IL LATO OSCURO DELL'UNIVERSO
di Marco Marchetti

Maestro Yoda, percentuali universo e galassia di Andromeda
Maestro Yoda, percentuali universo e galassia di Andromeda

Introduzione

«Su tutto l’ombra del lato oscuro calata è.
La guerra dei cloni cominciata è. »

Yoda, gran maestro del Consiglio Jedi
Star Wars, episodio II "L’attacco dei cloni"

 

L’universo in cui è ambientata la nota saga cinematografica Star Wars e l’universo reale hanno qualcosa in comune: l’esistenza di un lato oscuro. Nel mondo del Maestro Yoda e di Obi Wan Kenobi il lato oscuro è la componente malvagia della forza, l’entità che permea tutto il cosmo e che può essere percepita e sfruttata da persone particolarmente dotate (i Jedi). Al contrario, il lato oscuro dell’universo reale non è qualcosa di malvagio; lo chiamiamo oscuro poiché sappiamo che esiste ma non sappiamo minimamente di che ritratto di Edwin P. Hubble (1889 - 1953)cosa consiste.

L’immagine che i più grandi telescopi ci danno del cosmo è quella di un universo popolato da decine di miliardi di galassie, ognuna delle quali può contenere centinaia di miliardi di stelle, separate da immensi spazi vuoti. Le galassie non sono ferme nello spazio ma sono caratterizzate da un movimento comune che le porta ad allontanarsi l’una dall’altra con velocità proporzionali alla loro distanza. La recessione delle galassie è l’effetto più evidente dell’espansione dell’universo la cui scoperta fu annunciata nel 1929 dall’astronomo americano Edwin P. Hubble (1889 - 1953). Hubble scoprì che il nostro universo si sta espandendo nello stesso modo con cui si espande un palloncino di gomma all’interno del quale venga continuamente pompata dell’aria. L’espansione dell’universo è ciò che resta del Big Bang, la grande esplosione da cui ebbe origine l’universo stesso.

I primi indizi che l’universo doveva essere più complicato di quanto potesse sembrare a prima vista, arrivarono intorno al 1933 e si rafforzarono sempre di più con il passare degli anni.
Gli studi dei movimenti delle stelle all’interno delle galassie e dei movimenti delle singole galassie all’interno degli ammassi indicavano la presenza di grandi quantità di materia che non era possibile osservare direttamente; a questa materia invisibile e ancora oggi inafferrabile fu dato il nome di materia oscura (dark matter).

Le cose risultarono ancora più complesse nel 1998 quando fu annunciata la scoperta che l’espansione dell’universo, anziché rallentare per l’effetto frenante della gravità, sta accelerando; ciò indica la presenza di un’entità non ben precisata che si comporta come una specie di antigravità in grado di accelerare l’espansione. Questa componente del nostro universo è stata battezzata con il nome di energia oscura (dark energy) e la sua natura è ancora completamente sconosciuta.

Il lato oscuro dell’universo: materia ed energia oscura. Ci sono molte ipotesi sulla loro natura ma che cosa siano esattamente non lo sa ancora nessuno.

 

Alla ricerca della materia oscura.

ritratto di Vera RubinNel 1950 Vera Rubin (1928) era una giovane laureanda che si apprestava a conseguire la laurea in astronomia presentando una tesi riguardante il movimento delle singole galassie all’interno degli ammassi. Infatti le galassie che popolano il nostro universo hanno la tendenza a concentrarsi all’interno di gruppi (o ammassi); esistono ammassi che contengono poche decine di galassie, come quello a cui appartiene la nostra galassia, e ammassi molto ricchi che contengono parecchie migliaia di galassie, come il grande ammasso della Vergine.
Con la sua tesi, la Rubin intendeva dimostrare che, dati alla mano, per descrivere correttamente il movimento delle singole galassie all’interno di un ammasso era necessaria la presenza di molta più materia di quella visibile con i telescopi.
In altre parole la somma della materia contenuta in ogni galassia dell’ammasso era largamente insufficiente per spiegare il movimento delle galassie all’interno dell’ammasso stesso.

Non erano i primi indizi riguardo la presenza di grandi quantità di materia invisibile. Nel 1933 Fritz Zwicky (1898 - 1974), un astronomo ben più autorevole della Rubin, era giunto alle stesse conclusioni. Nonostante ciò e nonostante le prove sperimentali accumulate, le conclusioni della Rubin non furono prese seriamente in considerazione e la sua tesi fu del tutto ignorata.
Inoltre, a causa delle sue idee poco ortodosse e complice il fatto che ai quei tempi le donne non erano ben viste negli ambienti accademici, la neo astronoma si fece subito una brutta reputazione e molti colleghi cominciarono a guardarla con diffidenza e sospetto.
Per evitare di vedere compromessa prematuramente la propria carriera, negli anni seguenti la Rubin si occupò d’altro ma nel 1970 ritornò all’attacco con la pubblicazione di uno studio riguardante il movimento delle stelle all’interno della Galassia di Andromeda, la galassia esterna più vicina alla nostra.

Ancora una volta lo studio evidenziava il fatto che, per spiegare i movimenti delle stelle attorno al centro della galassia, era necessario supporre l’esistenza di una quantità di materia dieci volte superiore a quella osservata. In altre parole, il novanta per cento della materia contenuta nella galassia di Andromeda è invisibile. I tempi erano ormai maturi; altri studi erano arrivati alle stesse conclusioni e la comunità astronomica si convinse dell'esistenza di grandi quantità di materia invisibile.

La materia oscura aveva fatto il suo ingresso ufficiale nel mondo astronomico.

La moderna teoria dell’evoluzione stellare ci offre alcuni interessanti candidati al ruolo di componenti di materia oscura.

Le stelle nascono a partire dalla condensazione, sotto l’azione della forza di gravità, di gigantesche nubi di gas costituite principalmente da idrogeno; man mano che il collasso procede la nube comincia a ruotare su se stessa, assume una forma sferica e, a causa della pressione crescente, la temperatura della sua parte centrale aumenta sempre di più . Quando la temperatura centrale della nube raggiunge il valore di circa quindici milioni di gradi si innescano le reazioni termonucleari che, trasformando l’idrogeno in elio, sviluppano grandi quantità di energia.
L’energia sprigionata da questa specie di caldaia nucleare bilancia la gravità e il collasso si arresta; inoltre parte di questa energia viene emessa sotto forma di luce e calore e la neonata stella si illumina. È ufficialmente nata una nuova stella; in questo stato di equilibrio fra la forza di gravità, che tende a comprimerla, e l’energia emessa dal nucleo, che tende ad espanderla, la stella trascorrerà la quasi totalità della sua vita. Il
Sole nacque in questo modo circa quattro miliardi e seicento milioni di anni fa.

Alcune nane brune intermedie fra Sole e GioveSe la nube di partenza non è sufficientemente massiccia la temperatura del nucleo non riuscirà mai a raggiungere il valore di innesco delle reazioni termonucleari; in altre parole la caldaia nucleare non riuscirà mai ad accendersi. Queste ‘stelle mancate’ prendono il nome di nane brune e altro non sono che grandi pianetoni con masse dell’ordine di sessanta volte quella di Giove.

Una stella può vivere fino a diciotto miliardi di anni; quando si esaurisce il combustibile nucleare, principalmente idrogeno, la caldaia nucleare si spegne e viene così a rompersi l’equilibrio fra gravità ed energia emessa dal nucleo che aveva caratterizzato tutta la vita della stella. La forza di gravità, non più contrastata, riprende il sopravvento e riprende a comprimere la stella; a questo punto il destino finale della stella può compiersi in due modi diversi. Se la stella è poco massiccia il collasso si arresta quando la stella è ridotta ad una sfera grande come la Terra; in questo stato la gravità è bilanciata dall’enorme pressione generata da così tanta materia confinata in uno spazio così piccolo e l’oggetto così ottenuto si chiama nana bianca.
Una nana bianca è destinata a raffreddarsi gradualmente e a trasformarsi in una nana nera, una fredda sfera di materia superdensa che vaga nello spazio.

Al contrario, se la stella è molto massiccia dopo lo spegnimento della caldaia nucleare vengono a crearsi condizioni di forte instabilità che poi degenerano e ne provocano l’esplosione; in altre parole la stella si autodistrugge con una immane deflagrazione. Le stelle che finiscono la loro vita in questo modo si chiamano supernovae; l’esplosione di una supernova è uno dei fenomeni più violenti che si conoscano. Nei brevi istanti dell’esplosione la stella libera tanta energia quanta ne aveva prodotta durante tutta la sua vita e diventa più luminosa della galassia che la contiene. L’esplosione, però, non coinvolge tutta la stella: il nucleo sopravvive e collassa sotto l’azione della gravità.

Se il nucleo stellare superstite ha una massa inferiore alle tre masse solari il collasso procede fino a quando la stella è ridotta ad una piccola sfera con un diametro intorno ai dieci chilometri; il corpo risultante, decisamente esotico, prende il nome di stella di neutroni. In caso contrario nulla è in grado di arrestare il collasso gravitazionale il quale procede indefinitamente fino a formare un buco nero.

Nane brune, nane bianche, nane nere, stelle di neutroni e buchi neri sono stati a lungo possibili candidati al ruolo di materia oscura e sono stati avviati intensi programmi per la loro ricerca. Solo le nane brune e le nane bianche più vicine alla Terra possono essere osservate direttamente vista la loro ridottissima luminosità; per tutti gli altri si utilizzano tecniche di ricerca indirette. Purtroppo, però, il numero di oggetti trovati è troppo basso; inoltre gli astronomi hanno scoperto che la materia oscura non può essere costituita da materia ordinaria, cioè dallo stesso tipo di materia contenuta nei nostri corpi, nei pianeti e nelle stelle. Vediamo perché.

La teoria del Big Bang ci fornisce un quadro abbastanza chiaro di come l’universo è nato e di come si è sviluppato fino ad oggi. In particolare la teoria fa delle previsioni abbastanza precise sulla quantità di materia presente oggi nell’universo. Ora le abbondanze previste di idrogeno ed elio, i due elementi più comuni presenti in natura, sono in buon accordo con quelle osservate; di conseguenza se la materia oscura fosse composta da materia ordinaria, ciò sarebbe in evidente contrasto con la teoria del Big Bang. Si capisce allora che, se vogliamo trovare le tracce della materia oscura, dobbiamo volgere lo sguardo verso forme di materia decisamente più esotiche.

Per un certo periodo di tempo gli scienziati rivolsero la propria attenzione al neutrino. Il neutrino è una particella abbondantissima nell’universo ma anche molto elusiva poiché interagisce pochissimo con il resto della materia. Un neutrino può attraversare indisturbato una lastra di piombo spessa un anno luce e, in ogni istante, miliardi di neutrini attraversano ogni centimetro quadrato della nostra pelle.

ritratto di Enrico Fermi (1901 - 1954)ritratto di Wolfang Pauli (1900 - 1958)L’esistenza del neutrino fu proposta teoricamente nel 1930 da Wolfang Pauli (1900 - 1958) e da Enrico Fermi (1901 - 1954) per descrivere correttamente alcuni fenomeni caratteristici del nucleo degli atomi ma fu effettivamente scoperto solo nel 1956, quando si ebbero a disposizione potenti fasci di neutrini generati dai primi reattori nucleari per la produzione di energia elettrica. Pauli e Fermi ipotizzarono una particella priva di massa in perpetuo movimento alla velocità della luce; in realtà, in tempi recenti, è stato scoperto che il neutrino possiede una piccolissima massa.
La teoria del Big Bang predice che durante le prime fasi di vita dell’universo siano state create ingentissime quantità di neutrini; visto che, agli occhi del neutrino, l’universo è quasi completamente trasparente, questi neutrini primordiali dovrebbero essere sopravvissuti fino ad oggi e potrebbero essere i costituenti principali della materia oscura. È pur vero che il neutrino ha una massa piccolissima ma se i neutrini sono tanti la loro massa complessiva può diventare significativa.

Bisogna dire, però, che l’evoluzione dell’universo, dal caos primordiale alle galassie e agli ammassi di galassie odierni, dipende fortemente dal tipo di materia oscura presente. Gli astronomi distinguono fra materia oscura calda e materia oscura fredda.
La materia oscura calda è formata da particelle dotate di elevatissime velocità, paragonabili a quella della luce, come i neutrini; al contrario la materia oscura fredda è costituita da particelle molto più lente e quindi meno energetiche.
Ora le simulazioni al computer dell’evoluzione dell’universo mostrano che se la materia oscura fosse materia oscura calda, l’universo si sarebbe evoluto in maniera completamente diversa da quella attuale. Di conseguenza la materia oscura deve essere di tipo freddo e ciò esclude automaticamente i neutrini.

A questo punto dobbiamo, per forza di cose, orientare la nostra ricerca verso forme di materia non ancora scoperte.
A prima vista, ricorrere a qualcosa di sconosciuto per risolvere un problema può sembrare poco corretto ma, in passato, questa tecnica ha dato ottimi risultati. Abbiamo già parlato del neutrino che fu scoperto vent’anni dopo che era stato previsto teoricamente ma anche le particelle W+, W-, Z0 e i quark top e bottom furono scoperti anni dopo la loro predizione teorica. In particolare il quark top fu scoperto solo nel 1995 e la sua scoperta non fece alcun clamore poiché nessuno nutriva dubbi sulla sua esistenza.

Le moderne teorie delle particelle elementari predicono l’esistenza di un’intera classe di particelle indicate con la sigla WIMP (Weakly Interacting Massive Particles, particelle massive debolmente interagenti) alcune delle quali sarebbero state prodotte in grande quantità durante il Big Bang e dovrebbero essere sopravvissute. È in questo campo che attualmente si concentra la ricerca della materia oscura.

In questo settore l’Italia è all’avanguardia mondiale. Infatti i laboratori all’interno del Gran Sasso ospitano da circa dieci anni l’esperimento DAMA (DArk MAtter) i responsabili del quale sostengono da anni di percepire un segnale periodico che potrebbe essere causato da un flusso di materia oscura che la Terra, durante il suo movimento orbitale intorno al Sole, attraversa due volte all’anno.
Purtroppo questi segnali non sono stati riprodotti da nessun altro esperimento e quindi i risultati ottenuti dal DAMA sono stati oggetto di forti controversie. Ricordiamo, infatti, che in campo scientifico le modalità di una scoperta devono essere rese pubbliche e i risultati ottenuti devono essere riproducibili in maniera indipendente.

A parziale sostegno della presunta scoperta italiana, nel gennaio 2010 è giunto l’annuncio dei responsabili dell’esperimento CDMSII (Cryogenic Dark Matter Search II), situato a 700 metri di profondità nella miniera di Soudan in Minnesota (USA), i quali avrebbero individuato diversi eventi riconducibili all’intercettazione di particelle di materia oscura.
Anche in questo caso la prudenza è d’obbligo poiché potrebbe trattarsi di fenomeni spuri oppure dovuti a difetti dell’elettronica utilizzata. L’ottimismo però è palpabile e qualcuno azzarda che entro il 2015 il mistero della materia oscura potrebbe non essere più tale.

 

Alla ricerca dell’energia oscura.

L’esistenza di una forma di energia oscura fu proposta per la prima volta in un contesto e per motivi completamente diversi da quelli attuali.

ritratto di Albert Einstein (1879 - 1955)ritratto di Isaac Newton (1642 - 1727)Nel 1916 Albert Einstein (1879 - 1955) presentò la sua teoria della relatività generale, una teoria sulla gravità molto più moderna e completa di quella presentata quasi tre secoli prima da Isaac Newton (1642 - 1727).
Quando si applicano le equazioni della teoria della relatività all’universo nel suo insieme si scopre qualcosa di molto strano: un universo statico è altamente instabile; sarebbe sufficiente una minima perturbazione per farlo collassare su se stesso a causa della gravità.
A quei tempi l’espansione non era ancora stata scoperta e l’idea che l’universo dovesse essere statico era fortemente radicata nel mondo scientifico.

Anche Einstein era convinto della staticità dell’universo e per conciliare questa convinzione con il risultato della sua teoria introdusse nelle sue equazioni un termine correttivo, denominato costante cosmologica, in grado di bilanciare la gravità sulle grandi distanze. Questa modifica delle equazioni originali fu un vero peccato poiché se Einstein si fosse fidato di più della sua teoria e di meno delle proprie convinzioni, l’espansione dell’universo poteva essere predetta per via teorica molto prima della sua scoperta. Quando fu annunciata la scoperta dell’espansione fu chiaro che la costante cosmologica non era più necessaria e in seguito Einstein dichiarò che questo fu il più grande errore della sua vita.

La costante cosmologica, uscita dalla porta nel 1929, rientrò dalla finestra nel 1998.

Abbiamo visto che le supernovae sono titaniche esplosioni che indicano la morte di una stella.
L’esplosione di una supernova è un fenomeno molto raro all’interno della singola galassia ma, visto che nell’universo esistono decine di miliardi di galassie, l’osservazione di una supernova all’interno di una qualunque di esse diventa un fenomeno molto comune.

Tipologia di supernove

La ricerca di supernovae, affidata soprattutto agli astrofili, è una branca di studio molto importante poiché esiste una particolare classe di supernovae (supernovae di tipo Ia) che, durante la fase di massimo splendore, raggiungono tutte quante la stessa luminosità assoluta che è ben conosciuta.
Di conseguenza quando si scopre una supernova di tipo Ia all’interno di una galassia, dal confronto fra la luminosità assoluta e quella apparente si riesce a determinare con grande precisione la distanza della supernova stessa e della galassia in cui è apparsa. Questa è una delle tecniche più affidabili per determinare la distanza di galassie lontane.
Un’altra tecnica consiste nello sfruttare l’espansione dell’universo; dato che le galassie si allontanano l’una dall’altra con velocità proporzionali alla loro distanza, è sufficiente misurare la velocità di recessione di una galassia per determinarne, sulla base del tasso attuale di espansione, la distanza.

Nel 1998 furono pubblicati i risultati di uno studio condotto su un gruppo di supernovae di tipo Ia apparse in galassie molto lontane; in quell’occasione fu scoperto che le supernovae e le corrispondenti galassie ospiti sono più distanti (e quindi più antiche) di quanto indicato dall’espansione dell’universo.
Dato che la misurazione della distanza di una galassia utilizzando le supernovae di tipo Ia è ritenuta altamente affidabile, ciò significa che l’universo si è dilatato di più di quanto previsto.
In altre parole l’espansione dell’universo, anziché rallentare per l’effetto frenante della gravità (come ritenuto fino a quel momento), sta accelerando.

L’entità responsabile dell’accelerazione dell’espansione è stata chiamata energia oscura e la sua natura è ancora del tutto ignota.

Attualmente l’ipotesi più accreditata sostiene che l’energia oscura sia un qualcosa di molto simile alla costante cosmologica introdotta a suo tempo da Einstein: si tratta dell’energia del vuoto.
È un po’ difficile accettare il fatto che il vuoto, che per definizione non contiene alcunché, possa avere dell’energia.
Per capire come ciò sia possibile, bisogna fare un’escursione nel mondo degli atomi, cioè nel mondo dell’infinitamente piccolo magistralmente descritto da una disciplina scientifica che si chiama meccanica quantistica.

Se potessimo assumere dimensioni molto più piccole di quelle degli atomi e calarci in uno spazio completamente vuoto ci accorgeremmo che il vuoto non è affatto tale ma assomiglia ad una sorta di bolgia dantesca; ci troveremmo immersi in un ambiente brulicante di attività che assomiglia alla superficie di una pentola d’acqua portata all’ebollizione o alla superficie del mare in tempesta. In questo contesto così frenetico vengono continuamente create coppie di particelle e antiparticelle che vivono pochissimo prima di annichilarsi e scomparire in un lampo di energia.

Il detto nulla si crea e nulla si distrugge che vale nel nostro mondo non vale nel mondo degli atomi; nel mondo dell’infinitamente piccolo è possibile la creazione di qualsiasi tipo di particelle purché vengano distrutte in tempi brevi. Queste particelle dalla vita così effimera sono state chiamate particelle virtuali; non sono mai state osservate direttamente ma la loro esistenza è stata confermata per via indiretta. L’energia del vuoto è l’energia associata a tutta questa attività; su grandi scale l’energia del vuoto può assumere la forma di una energia repulsiva in grado di accelerare l’espansione dell’universo.

Questa interpretazione dell’energia oscura si scontra, però, con un inquietante ostacolo. L’intensità dell’energia del vuoto prevista dalla meccanica quantistica è mille miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di volte (10120) più intensa di quella osservata.
Questa è la più grande discrepanza della storia della fisica fra un valore previsto da una teoria e quello osservato.
I numerosi tentativi per abbattere questo numero incredibilmente grande sono andati a vuoto; nel migliore dei casi non si riesce a scendere sotto 1060 che, comunque, rimane sempre un numero spaventosamente grande.
È evidente che c’è qualcosa che non gira per il verso giusto oppure che c’è qualcosa di molto importante che ci sfugge.

 

Epilogo

Secondo le misure più recenti il 74% del contenuto dell’universo è sotto forma di energia oscura, il 22% è sotto forma di materia oscura e solamente un misero 4% è rappresentato dalla materia ordinaria che forma pianeti, stelle e galassie.
Sono numeri sconfortanti poiché evidenziano il fatto che noi non conosciamo ciò che compone il 96% dell’universo in cui viviamo. Il livello di frustrazione è piuttosto alto e a questo punto è lecito chiedersi se è veramente necessario invocare l’esistenza di queste enigmatiche forme di materia ed energia per descrivere correttamente ciò che viene osservato.

In effetti la presenza della materia e dell’energia oscura è richiesta nell’ambito della teoria del Big Bang e della teoria della relatività generale. Se una di queste due fondamentali teorie (o entrambe) fosse sbagliata potrebbe non esserci più bisogno di materia ed energia oscura. Ma che probabilità ci sono che la teoria del Big Bang o la teoria della relatività generale possano essere sbagliate?

Fra le teorie che cercano di descrivere la nascita e l’evoluzione dell’universo, quella del Big Bang è la teoria più accreditata fra gli astronomi ed è in ottimo accordo con le osservazioni.

La relatività generale è la migliore teoria sulla gravità che abbiamo; la sua validità è stata verificata in numerosissime situazioni e non esiste alcun esperimento i cui risultati siano stati in contrasto con quelli predetti.

Nonostante queste premesse sono state presentate teorie alternative che non richiedono né materia né tantomeno energia oscura; queste teorie, però, fanno previsioni che sono in contrasto con le osservazioni. Di conseguenza non sembra essere cosa facile liberarci della fastidiosa presenza del lato oscuro dell’universo.

 

Qualche spunto per ulteriori approfondimenti ...

Il neutrino

L’esistenza di questa particella così peculiare fu proposta teoricamente per spiegare lo strano comportamento degli elettroni emessi durante il decadimento beta.ritratto di Maria Sklodowska Curie (1867 - 1934)

Il decadimento beta è un particolare tipo di radioattività, osservato per la prima volta da Maria Sklodowska Curie (1867 - 1934), che si può presentare sotto diverse forme.

Un tipico decadimento beta consiste nella trasformazione di un neutrone, presente all’interno di un nucleo atomico instabile, in un protone accompagnata dall’emissione di un elettrone che viene espulso dal nucleo atomico. L’elettrone che fuoriesce dal nucleo dovrebbe avere un’energia con un valore ben preciso; in realtà l’osservazione mostra che l’elettrone possiede un’energia che varia in maniera continua da un valore minimo ad un valore massimo. Mediamente l’elettrone possiede solo metà dell’energia prevista teoricamente.

Questi risultati sperimentali crearono molto scompiglio fra gli scienziati poiché mettevano in dubbio la validità del principio di conservazione dell’energia, una delle tecniche investigative più potenti della fisica.

La soluzione del mistero la trovarono Wolfang Pauli ed Enrico Fermi i quali ipotizzarono che l’energia mancante doveva essere trasportata da una particella sconosciuta, emessa insieme all’elettrone, che fu chiamata neutrino.
Per spiegare i risultati sperimentali il neutrino avrebbe dovuto avere caratteristiche molto particolari: essere sprovvisto di massa, viaggiare alla velocità della luce e, soprattutto, interagire molto raramente con il resto della materia.

Con queste premesse fu subito chiaro che la verifica sperimentale dell’esistenza del neutrino sarebbe stata molto ardua. Sperare di individuare un singolo neutrino, emesso per esempio durante un decadimento beta, è una pia illusione; l’unica speranza è quella di trovare un sistema in grado di generare grandi quantità di neutrini di modo da avere una ragionevole probabilità di individuarne qualcuno.Il reattore nucleare di Savannah River
L’impresa fu finalmente possibile con l’avvento dei primi reattori nucleari per la produzione di energia elettrica; i reattori nucleari sono dei potentissimi produttori di neutrini e l’inafferrabile particella fu finalmente individuata nel 1956 presso il reattore nucleare di Savannah River (USA).

Oggi sappiamo che esistono tre tipi (sapori) di neutrini: il neutrino elettronico, il neutrino muonico e il neutrino tauonico ad ognuno dei quali corrisponde un antineutrino.

È stato inoltre appurato che, contrariamente a quanto supposto inizialmente, il neutrino possiede una piccolissima massa.

 

I quark

ritratto di George ZweigL'idea che protoni e neutroni non fossero particelle elementari, come ad esempio l'elettrone, ma avessero una loro struttura interna fu partorita nel 1964 da Murray Gellman (1929) e da George Zweig (1937) per spiegare i risultati di alcuni esperimenti. I due scienziati ipotizzarono che protoni e neutroni fossero composti da una tripletta di particelle elementari che furono chiamate quark. L'esistenza dei quark fu appurata quattro anni dopo.

Esistono sei tipi (sapori) di quark battezzati con dei nomi un po' curiosi: up, down, strange, charm, top, bottom (su, giù, stranezza, incanto, alto, basso) ai quali corrispondono i rispettivi antiquark.
I quark non si presentano mai isolati: possono esistere in coppie (un quark e un antiquark) all'interno di quelle particelle chiamate mesoni oppure in triplette all'interno di quelle particelle chiamate adroni (come neutroni o protoni).
Ad esempio un protone è composto da due quark up e un quark down mentre un neutrone è composto da due quark down e un quark up. La coesione dei quark all'interno delle particelle è garantita dall'interazione nucleare forte, una delle quattro forze fondamentali che esistono in natura.

Finché i quark rimangono a distanza ravvicinata all'interno delle particelle essi sono praticamente liberi; al contrario, quando la distanza reciproca tende ad aumentare, la forza che li unisce diventa talmente forte che l'estrazione di un quark diventa praticamente impossibile.
Questa caratteristica si chiama libertà asintotica e la sua scoperta ha fruttato nel 2004 il premio Nobel a Frank Wilczech (1951), David Gross (1941) e David Politzer (1949).

Oltre ad una carica elettrica frazionaria, che può assumere un valore pari a -1/3 oppure a +2/3 della carica dell’elettrone, i quark possiedono un’altra caratteristica che si chiama carica di colore (la carica di colore non ha nulla a che vedere con il colore, è un nome puramente convenzionale). Mentre la carica elettrica può essere di due tipi (positiva e negativa), la carica di colore può essere di tre tipi diversi: rosso, blu, verde (anche in questo caso i nomi sono puramente convenzionali, nulla a che vedere con i colori tradizionali). L’interazione fra i quark avviene tramite lo scambio di un’altra classe di particelle, anch’esse dotate di carica di colore, che si chiamano gluoni (dall’inglese glue, colla).

Tutte le famiglie di particelle elementari e le loro interazioni reciproche sono ben descritte dal Modello Standard, la migliore teoria che descrive il microcosmo a disposizione degli scienziati.

 

Le particelle virtuali e l’effetto Casimir

ritratto di Hendrik Brugt Gerhard Casimir (1909 - 2000)Abbiamo visto che, a livello submicroscopico, il vuoto è composto da un mare di particelle virtuali che vengono continuamente create e distrutte.
È possibile verificare l’esistenza delle particelle virtuali in maniera indiretta grazie all’effetto Casimir, così chiamato in onore del fisico olandese Hendrik Brugt Gerhard Casimir (1909 - 2000) il quale ne ipotizzò per primo l’esistenza nel 1948.

Si supponga di avere una coppia di lamine metalliche poste a brevissima distanza l’una dall’altra (qualche millesimo di millimetro). Nello spazio fra le due lamine è possibile l’esistenza delle sole particelle virtuali la cui lunghezza d’onda dell’onda associata è un sottomultiplo della distanza fra le lamine stesse.
Di conseguenza l’interazione esercitata dalle particelle virtuali che si trovano all’esterno delle lamine è leggermente superiore a quella esercitata dalle particelle virtuali che si trovano nello spazio all’interno delle lamine.
Questo sbilanciamento si traduce in una forza che tende ad avvicinare le lamine l’una verso l’altra e il corrispondente spostamento, benché minuscolo, è misurabile.

Dopo numerosi tentativi andati a vuoto, l’effetto Casimir è stato verificato sperimentalmente per la prima volta nel 1997 presso l’Università di Washington a Seattle.

 

Materia oscura e dimensioni extra

Alcune teorie fisiche, non ancora verificate sperimentalmente, richiedono l’esistenza di dimensioni addizionali.
Ad esempio, la famosa teoria delle superstringhe richiede la presenza di dieci dimensioni spaziali e una dimensione temporale.

Visto che noi avvertiamo solamente tre dimensioni spaziali e una temporale, la prima domanda che viene spontanea è: dove sono queste dimensioni extra, sempre ammesso che esistano?
Secondo una prima corrente di pensiero le dimensioni extra sarebbero ultramicrospiche e quindi non osservabili direttamente. Al contrario, secondo altri scienziati, le dimensioni extra sarebbero dimensioni come quelle che conosciamo ma inaccessibili per tutta una serie di motivi su cui non indaghiamo. Qualcuno azzarda l’esistenza di veri e propri universi paralleli al nostro ma a noi completamente inaccessibili.

Le teorie che prevedono l’esistenza di dimensioni spaziali addizionali forniscono soluzioni molto suggestive al problema della materia oscura. Secondo queste teorie la materia oscura potrebbe essere materia intrappolata nelle dimensioni extra, nel caso le dimensioni extra siano microscopiche, oppure materia situata in universi paralleli.
Riguardo alla seconda ipotesi c’è da dire che le teorie che suggeriscono l’esistenza di universi paralleli prevedono che l’unica forza in grado di propagarsi da un universo all’altro dovrebbe essere la gravità; di conseguenza l’influenza gravitazionale della materia presente in un universo dovrebbe essere avvertibile anche in un altro.

Forse l’incerto confine fra scienza e fantascienza è stato varcato ma il fascino emanato da queste teorie è veramente irresistibile.

 

Monografia n.121-2011/3


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