Breve saggio in cui si fa l'anamnesi osservativa del pianeta Mercurio e si ricorda la missione americana interplanetaria “Mariner 10”

di Massimo Bruschi

Raffronto volumetrico fra Mercurio e Terra
Raffronto volumetrico fra Mercurio e Terra

Dagli occhi alla sonda artificiale

L'osservazione di Mercurio è molto difficile trattandosi di un piccolo pianeta molto vicino al Sole. Per una questione di inclinazione di eclittica e orizzonte le regioni terrestri favorite per la visione del pianeta sono quelle comprese nella fascia tropicale. Nella nostra zona bisogna attendere quando l'angolo fra eclittica e orizzonte è massimo: attorno agli equinozi (sera in marzo o mattino in settembre). Il pianeta sarà visibile per quattro o cinque giorni e per non più di 20 - 30 minuti.

Mercurio e Venere, schema orbite e fasi viste da Terra
Mercurio e Venere, schema orbite e fasi viste da Terra

Le prime osservazioni di Mercurio, citate da Tolomeo nell'Almagesto, risalgono al 265 a.C. e furono opera di Timocharis. Gli antichi greci credevano che le elongazioni est ed ovest del pianeta rappresentassero due corpi distinti: Hermes (stella della sera) ed Apollo (stella del mattino). Più tardi capirono che era un unico oggetto e lo indicarono come Hermes, il messaggero degli dei e dio del crepuscolo.

Gli Egizi per primi scoprirono che Mercurio, chiamato Sabkou, orbitava attorno al Sole.

Per i Teutoni era noto come Woden e la parola inglese che indica mercoledì, “wednesday” vuol dire “giorno di Woden”, Woden's day. Il nome attuale, Mercurio deriva dal latino “Mercurius”, dio che corrispondeva, abbastanza, al greco Hermes.

Anche Copernico che fu più un astronomo matematico che osservativo (compì nella sua vita poco più di 60 osservazioni) lo vide: “con molti sotterfugi e molta fatica” mentre si trovava a Frauenberg (capitolo XXX del V libro del “De revolutionibus”). Le sue difficoltà erano acuite anche dalla latitudine di Frauenberg (54° 19') e dalle frequenti nebbie che si levavano dal Frisches Haff.

Le osservazioni telescopiche di Mercurio rappresentano uno dei capitoli più controversi della storia dell'astronomia.

Secondo W. Sandner (“The planet Mercury”) Il primo ad osservare le fasi di Mercurio fu l'astronomo italiano Zupius nel 1639.

Per Antoniadi, autore del “Le Planete Mercure” il primo sarebbe stato Hevelius, nel 1644.

Per molto tempo nessuno vide più niente, nemmeno Herschel con i suoi giganteschi telescopi.

Nel 1800 il tedesco Schrüter e l'assistente Harding compiono le prime osservazioni registrate dei caratteri superficiali del pianeta. Nello stesso anno misurarono l'inclinazione dell'asse di rotazione rispetto al piano dell'orbita (70°) e stimano il periodo di rotazione in 24 ore, a causa delle ripetuta osservazione di macchie allo stesso posto, giorno dopo giorno. Più tardi Bessel, sulla base di queste osservazioni, lo stimò con una precisione, ingenuamente esagerata, in 24h 00' 53".

Nel 1867 Prince vide una debole macchia scura.

Nel 1870 Birmingham vide una macchia luminosa. Il mitico Flammarion nel 1879 non vide niente.

Mercurio, planisfero di Schiaparelli (1882-1889 Brera)La prima vera campagna sistematica di osservazioni fu dovuta all'italiano Giovanni Virginio Schiaparelli.
Osservò il pianeta fra il 1882 e il 1889 con i due telescopi rifrattori (a lenti) di 22 e 49 centimetri di Brera (Milano) ricavando le prime mappe.
Notando che le macchie sono ferme in varie ore del giorno, e considerando in maniera corretta la dinamica del sistema, massa del Sole e sua vicinanza, porta il periodo di rotazione attorno al proprio asse a 80 giorni come il periodo di rivoluzione.
Schiaparelli trovò che le macchie erano molto tenui e difficili da scorgere.

Mercurio, planisfero di G. V. Schiaparelli (1882-1889 Brera)

 

L'astronomo dilettante inglese Denning nello stesso periodo con telescopio da 25 centimetri le trova più nette e contrastate poiché osservava all'aurora e l'italiano al tramonto.

Mercurio, dis. di M.Denning (oss. 5-9.11.1882 rifl.25cm)
osservazioni 5-9 novembre 1882, riflettore da 25 cm, M.Denning.

Nel 1900 Barnard utilizzando il rifrattore (a lenti) più grande del mondo, 102 cm di Yerkes non vide più di 4 o 5 macchie simili a quelle visibili sulla Luna a occhio nudo.

Nel 1923 Danjon vide quasi le stesse macchie di Schiaparelli.

Un grosso progresso si ebbe col lavoro dell'astronomo greco Antoniadi che dal 1924 al 1929 osservò Mercurio col rifrattore da 83 cm di Meudon. Mercurio, dis. di Antoniadi (oss.1924-1927 Meudon 83cm)Egli osservò di giorno, fino a pochi giorni prima della congiunzione superiore quando Mercurio, più lontano dalla Terra mostra per intero al superficie.
Vide macchie molto pallide e difficili da separare; nonostante ciò compose il miglior planisfero dell'era telescopica, battezzandone le zone con termini della mitologia egizia. Confermò la rotazione sincrona con la rivoluzione. Ipotizzò la presenza di una atmosfera, anche se meno densa di quella ipotizzata da Schiaparelli.

Mercurio, planisfero di Antoniadi (oss.1924-29 a Meudon)
planisfero di Antoniadi (oss.1924-29 a Meudon)

Negli anni '40 e '50 molte osservazioni furono eseguite nell'osservatorio del Pic du Midi (2850 metri di quota) da Bernard Lyot e Audouin Dolfus. Da quelle osservazioni Camichel e Dolfuss ricavarono una mappa che rispetta la nomenclatura di Antoniadi e la migliora nei dettagli. Periodo di rotazione e di rivoluzione coincidono.

Fra il 1953 e il 156 Patrick Moore compie osservazioni con un piccolo riflettore da 16,5 cm, ma ritiene indispensabile almeno un 60 cm.

Nel 1965 le misurazioni radar della Cornell University stabiliscono che l'orbita eccentrica di Mercurio ha un perielio di 46.375.000 chilometri e un afelio di 70.310.000 chilometri. La longeva teoria che Mercurio voltasse al Sole la stessa faccia si rivela errata: viene calcolato un tempo di rotazione di 59 giorni (2/3 del periodo di rivoluzione), periodo che verrà confermato dalla sonda Mariner 10.

Le carte preparate nel corso degli anni e anche quella del 1967 di Dale P. Cruikshank e Clark R. Chapman, pur sulla base di tempi di rotazione erronei mantengono una certa validità. Ciò è possibile in quando periodo di rotazione, periodo orbitale, periodo sinodico (115,9 giorni), durata del giorno (fra sorgere e tramonto del giorno, 176 giorni) stanno fra loro approssimativamente in rapporti semplici. In 350 giorni, intervallo fra due apparizioni favorevoli di Mercurio, si hanno 4 rivoluzioni, 6 rotazioni e 3 cicli di fasi e un osservatore terrestre vedrà la stessa superficie e con la stessa illuminazione.

A differenza degli altri pianeti è difficile collegare le carte dell'era telescopica con le fotografie e le mappe della sonda Mariner 10.

Oggi Mercurio è l'unico pianeta per cui l'osservazione telescopica non ha più nessuna utilità scientifica, se non come utile esercizio di ricerca del pianeta e lo scorgervi deboli tracce è un duro allenamento per l'osservazione degli altri pianeti.

 

Un capitolo particolare sono i transiti di Mercurio sul Sole. Sono sostanzialmente delle eclissi e avvengono quando la Terra attraversa la linea dei nodi del pianeta in questione e si trova in vicinanza alla congiunzione inferiore. Di solito sono verso il 9 novembre e il 7 maggio. Poiché come per la Luna in piano orbitale di Mercurio è inclinato di 7 gradi (5 per la Luna) non si hanno transiti ad ogni congiunzione così come non si verificano eclissi di Sole o di Luna ad ogni Luna piena.

Il primo transito fu previsto da Keplero e osservato da Gassendi in 7 novembre 1637. Il prossimo sarà il 6 novembre 1993, non visibile dall'Italia. Per poterlo osservare nel nostro paese bisognerà attendere il 7 maggio 2003.

 

Vulcano esiste ?

Affermatasi la spiegazione newtoniana del moto dei pianeti attorno al Sole ci si accorse che Mercurio non rispettava tale legge presentandosi in tempi diversi nei transiti sul Sole. Nel 1849 Le Verrier scoprì che il perielio del pianeta si postava di 574 secondi d'arco. Di questi, 531 erano dovuti all'effetto combinato degli altri pianeti mentre i rimanenti 43 avevano una causa sconosciuta.

Dopo 10 anni di lavoro, Le Verrier ipotizzò la presenza di un altro pianeta interno all'orbita di Mercurio. Mentre si organizzavano campagne osservative, giunse la notizia che il dottor Lescarbault aveva visto il 26 marzo 1859 un corpo sconosciuto, 4 volte più piccolo, attraversare il Sole.
Fu calcolata orbita e massa del pianeta che fu chiamato Vulcano, il dio romano del fuoco. Ne furono previsti i transiti sul Sole che, però, delusero le speranze degli astronomi. Nel 1878 due americani, a centinaia di chilometri di distanza, affermarono di averlo visto. L'avvento della fotografia a fine ottocento deluse le aspettative: nessuna traccia di Vulcano.

Nel 1906 William Wallace Campbell negava con argomenti stringenti l'esistenza di Vulcano: rimanevano inspiegabili le stranezze dell'orbita di Mercurio.

La risposta arrivò da uno scienziato tedesco, Einstein. Con la teoria della Relatività Generale dimostrò che l'enorme massa del Sole creava un effetto gravitazionale capace di curvare lo spazio euclideo capace non solo di avanzare il perielio di Mercurio da deviare i raggi luminosi inviati dalle stelle nei pressi al Sole (accertato nel 1919 in Brasile, durante un'eclisse).

Anche con la teoria einsteiniana rimane uno scarto di qualche secondo d'arco e qui si sono create due correnti di scienziati. Una sostiene che tale scarto è dovuto alle minime incertezze residue dei sistemi osservativi o di registrazione; l'altra cerca la risposta nel perfezionamento della teoria della Relatività.

Rimane da dire che Vulcano qualche volta torna a far capolino nelle osservazioni degli astronomi come nel 1971.

Recentemente H. C. Courten e Don Albert della Adelphi University (New York) asseriscono di aver trovato le tracce di detriti “intermercuriali” su lastre ad alta risoluzione prese durante una eclisse di sole del 1979 o del 1980.

 

IL MARINER 10

Nel 1962 Michael A. Minovitch, studente dell'Università di Los Angeles durante uno “stage” presso il Jet Propulsion Laboratory si accorse che una volta ogni dieci anni le posizioni di Venere e Mercurio erano tali che una sonda lanciata da Terra verso Venere sarebbe stata deviata e accelerata dal campo di gravitazione venusiano e diretta verso Mercurio. Guadagno di tempi e di propellente, e quindi aumento di carico utile. Il sistema prenderà il nome di Gravity-assist e sarà utilizzato dalle sonde Pioner e soprattutto, Voyager per il “Grande Tour”.

Nel 1968 viene decisa una missione Venere-Mercurio per la situazione ottimale del 1973; responsabile del progetto Bruce Murray, preventivo di 98 milioni di dollari che verrà rispettato.

Viene utilizzata una sonda del tipo Mariner, del tipo già utilizzato nelle missioni su Marte, con l'aggiunta di un parasole a protezione dei raggi solari.Elementi essenziali della Sonda Mariner 10
Una volta adattata pesa 504 Kg, di cui 79 di strumenti scientifici. Dispone di un propulsore a idrazina per le correzioni di orbita con una riserva di 20 Kg di carburante. Il corretto orientamento è assicurato da un giroscopio e da due puntatori stellari puntati sul Sole e sulla stella Canopo. L'energia per gli strumenti è fornita da 2 pannelli solari orientabili di 2,69 per 0,97 metri. Alla loro estremità è posto un micropropulsore ad azoto per il controllo dell'assetto. Le comunicazioni con la Terra sono assicurate da una antenna direzionale e soprattutto da una parabola di 1,37 m. di diametro diretta permanentemente verso Terra grazie a un gioco di articolazioni. Le frequenze utilizzate per trasmettere i dati sono di 2.295 e di 8.415 Mhz, per ricevere gli ordini utilizza i 2.113 Mhz. Le trasmissioni radio non servono solo alle comunicazioni ma da esse si dedurranno i parametri fisici dei pianeti interessati dall'orbita (massa, momento d'inerzia, ...), nonché la composizione delle atmosfere che occulteranno la sonda nel suo viaggio.

I principali esperimenti scientifici imbarcati sono cinque:

- Radiometro a infrarossi per determinare la temperatura superficiale di Mercurio e di Venere;

- Spettroscopio a ultravioletti per lo studio delle emissioni e delle composizioni delle atmosfere;

- Magnetometro per misurare i campi magnetici dei pianeti;

- 2 rivelatori di particelle per rivelare il plasma solare e eventuali fasce di radiazioni attorno i pianeti;

- 2 telecamere Vidicon, identiche con due obiettivi: un tele di 1500 mm e un grandangolo di 62 mm. Davano una immagine di 9,6 per 12,35 mm costituita da 700 linee per 832 pixel (punti). La migliore risoluzione fu di 30 metri, in generale fu da 1 a 2 chilometri.

La maggior parte dei problemi progettuali furono dovuti proprio alle telecamere: la velocità elevata della sonda attorno a Mercurio, la necessità di poter trattare 117 Kilobits al secondo invece dei 12 Kilobits, possibili all'epoca, ... (furono modificate le antenne di ricezione a Terra).

Il 4 novembre 1973 un vettore Atlas-Centaur porta la sonda in orbita terrestre a 188 chilometri di altezza. Qualche ora più tardi il terzo stadio pone il Mariner 10 in orbita solare.

I 17 mesi di servizio della sonda non saranno privi di problemi. Il sistema di raffreddamento delle telecamere che doveva garantirne il funzionamento a +10 gradi si guasta; per fortuna esse funzionano perfettamente anche a - 30 gradi. Dopo la correzione di traiettoria che consente un esatto approccio a Venere si guasta il giroscopio del sistema di controllo di assetto: gli scienziati riescono a supplire modificando l'orientamento dei pannelli solari (è il primo caso di utilizzo di vela solare).

La traiettoria di Mariner 10 e i sorvoli d Venere e MercurioIl 5 febbraio 1974, primo passaggio attorno a Venere a 5.800 chilometri di altezza: più di 3.000 fotografie.

Il 29 marzo 1974, primo sorvolo di Mercurio, a 705 chilometri dalla faccia buia. Riprende immagini durante l'avvicinamento e poi durante l'allontanamento.

La traiettoria, o meglio l'orbita, scelta riporta la sonda attorno a Mercurio ogni 176 giorni. Il 21 settembre 1974 passa a 48.069 chilometri sopra al Polo Sud.

Il 16 marzo 1975 compie il terzo passaggio a un'altezza di 327 chilometri dalla faccia notturna. Viene studiato il campo magnetico.

Otto giorni dopo, la provvista di azoto per i motori di assetto termina e la sonda non può orientarsi correttamente per sfuggire all'irraggiamento del Sole: la temperatura interna si alza e elettronica viene distrutta. Mariner 10 muore diventando un nuovo “pianeta” con orbita di 176 giorni.

 

Fotografie riprese e inviate

periodo

numero

soggetto

novembre 1973

~ 1.000

Terra, Luna
febbraio 1974

~ 3.500

Venere
marzo-aprile 1974

~ 2.300

Mercurio (primo passaggio)
settembre 1974

~ 1.000

Mercurio (secondo passaggio)
marzo 1975

~ 400

Mercurio (terzo passaggio)

I risultati della missione sono stati enormi. Dapprima mette in evidenza e studia la circolazione nuvolosa di Venere.

Ma è Mercurio, il secondo pianeta più piccolo del Sistema Solare, con un diametro di 4878 chilometri, difficile bersaglio per studi da Terra a causa della vicinanza al Sole ad avere giustificato e gratificato questa missione.
Viene confermato che il pianeta ruota ogni 58,6 giorni; questo fatto e la sua orbita rendono il giorno mercuriano pari a 175 giorni terrestri.
Ad un osservatore sulla superficie, il Sole apparirebbe fermarsi al perielio prima di tornare indietro per più di 1 grado e poi riprendere il suo cammino in avanti. Questo particolare fenomeno impiega circa una settimana terrestre per compiersi, e durante questo, la superficie direttamente sotto il Sole soffre di prolungato calore.
Uno di questi poli è vicino a Caloris; su di essi la temperatura si ritiene che oscilli da 450 a -185°C, una variazione più grande che su ogni altro pianeta.

Il nucleo

Mercurio, come gli altri tre pianeti del sistema solare interno (Venere, Marte, Terra) e la Luna, è costituito da un nucleo di ferro avvolto da uno strato di roccia. Stabilita la densità di un pianeta, gli astronomi sono in grado di calcolare la quantità di entrambi gli elementi.
Per esempio: la Terra ha una densità di 5,52 grammi per centimetro cubo (contiene cioè parecchio ferro), mentre la Luna raggiunge i 3,34 grammi (ha poco ferro e molta roccia).
Ma nel caso di Mercurio qualcosa non quadra: il pianeta è poco più grande della Luna, ma la sua densità è quasi pari a quella della Terra. Il suo nucleo ferroso, insomma, è sproporzionato rispetto alle dimensioni del pianeta.
Il perché non si sa: non lo chiarisce nemmeno la teoria dello scienziato americano John Lewis, che nel 1972 spiegò la diversa composizione dei pianeti chiamando in causa la loro distanza dal Sole. Quelli più interni hanno una concentrazione maggiore di ferro, mentre quelli più lontani contengono altri elementi, come ghiaccio e ammoniaca. Ma le dimensioni del nucleo di Mercurio, anche tenendo conto della sua vicinanza al Sole, superano abbondantemente i modelli elaborati da Lewis.
«In origine, forse, Mercurio era più grosso, e questo spiegherebbe la grandezza del nocciolo» sostiene l'astrofisico americano George Wetherill, interpellato dal settimanale scientifico inglese New Scientist. «Un'eruzione del Sole o lo scontro con un asteroide potrebbero averne ridotto la superficie lasciando intatto il nucleo».
Molti scienziati però rimangono scettici: un'esplosione solare o l'impatto con un asteroide, obiettano, avrebbe probabilmente distrutto il pianeta. E poi le teorie catastrofiche sono giudicate le più improbabili. Che Mercurio si sia rimpicciolito resta però un'ipotesi tutt'altro che peregrina.
«Mercurio è un mini-pianeta travestito da Luna» afferma Marcello Fulchignoni, astrofisico all'università di Roma. «Un corpo celeste bizzarro che sembra essersi ridotto come un'arancia rinsecchita. All'origine di questo processo c'è forse una solidificazione del cuore del pianeta, una volta fluido. Solidificatosi, il pianeta ha subito una sorta di compressione. Perché questo sia avvenuto, però, non lo sappiamo».

Il campo magnetico

Non meno strana è la presenza su Mercurio di un campo magnetico anche se 100 volte più debole di quello terrestre. Di solito sono i pianeti con un'elevata velocità di rotazione ad avere un campo magnetico: la Terra, Giove, Saturno, Urano e Nettuno. Continue correnti elettriche attraversano il nucleo di questi pianeti, nei quali la velocità di rotazione impedisce che il loro cuore fluido si solidifichi. Ma Mercurio ruota intorno al proprio asse molto lentamente. E il suo interno è solido e non attraversato da onde elettriche. E allora, da dove nasce il campo magnetico?
«Potrebbe essere un campo magnetico fossile, un residuo di quello che c'era miliardi di anni fa quando il pianeta era più caldo e più fluido» ipotizza Angioletta Corradini, astrofisica dell'università di Roma.
«Oppure, intorno al cuore di Mercurio, può ancora esserci un sottile strato liquido in cui scorrono correnti elettriche. E questo potrebbe causare un debole campo magnetico» aggiunge Fulchignoni.

L'atmosfera

L'unica cosa normale di Mercurio, fino a qualche anno fa, sembrava l'atmosfera: molto tenue, composta da idrogeno, elio e ossigeno.
Ma nel 1985 due astronomi della Nasa, Andrew Potter e Thomas Morgan, scoprirono che l'atmosfera del piccolo pianeta non era esattamente quella rilevata dalla sonda Mariner 10, ma conteneva anche sodio e potassio vaporizzati: due metalli, elementi del tutto insoliti in un'atmosfera. Per giustificare la presenza degli intrusi, i ricercatori della Nasa hanno tentato l'ipotesi dei meteoriti: sodio e potassio potrebbero provenire da questi frammenti celesti che passano vicino al pianeta. Oppure potrebbero avere origine da un fenomeno di vaporizzazione del suolo.

La superficie

Le immagini del Mariner 10, anche se mostrano un solo emisfero (45 % del totale), hanno rivelato due tipi principali di superficie: pesantemente craterizzata, come le zone montuose lunari, e regioni più liscie che mostrano un estesa inondazione vulcanica simili ai mari della Luna. Su Mercurio sia le regioni craterizzate che i crateri stessi differiscono molto dagli analoghi lunari. Anche nelle aree molto craterizzate fra i crateri e i bacini sono presenti superfici relativamente liscie mentre, sulla Luna, vi sono addensamenti di crateri, anche sovrapposti. In molti di questi casi questi piani “intercraterici” sembrano predatare l'epoca in cui si formarono i crateri più grandi. Le differenze delle superfici craterizzate della Luna e di Mercurio sono probabilmente dovute alla presenza di una diversa forza di gravità che sul pianeta è circa doppia che sul nostro satellite. Ciò comporta che il materiale eiettato in seguito alla formazione del cratere, su Mercurio, occupa una superficie da 5 a 20 volte minore che sulla Luna: si ha quindi una migliore conservazione del tracce delle prime fasi dell'evoluzione mercuriana.

I bacini giganti, risultati di violenti impatti quando il pianeta era giovane, sono almeno 18 quelli che superano i 193 chilometri di diametro. Il più grande di questi, Caloris, ha una larghezza di 1280 chilometri; le onde d'urto sembrano aver disturbato l'emisfero opposto come sulla Luna nel caso del mare Imbrium. I bacini non mostrano alcun segno d'erosione da acqua o vento, portando i geologi della NASA a pensare che Mercurio non ha posseduto un'atmosfera apprezzabile.

La condizione di Mercurio, insieme con le recenti cognizioni sulla Luna e Marte, suggerisce che tutti i pianeti da Marte in giù hanno subito un pesante bombardamento allo stesso tempo. Sulla Terra queste forme di craterizzazione sono state ampiamente cancellate dall'erosione, da movimenti vulcanici e movimenti della crosta. Gli astronomi hanno postulato che dei “vulcanoidi” che orbitano attorno al Sole all'interno di Mercurio e troppo piccoli per essere visti da Terra (diametro 100 chilometri) potrebbero essere stati la fonte di proiettili che hanno creato la successiva craterizzazione del pianeta.

Altre caratteristiche identificate sono alte e ricurve scarpate spesso alte anche 3 chilometri, che corrono per centinaia di chilometri tagliando barriere di crateri e pianure.

Dalle fotografie di Mariner 10 è stata ricavata una cartografia ii cui figurano crateri, pianure (planitiae), monti (montes), valli (valles), dorsali (dorsa) e rupi (rupes). I crateri hanno ricevuto nomi di persone che hanno contribuito alla cultura umana, le pianure con i nomi che Mercurio ha nelle varie lingue, le valli con quello di installazioni radar, le rupi con quello di navi famose per esplorazioni e scoperte e le dorsali con quello di coloro che hanno osservato attivamente Mercurio

 

DOPO IL MARINER 10

Mercurio è troppo vicino al Sole per studi UV della sua superficie e della sua tenuemente composta atmosfera tramite l'IUE e il Telescopio Spaziale orbitanti attorno alla Terra, ma prossimi veicoli verso il profondo spazio come il CRAF potranno fare delle osservazioni da numerosi punti vantaggiosi lungo il loro cammino.

Mentre Mercurio, come Venere, sembra che non possegga nessuna luna, è difficile osservare con i telescopi da Terra se possiede piccoli satelliti. Un astronomo ha suggerito una ricerca di corpi retrogradi a 225.000 - 253.000 chilometri dal pianeta (punti lagrangiani). Anche se è già passato oltre un decennio dal triplice passaggio del Mariner 10, non c'è nessuna pressione da parte della comunità scientifica per un'altra visita e non ci sono prospettive di voli per il primo pianeta per un'altra decina d'anni.

Una proposta della ex Germania Ovest per un satellite polare orbitante attorno a Mercurio (Mercury Polar Orbiter) è stato sottoposto all'ESA nel Novembre 1985 come una di 20 risposte ad una richiesta di nuovi progetti di missioni scientifiche, ma è stato respinto all'esame dei costi. Avrebbe dovuto studiare il pianeta all'incirca nello stesso modo in cui il Lunar Observer osservò la Luna.

Una proposta dell'università del Colorado includeva un satellite di 50 chilogrammi, Mercury Relativity Satellite, ad alta inclinazione, con un orbita circolare della durata di 4 ore per 8 anni, che trasporterebbe apparecchiature Doppler e di distanza per misurare la distanza con una precisione di 3 centimetri che porterebbe alla misurazione della distanza del pianeta con una precisione di 10 cm. La missione avrebbe permesso quindi dei test molto accurati sulla relatività generale, e inoltre di ridurre le incertezze sulla precessione dei perieli di Mercurio di due ordini di grandezza. Le esigenze di energia per fissare un satellite orbitante attorno a Mercurio sono alte a causa della debole attrazione gravitazionale del pianeta, ma Chen-wan Yen al Jet Propulsion Laboratory ha ricercato le possibilità di lancio nel periodo 1990 - 2010 utilizzando la combinazioni degli effetti fionda dei passaggi vicino a Venere e Mercurio per ridurre la velocità di arrivo. In ordine di utilizzabilità decrescente le finestre di lancio saranno: 1994, 1991, 1996, 2005, 2004, 1999, 2007, 2002.
Un lancio nel 1996 permetterebbe due incontri successivi con Venere nel dicembre 1996 e nel luglio 1997 e poi tre passaggi a 200 chilometri da Mercurio in Agosto 1998, maggio 1999 e maggio 2000 prima di permettere l'inserimento in orbita nell'ottobre 2001. Una proposta sovietica del 1989 prendeva in considerazione un satellite orbitante per il 2002/3.

 

IL GHIACCIO: UNA SCOPERTA DEGLI ANNI '90

L'8 agosto 1991 Mercurio volgeva alla Terra l'emisfero opposto a quello fotografato da Mariner 10ed era alla minima distanza dalla Terra. Martin Slade del Jet Propulsion Laboratory eseguì una mappatura radar della superficie. Per 8 ore l'antenna da 70 metri di Goldstone, in California, inviò un fascio di radioonde a 3,5 cm di lunghezza, con una potenza di 450 Kw mentre il complesso di 27 antenne del Very Large Array (VLA) del New Mexico in configurazione di massima espansione riceveva ed elaborava i segnali. Si ricavò una mappa con una risoluzione di meno di 100 chilometri. Per un certo controllo e taratura dell'esperimento l'operazione fu ripetuta il 23 agosto, quando la zona inquadrata era composta da più del 50 per cento di quella fotografata dal Mariner 10. Con grande sorpresa comparve in tutte le immagini una macchia netta molto brillante in corrispondenza del Polo Nord.

Una conferma si ebbe anche con analoghe osservazioni condotte da Arecibo dal 31 luglio al 31 agosto. Sempre da Arecibo, dal 14 al 29 marzo si esaminò anche la zona con il Polo Sud: anche in questo caso si rilevò una macchia ad alta riflettenza, abbastanza simile a quella a nord (500 per 200 chilometri).

Un analogo esperimento compiuto verso Marte, il 22 ottobre 1988 aveva rilevato due zone al alta riflettenza. Una, nella regione di Tharsis è stata attribuita a depositi di polvere vulcanica, anche per l'analogia dei risultati ottenuti sul vulcano Kilauea delle Hawaii. Nell'altra, il Polo Sud, la sonda Viking rilevò che anche d'estate la temperatura non supera i - 125 gradi, quindi presenza di ghiaccio composto di anidride carbonica, oltre che di acqua.

David Paige con uno studio dettagliato ha fornito una spiegazione plausibile al fenomeno mercuriano. Nel vuoto spinto, come sulla superficie di Mercurio, una calotta di ghiaccio può esistere solo se la temperatura si abbassa fino a - 160 gradi; a questa temperatura non più di un metro di ghiaccio sublima (passa da ghiaccio a vapore direttamente) in un miliardo di anni. Nelle zone polari del pianeta i raggi solari sono talmente inclinati che la temperatura non supera i - 100 gradi; questo valore può essere ancora minore all'interno di quei crateri il cui fondo rimane sempre in ombra. Ciò si verifica per quelli che non distano più di 5 gradi dai Poli. Malgrado la cartografia approssimata del Mariner, se ne conoscono almeno una decina. Il più grande è Chao Meng-Fu del diametro di 55 chilometri. Inoltre essendo l'orbita non perfettamente circolare anche l'insolazione è variabile nel tempo consentendo la formazioni di calotte asimmetriche delle dimensioni osservate.

Anche il fatto che il ghiaccio, normalmente assorbitore di radioonde sia invece altamente riflettente ha trovato spiegazioni plausibili.

Le temperature potrebbero essere più basse di quello calcolato e il ghiaccio allora si comporterebbe diversamente.

Oppure potrebbe essere ricoperto da polveri di sodio trasportatovi dalle linee di forza del campo magnetico.

La presenza del sodio nella tenue atmosfera di Mercurio era stata rilevata nel gennaio nel 1985 quando A. Potter (Johnson Space Center di Houston) e J. Morgan (Università del Texas), con uno spettrometro applicato al riflettore da 2,7 metri dell'Osservatorio di McDonald trovarono 2 righe di assorbimento. Le misure portarono alla determinazione che il sodio è il costituente più abbondante, rispetto all'elio e all'idrogeno rilevati dal Mariner 10; rispettivamente: Na 150.000 atomi/cm cubico, He 4.500 atomi/cm cubico, H 450 atomi/cm cubico. Successive osservazioni scoprirono la variabilità di contenuto di vapori di sodio. Brevemente è possibile l'esistenza di un meccanismo legato alle alte temperature che lo evaporano dalle rocce superficiali e alle correnti magnetiche che lo trasportano ai Poli.

 

4 novembre 1993, in occasione del ciclo di conferenze
“Occhi artificiali sui pianeti”

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