
Attorno ai giganti gassosi però troviamo anche satelliti molto grandi la cui presenza non si può spiegare con la cattura. La loro origine è probabilmente contemporanea al pianeta come parziale condensazione della nube protoplanetaria.
Discorso più dettagliato merita la
Luna, molto grande rispetto alle dimensioni
della Terra ed anche troppo vicina.
In questo caso anche la formazione contemporanea con la Terra non
è sufficiente a spiegarne la sua presenza e composizione.
Durante l'infanzia del sistema solare, nel periodo di
accrescimento planetario, l'ambiente era estremamente turbolento.
Enormi quantità di detriti producevano sui neonati pianeti
impatti devastanti. La Terra primordiale potrebbe aver subito uno
di questi impatti, talmente potenti da provocare un distacco di
materiale che, finito in orbita, successivamente si è condensato
formando la Luna.
Ondate successive di impatti si
susseguirono per milioni di anni e le cicatrici le possiamo
osservare ancora oggi nei crateri presenti su Mercurio e su molti
satelliti.
Anche il nostro pianeta subì diverse ondate di impatti. La tenue
atmosfera primordiale di Idrogeno ed Elio presto svanì (la
gravità terrestre non era sufficiente a trattenerla) ed i
bombardamenti meteorici scatenarono un'intensa attività
vulcanica. I gas liberati, condensando, crearono una nuova
atmosfera composta principlamente da anidride carbonica che,
nelle ere successive e grazie alla fotosintesi, diventò
l'atmosfera che ora respiriamo.
Gli impatti meteorici vengono usati anche per spiegare altre anomalie come per esempio la grossa inclinazione dell'asse di rotazione di Urano o le formazioni geologiche su alcuni satelliti.
Un'altra conseguenza riguarda la presenza di acqua sulla Terra. Buona parte sarebbe di origine extraterreste, portata dall'impatto di migliaia di comete.
Problemi
Dopo questa dettagliata descrizione
potremmo pensare di aver chiarita la nascita del sistema solare.
I riscontri che avvalorano questo modello, detto Modello
Nebulare, sono moltissimi.
Analizzando più a fondo la situazione però si riscontrano
numerose incongruenze rispetto la formulazione iniziale.
Urano e Nettuno, per esempio, si trovano in una zona dove, nella nube protoplanetaria, densità e velocità di rivoluzione sarebbero state insufficienti a formare oggetti così grandi. L'orbita di Nettuno dovrebbe infatti essere occupata solo da piccoli corpi ghiacciati (quelli che ritroviamo nelle attuali Fascia di Kuiper e Nube di Oort).
Per spiegare questa situazione si
è introdotto il concetto di Migrazione Planetaria: Urano e
Nettuno in realtà si sarebbero formati molto più internamente,
poco oltre Saturno, ma l'influenza gravitazionale di Saturno e
Giove li avrebbe spinti più lontano provocando poi la
dispersione dei piccoli frammenti della primitiva Fascia di
Kuiper.
Parte di questi oggetti vennero spinti verso l'interno del
sistema solare provocando un bombardamento cometario
(quello che avrebbe portato l'acqua sulla Terra) mentre altri
frammenti si sarebbero allontanati stabilizzandosi nella
moderna e più rarefatta fascia di Kuiper.
Fine della storia
L'equilibrio di una stella si mantiene fino a quando la componente energetica riesce a contrastare quella gravitazionale e quindi fino a quando l'idrogeno si fonde in elio. Quando nel nucleo questa fusione cessa l'equilibrio si rompe e prevale nuovamente la forza di gravità.
Come per le altri fasi di vita della stella, questo momento è fissato dalla sua massa iniziale. La massa infatti ne determina dimensioni, temperatura e meccanismi di fusione nucleare.
Possiamo suddividere le stelle sostanzialmente in 7 famiglie chiamate Classi Spettrali, che vanno dalle più grandi e caldissime Giganti Azzurre di classe O alle piccolissime e fredde nane rosse di classe M (il Sole è una stella medio-piccola appartenente alla classe G).
Schema delle
classi Spettrali delle stelle
In stelle piccole come il Sole la
fusione nucleare avviene attraverso un processo chiamato
protone-protone, un processo lento e poco efficiente che si
innesca a temperature intorno ai 10 milioni di gradi e che ha il
merito di rendere molto lunga la vita della stella. Il Sole
infatti brilla da circa 5 miliardi di anni e lo farà per altri 5
miliardi circa.
Attorno a stelle come queste un eventuale sistema planetario ha
tutto il tempo per formarsi ed evolversi, condizione necessaria,
nel nostro caso, per la nascita della vita sulla Terra (avvenuta
un miliardo di anni dopo la nascita del Sole).
In stelle più grandi (circa 1,5 -
2 masse solari) si raggiungono temperature e densità superiori
in grado di far scattare un altro tipo di fusione chiamata C-N-O
(carbonio-azoto-ossigeno, dal nome degli elementi che entrano in
gioco nel processo). Questo processo è molto più efficiente ma
consuma velocemente l'idrogeno.
La stella sarà decisamente più calda (stelle di tipo O
raggiungono i 40.000 - 60.000 gradi contro i 5.000 - 6.000 delle
stelle G ed i 2.000 circa delle stelle M) ma avrà vita breve
(anche poche decine di milioni di anni).
In stelle di almeno 8 - 10 masse solari, terminato l'idrogeno si innescano successivi collassi gravitazionali che permetteranno la fusione dell'elio e poi a seguire del carbonio, dell'ossigeno fino ad ottenere un nucleo composta da Ferro. A questo punto la stella, passando una breve fase di Super Gigante Rossa (può raggiungere il diametro del sistema solare, un esempio è la stella Betelgeuse in Orione), esplode liberando un'enorme quantità di energia e diventando miliardi di volte più luminosa: una Supernova.
L'onda d'urto che si genera si
propagherà nello spazio attivando la formazione stellare in
altre nebulose e trasportando con sé tutti quegli elementi più
pesanti del ferro che si formano negli istanti successivi
all'esplosione e che sono tutti quelli conosciuti in natura (dei
quali siamo composti anche noi).
Il nucleo residuo si comprimerà e se sarà sufficientemente
massiccio (1,4 masse solari) protoni ed elettroni si fonderanno
trasformando tutto in una Stella di Neutroni.
Oltre le 3,4 masse solari, la componente gravitazionale sarà talmente elevata da impedire a qualsiasi radiazione di sfuggire; avremo un Buco Nero.
Stelle piccole come il Sole faranno
una fine diversa. La fusione dell'idrogeno si sposterà dal
nucleo agli strati più esterni. Il nucleo collasserà
innescando, a circa 100 milioni di gradi, la fusione dell'elio.
Le parti esterne lentamente si espanderanno e raffredderanno
trasformando il Sole in una Gigante Rossa. Questo guscio poi, in
qualche milione di anni si spegnerà formando una Nebulosa
Planetaria del tipo di M57.
Il nocciolo interno rimasto scoperto, bianco e caldissimo sarà
poco più grande di un pianeta: una Nana Bianca. Esaurita la
combustione si spegnerà trasformandosi in una Nana Nera.
Nella loro fase finale tutte le stelle, a causa dei ripetuti collassi ed espansioni, tornano ed essere Stelle Variabili e la sorte del sistema planetario ormai sarà segnata da sconvolgimenti gravitazionali e termici.
Conclusioni
Dopo secoli, con le attuali
tecnologie siamo in grado di scoprire sistemi extra-solari.
Queste osservazioni hanno portato alla luce alcune situazioni un
po' esotiche: pianeti super giganti vicinissimi alla
stella, pianeti di tipo terrestre ancora più interni rispetto
all'orbita del nostro Mercurio, etc...
Alla luce di queste scoperte c'è ora l'opportunità di avere
molti più termini di paragone e possibilità di studio grazie ai
quali potremmo, con il tempo, costruire un modello quanto più
generale possibile di genesi di un sistema planetario.
Bibliografia:
- Il cammino della scienza:
l'Astronomia, Fred Hoyle, Sansoni, Firenze, 1963;
- Astronomia
alla scoperta del cielo,
Autori Vari, Armando Curcio, Roma, 1985 (volumi 2 e 3);
- I pianeti
della stella sole,
Marcello Fulchignoni (a cura di), Le scienze, Milano, 1982;
- Astrofisica, Alberto Masani, Editori Riuniti,
Roma, 1984;
- Astronomia generale, P. Bakulin - E. Konovic -
V. Moroz, Riuniti (Mir), Roma, 1984;
- Introduzione alle stelle, Aiello Santi,
Sansoni, Firenze, 1979;
- Fisica delle stelle, S. A. Kaplan, Sansoni,
Milano, 1982;
- L'origine della Luna, M. Marchetti, Planetario
2001;
- L'origine dell'acqua sulla Terra, M.
Marchetti, Planetario 2008;
- La nascita delle stelle, O. Spazzoli,
Planetario 1998;
- Dentro le stelle, O. Spazzoli, Planetario
2000;
- Dall'idrogeno alle stelle: ipotesi sulla formazione del
sistema solare, O. Spazzoli, Planetario 1997;
- Origine ed evoluzione dei pianeti, A.
Coradini;
- La vita di una stella, D. Menna, 2002;
- Wikipedia:
http://it.wikipedia.org/wiki/Evoluzione_stellare;
http://it.wikipedia.org/wiki/Formazione_ed_evoluzione_del_sistema_solare.
- I quaderni di Oculus, corso di astronomia 2012 -
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