di Oriano Spazzoli
Il cielo e gli dei
Da quando luomo, alzando gli occhi al cielo, di giorno osservò per la prima volta il lento scorrere del Sole sullazzurro incontaminato di un cielo antico, e nelloscurità della notte contò decine e decine di piccoli punti luminosi che come occhi benevoli vegliavano sul suo sonno tormentato, e contemplò, con il lieve respiro della notte nel petto, il pallido malinconico volto della Luna ed il suo ciclico nascondersi e riapparire, lemozione profonda di fronte a quel mistero eterno ed eternamente uguale, gli fece collocare nella volta celeste la dimora degli dei. I suoi dei erano divinità grandi e forti, divinità che agivano sulla sua vita e sul suo destino, e che per questo dovevano essere in grado di vederlo in ogni momento, averne sotto gli occhi i movimenti, leggerne i pensieri e le intenzioni, perché la Terra, e luomo su di essa, di quellUniverso bambino erano la parte principale.
Il cielo era un soffitto (piatto per gli Egizi, a volta sferica per i Babilonesi e per il popolo dIsraele) sul quale gli astri scorrevano secondo la volontà divina, poco sopra le nuvole, anche se con un ritmo assai più regolare, che scandiva i tempi delle trasformazioni della natura e della vita delle genti umane.
Così losservazione del cielo divenne compito esclusivo dei sacerdoti ministri di un culto inteso come rapporto tra luomo e gli dei regolatori dei cicli naturali e principali artefici e responsabili della sua esistenza e della sua sopravvivenza.
Poi nellantica Grecia labbondanza di risorse, la fortuna e la prosperità delle attività umane permisero la realizzazione della prima rudimentale forma di democrazia, la polis. Nel suo contesto la partecipazione collettiva alle scelte dello stato, che esigeva unanalisi razionale delle situazioni e delle alternative possibili, contribuì a rendere la ragione facoltà principale dellintelletto umano; la filosofia divenne la più profonda espressione del sapere umano e lo scenario celeste divenne uno schema governato da leggi ben definite, geometriche e fisiche, divenne cioè Cosmologia razionale, pur tuttavia il cielo rimase qualcosa di lontano ed estraneo alluomo per sostanza e funzione.
Restò tra i principi fondamentali della fisica aristotelica lidea, mutuata dalla tradizione più antica, che le sfere celesti concentriche alla Terra in cui lUniverso era organizzato fossero di natura divina, eterne e immutabili, e pertanto fatte di materia incorruttibile (letere o quintessenza) e in moto circolare uniforme, lunico moto eternamente uguale a se stesso, e la contrapposizione tra le stesse sfere e il mondo caduco e mortale della Terra, ritenuta immobile al centro dellUniverso. La dicotomia netta tra questi due mondi diversi, si esprimeva anche nellimpossibilità di qualsiasi rimescolamento tra la materia cristallina delle sfere celesti e i quattro elementi materiali del mondo al di sotto della Luna (lastro più interno).
Si può allora immaginare lo sdegno che nella cultura ufficiale e nellautorità religiosa poterono provocare, addirittura in epoca pre-aristotelica (nel V secolo a.C.), affermazioni quali quelle di Anassagora, secondo cui gli astri non erano in realtà nientaltro che rocce infuocate, come sembrava suggerire il ritrovamento di alcuni frammenti meteorici.
Il viaggio nel cielo: un sogno ambizioso ed empio
Eppure limmaginazione e il sogno, ancora confusi con losservazione della realtà, fornirono nellantichità alluomo un paio di ali leggere con le quali realizzare due sue aspirazioni segrete ed impossibili: poter emulare il volo degli uccelli, facendosi beffe di una frustrante, rigida e ottusa legge di natura che lo voleva da sempre e per sempre con i piedi saldamente appoggiati sul suolo, e poter valicare il netto confine tra Terra e Cielo, tra umano e Divino, aspirando così alla suprema potenza della divina autorità sul mondo e, soprattutto, alla più ambita delle facoltà che gli dei possedevano, limmortalità.
Ma il sapere della nostra cultura mediterranea, è da sempre fondato su di un rapporto diretto con la realtà sensibile, sulla sua constatazione ed analisi diretta; la visione ed il sogno vi hanno avuto nel passato della nostra cultura una funzione premonitrice o di strumento scelto dagli dei per comunicare il loro volere agli umani. In ogni caso sogno e visione acquistano valore in quanto legati alla realtà ma non fanno parte della realtà.
Ecco dunque che il desiderio di volare, di librarsi nel cielo tra le nuvole e ancora più su tra gli astri del giorno e della notte, diventava illegittima volontà di sfida, violenza contro le sacre leggi della Natura, o, in una sola parola, empietà. Come tale doveva essere punito dai tutori dellordine naturale.
La punizione divina: Icaro, Fetonte e Bellerofonte
Cacciato da Atene per aver ucciso il cugino Talo, dopo averlo attirato con un pretesto sul tempio di Atena sullAcropoli e spinto giù dal cornicione, Dedalo, ottimo fabbro ed inventore abile e ingegnoso, si rifugiò a Creta presso il re Minosse, il quale lo accolse con gli onori che si dovevano ad un uomo di ingegno e di chiara fama quale era Dedalo. Quando Minosse però venne a conoscenza del fatto che Dedalo aveva favorito laccoppiamento della regina Pasifae, sua moglie, con il toro bianco di Poseidone, dio del mare, lo rinchiuse nel Labirinto, progettato dallo stesso Dedalo, insieme al figlio adolescente Icaro. Pasifae li liberò entrambi, ma Dedalo e Icaro non poterono fuggire subito da Creta, perché Minosse sorvegliava tutte le navi.
Così Dedalo pensò di fabbricare due paia di grandi ali fatte di penne e piume di uccelli: le penne erano intrecciate tra di loro, mentre le piume erano tenute insieme con della cera. Quando le ali furono pronte e Dedalo le legò sulle spalle di Icaro, con le lacrime agli occhi raccomandò al figlio di non volare né troppo alto perché il Sole avrebbe sciolto la cera né troppo basso perché lacqua del mare avrebbe inumidito le piume. «Seguimi» aggiunse «e non cambiare direzione», quindi infilò le braccia nelle ali e si levò in volo.
Quando ebbero sorvolato le isole di Nasso, Delo e Paro, però, Icaro inebriato dalla velocità e dalla sensazione di leggerezza del volo, volle salire ancora di più e disattese i consigli del padre; così si avvicinò troppo al Sole, il cui calore sciolse la cera che teneva insieme le piume, perse quota, lacqua del mare bagnò quel che restava delle sue ali e Icaro, caduto in mare, fu da esso inghiottito inesorabilmente.
Quando Dedalo si volse indietro a controllare che il figlio lo seguisse da presso, non lo vide più. Subito tornò indietro a esplorare la superficie del mare, ma inizialmente trovò soltanto le penne e le piume delle ali galleggianti sullacqua. Poi riemerse anche il corpo senza vita del figlio e Dedalo, piangente, lo raccolse e lo portò su di una vicina isola (denominata successivamente Icaria) e ve lo seppellì.
Icaro, dunque, che contravviene alle raccomandazioni paterne, preziose per la sua vita, perché non riesce a dominare lesaltazione che prova nel volo, diviene il simbolo dellambizione, delle emozioni incontrollate, ma anche, nei primi secoli del cristianesimo, del desiderio dellanima di salire al cielo spinta da passioni erronee. Forse è anche lincoscienza irriverente delluomo che, librandosi nellaria, non solo viola lordine naturale, ma perde anche la consapevolezza dei limiti che la natura gli ha imposto.
Ad una simile interpretazione si presta la storia di Fetonte, figlio di Elio e fratello di Selene, a loro volta generati dal titano Iperione; Elio conduce ogni giorno il carro che trasporta il Sole lungo il suo percorso diurno da uno splendido palazzo allestremo oriente ad un altro collocato dalla parte opposta, ad occaso. Qui Elio scioglie i cavalli e li lascia pascolare nellisola dei beati; poi carica cocchio e cavalli su di una nave dorata costruita da Efesto e navigando lungo il fiume Oceano ritorna ad oriente. Fetonte desiderava sopra ogni cosa di guidare il carro del Sole e insistette tanto affinché il padre gli concedesse lopportunità di farlo, che il padre un giorno gli concesse di sostituirsi a lui anche se per un solo giorno, pur raccomandando al figlio di mantenersi ad una distanza giusta dalla Terra, perché se si fosse allontanato troppo da essa gli uomini avrebbero sofferto e sarebbero morti per il freddo, se invece le si fosse avvicinato troppo, ne avrebbe arso il suolo. Fetonte allora, volendo dare prova di abilità alle sorelle Climene e Prote, spronò i cavalli conducendo il carro ad una velocità così elevata da perderne il controllo. Il Sole schizzò via dal suo percorso e arse la volta celeste lungo un cerchio massimo, che corrisponde allodierna Via Lattea. Zeus adirato con Fetonte per il danno arrecato al mondo e per lincoscienza e lirresponsabilità che egli aveva dimostrato, lo colpì con un fulmine facendolo precipitare nel fiume Po (forse rappresentato nel cielo con la costellazione dellEridano), mentre le sorelle, piangenti, furono trasformate nei pioppi che crescono abbondanti sulle sue rive.
Sia il viaggio di Icaro che quello di Fetonte, per i loro scopi (la fuga per Icaro, al guida del carro del Sole per Fetonte) tutto sommato legittimi, non costituiscono tanto espressioni di una chiara volontà umana di emulare il divino, quanto prove dellesistenza di limiti oggettivi e invalicabili per luomo.
Ancora più grave fu la colpa di Bellerofonte,
figlio di Glauco e nipote di Sisifo, artefice di grandi imprese
mitologiche, che abbandonata la città di Corinto avvolto in una
nube, dopo avervi ucciso un certo Bellero (da cui il nome di
Bellerofonte) ed il proprio fratello, si rifugiò presso Preto,
re di Tirinto. Ma quando la regina Antea, innamoratasi di lui,
gli si offrì, egli rifiutò le sue profferte per lealtà nei
confronti del re. Allora Antea, offesa, allinsaputa di
Bellerofonte lo accusò di aver tentato di sedurla e Preto
credette alle parole della moglie. Tuttavia Preto non volle
uccidere Bellerofonte, che era suo ospite, per non uccidere chi
gli aveva chiesto ospitalità supplicando, ma lo inviò da
Iobate, re di Licia e padre di Antea, informandolo con una
lettera della riprovevole condotta di cui Antea aveva accusato
Bellerofonte. Anche Iobate però non volle venire meno al sacro
dovere dellospitalità uccidendo Bellerofonte, ma per
punirlo non direttamente delle sue presunte colpe, gli
commissionò unimpresa suicida: uccidere la Chimera, un
mostro con il corpo di leone, la testa di una capra, la coda di
un serpente e lalito infuocato. Bellerofonte consultò
allora lindovino Poliido che lo consigliò di catturare il
cavallo alato Pegaso, nato dal sangue di Medusa uccisa da Perseo
(infatti la costellazione di Pegaso si trova vicino a quella di
Perseo), che viveva sul monte Elicona, sul quale con un colpo di
zoccolo aveva fatto sgorgare la fonte Ippocrene. Si narra che
Bellerofonte trovò Pegaso presso unaltra fonte, la fonte
Pirene, sullAcropoli. Con laiuto di Atena,
Bellerofonte domò Pegaso e lo imbrigliò. Quindi a cavallo di
Pegaso piombò dallalto sulla Chimera, la colpì con molte
frecce e le conficcò un blocco di piombo tra le mascelle; essa
con lalito di fuoco lo fuse ed il piombo fuso le scese giù
per la gola bruciandole le interiora. Quando tornò da Iobate,
questi, infastidito dal fatto che fosse tornato illeso, gli
commissionò un altro pericoloso incarico: combattere i
pericolosi Solimi e le loro alleate, le Amazzoni. Bellerofonte
assolse anche questo compito, forte del fatto che cavalcando
Pegaso poteva restare ad unaltezza tale che le frecce dei
suoi nemici non potevano raggiungerlo.
Quando poi tornò ancora da Iobate, questi invece di accoglierlo
con gli onori dovuti ad un vincitore, schierò contro di lui le
guardie reali, ma Bellerofonte accortosi delle intenzioni ostili
di Iobate, pregò e ottenne da Poseidone che gonfiasse le acque
del fiume Xanto inondandone la piana alle sue spalle mentre
avanzava verso il palazzo reale. Accadde allora che le donne
xantie, per proteggere le loro dimore e le loro famiglie,
decisero di andare incontro a Bellerofonte con le vesti
innalzate, per offrirsi al suo piacere. Ma Bellerofonte, di
fronte ad esse invece di approfittare del fatto che esse gli si
concedevano, volse le spalle al palazzo reale e tornò sui suoi
passi desistendo da qualsiasi proposito bellicoso nei confronti
di Iobate. Solo allora il re si accorse dellonestà di
Bellerofonte e dellinfondatezza delle accuse che gli erano
state rivolte da Preto e, per farsi perdonare nonché per
premiarlo per il suo valore ed il suo coraggio, lo nominò
successore al trono di Licia e gli concesse in sposa la figlia
Filinoe. Ma Bellerofonte, inquieto e ambizioso comera, non
era affatto pago del suo successo che pure gli avrebbe procurato
prosperità e serenità per il resto dei suoi giorni. Egli voleva
molto di più; così in preda ad una insana, delirante
esaltazione, sempre a cavallo di Pegaso volle salire
sullOlimpo e trovare posto tra gli dei. Allora Giove per
punirlo, inviò un tafano che punse Pegaso sotto la coda. Il
cavallo alato imbizzarrito disarcionò il suo folle cavaliere che
ricadde così sulla Terra. Bellerofonte sopravvisse alla caduta,
ma ne fu profondamente ferito nel corpo e nellanimo e finì
i suoi giorni cieco e storpio, vagando da solo per strade poco
battute, per sottrarsi alla vista degli uomini. Bellerofonte
resta il simbolo degli eccessi dellambizione delluomo
che inebriato dalle proprie imprese vuole divenire suprema
autorità.
Luomo e il cielo in altre culture
Se nelle storie che abbiamo appena riassunto in breve, si coglie la rigidezza della suddivisione tra umano e divino e lillegittimità non solo dellaspirazione, ma perfino dellavvicinamento fisico delluomo a ciò che è divino, in diverse culture primitive, nelle quali il rapporto con la natura non è limitato allo sfruttamento o alla scelta di strategie di sopravvivenza, il culto religioso è ispirato ad un panteismo che identifica la natura stessa in tutte le sue varie forme con il divino in tutti i suoi aspetti. E poiché essa è qualcosa di dinamico, in continua evoluzione e trasformazione, anche il divino deve essere qualcosa di dinamico che si esprime in varie forme. Inoltre la chiave di lettura del mondo sensibile per queste civiltà è decisamente più semplice e tende ad appianare le differenze di peso che esistono tra i vari fenomeni naturali, differenze evidenziate da unosservazione analitica e rigorosa come quella degli antichi Greci; forse anche per questo ai fenomeni celesti non un rilievo tanto maggiore rispetto a quelli terrestri.
I Greci non si limitano a osservare la ciclicità dei movimenti del cielo; essi individuano un linguaggio astratto che serve a descrivere tale ciclicità, a rappresentarne lordine, visto come massima espressione dellorganizzazione delluniverso. Il Cielo invece per molte culture di antica tradizione, diverse dalla nostra, è una parte della natura, con la stessa dignità della foresta, del fiume o del mare, della montagna, e luomo può raggiungerlo arrampicandosi su una montagna più alta delle altre o, trasformandosi in un uccello e spiccando il volo, perché non è necessario costruire un paio di ali per volare se il sogno può dotare luomo di ciò che le sue capacità fisiche non gli consentono. Dunque il sogno e la visione sono una parte della realtà che ha lo stesso rilievo di ciò che i sensi percepiscono e luomo può salire nel cielo e lanciarsi in volo senza violare alcuna ferrea legge imposta da dei superbi e lontani.
Uomini tra le stelle
Unantica leggenda irochese (gli irochesi sono un popolo autoctono dellAmerica nord-orientale) narra di un vecchio divenuto ormai troppo debole per cacciare o lavorare, che ritenendo di essere divenuto un peso inutile per la propria tribù, decise di allontanarsi per andare a morire da solo in un luogo lontano; scelse a questo scopo la cima di una montagna e vi si arrampicò faticosamente con un bastone in mano e una gerla sulle spalle contenente gli oggetti a lui più cari. Giunto sulla cima della montagna, il vecchio cominciò a intonare il suo canto di morte, pregando che il suo viaggio potesse continuare anche dopo la vita terrena. Il suo canto risuonò nellaria riempiendo presto la piana sottostante, e giunse fino al suo villaggio, nel quale la gente riconosciuta la voce del vecchio interruppe il lavoro e volse lo sguardo verso il punto dal quale proveniva quel canto triste. Tutti allora videro il vecchio salire lentamente verso il cielo tra le stelle, dove si dice che si trovi ancora oggi nella costellazione di Orione. Si narra anche che il vecchio non morì, ma giunto nel cielo recuperò la sua forza e la possibilità di essere di nuovo utile non solo per il suo popolo, ma anche per tutte le altre genti: da allora infatti egli trasporta il Sole nella sua gerla lungo il suo percorso diurno, fornendo luce e calore a tutti gli uomini sulla Terra. Quando poi dinverno la stanchezza appesantisce i muscoli del vecchio, egli passa la sua gerla al figlio che la porterà durante i mesi invernali nei quali il vecchio si riposa. Tuttavia, come ben si sa, i giovani cercano di lavorare e faticare il meno possibile, per questo motivo il figlio trasporta il Sole sullorizzonte per un numero di ore minore mantenendolo più basso di quanto non lo tenga il vecchio, ed i giorni invernali risultano più freddi di quelli estivi. Alla fine dellinverno il vecchio, dopo il suo lungo riposo invernale, riprenderà la gerla con il Sole sulle spalle riconducendoli nel cielo e dispensando di nuovo luce e calore agli uomini.
Dunque il cielo in questo caso, chiamando a sé il vecchio gli ha accordato ciò che il mondo terrestre ormai non poteva più concedergli: la vita, la forza e una funzione importante per gli uomini. Il cielo è quindi, in questo caso, complemento della Terra.
In unantica leggenda del popolo dei Tewa (nella parte sud-occidentale dellodierno territorio degli Stati Uniti dAmerica), il grande capo lunga Fascia, in un momento difficile per la sua gente decise di condurre con sé la sua gente nel cielo lungo la Via Lattea. Il suo popolo lo seguì, ma poco tempo dopo qualcuno cominciò a lamentarsi per la lunghezza e la difficoltà del cammino; allora Lunga Fascia interruppe il cammino fermandosi in prossimità di due stelle vicine, denominate i gemelli (le due stelle principali della tradizionale costellazione dei Gemelli); qui rimproverò coloro che si lamentavano invitandoli ad andarsene qualora non si sentissero in grado di proseguire. Il luogo in cui si tenne tale riunione venne detto posto della decisione. Tutti decisero di seguire Lunga Fascia, ma di lì a poco, poiché ancora non si intravedeva la meta del viaggio, le lamentele tornarono a farsi sentire e qualcuno cominciò a dubitare della sua abilità nel comando. Allora Lunga Fascia e la sua gente si fermarono di nuovo ed egli sedette e si tolse il copricapo appoggiandolo nel punto in cui ora si trovano le Pleiadi (che rappresentano infatti il copricapo di Lunga Fascia). Il luogo della nuova sosta venne denominato posto del dubbio. Alla fine Lunga Fascia decise di condurre il suo popolo nella Terra di Mezzo, dove ancora oggi egli si trova, e che corrisponde alla costellazione di Orione.
Secondo una leggenda Kiowa lascesa verso il cielo offrì una possibilità di salvezza a sette ragazze, che, mentre si rincorrevano per gioco, vennero aggredite da un gruppo di orsi affamati. Esse cercarono subito di fuggire, ma si resero ben presto conto di essersi spinte troppo lontano dal loro villaggio e di essere troppo lente per poter sfuggire agli orsi; così decisero di salire sulla cima di un piccolo masso e lì pregarono la roccia di salvarle. Poiché le ragazze erano buone di cuore lo spirito della roccia ascoltò le loro preghiere; così allimprovviso il masso cominciò a crescere divenendo una montagna altissima, mentre gli orsi affondavano gli artigli nella roccia nel vano tentativo di salire per raggiungere le loro prede. Il masso crebbe fino a condurre le fanciulle in cielo, dove ancora oggi si possono vedere come le sette stelline che formano le Pleiadi, dette anche le sette sorelle. Anche la roccia è ancora oggi visibile: il suo nome è Mateo Tipi (si trova nel Wyoming e gli Americani la chiamano Devils Tower o Torre del Diavolo).
Anche nella seguente antica leggenda estone, la salita al cielo di un essere umano rende possibile la genesi di una parte del cielo; essa spiega la nascita della Via Lattea. È la storia di Lindu, meravigliosa fanciulla, figlia di Uko, dio del Cielo e del Tuono. Ella era amica di tutti gli esseri e da tutti era amata; in particolare proteggeva gli uccelli assicurandosi che le loro migrazioni fossero prive di difficoltà e indicava loro i luoghi ove nidificare. Era così bella che tutti gli uomini si innamoravano di lei e desideravano sposarla, ma ella trovava ogni volta motivi per rifiutare le altrui proposte di matrimonio. Quando le si offrì Stella Polare ad esempio ella declinò rispondendo: «Tu resti sempre nello stesso posto e non puoi muoverti da lì; per me è troppo noioso, non posso sposarti». Rifiutò il Sole perché troppo costante e la Luna perché troppo mutevole.
Quando pareva che ormai nessuno più potesse conquistarne i favori, incontrò Aurora Boreale mentre viaggiava sulla sua carrozza ornata di diamanti e trainata da mille cavalli bianchi. A Lindu piacquero i suoi doni, più pregiati di tutti quelli che aveva ricevuto fino ad allora, ma più di tutto le piacque il modo in cui Aurora Boreale danzava nel cielo, mostrandosi nella sua meravigliosa bellezza. Ella non poté fare a meno di lodarne le virtù: «Tu non sei sempre uguale,» disse «vai e vieni come ti piace e ogni volta indossi abiti splendidi sempre nuovi. Tu sei colui che sposerò.»
Al cospetto di Sole, Luna e Stella Polare, tristi e delusi, Lindu e Aurora Boreale si fidanzarono. Di lì a poco però Aurora dovette ripartire; disse a Lindu che doveva a tutti i costi tornare verso Nord intorno a mezzanotte, ma promise che sarebbe tornato. Trascorse il primo giorno e al tramonto Aurora non era tornato; Lindu rimase ad attenderlo sospirando. Purtroppo Lindu lo attese invano anche il secondo giorno, il terzo e tutti i giorni seguenti. Alla fine Uko, impietositosi nel vedere la bellezza di Lindu consumarsi nella pena della vana attesa, chiamò i venti perché la sollevassero da terra e la portassero in cielo ove la sua anima triste avrebbe trovato la quiete. Lì si trova ancora oggi: se ne può ancora vedere il velo nuziale sollevato dal vento che fluttua da unestremità allaltra del cielo.
Conclusioni
Migliaia di anni di evoluzione hanno trasformato in realtà prima il sogno del volo, poi quello del viaggio nellUniverso; oggi la tecnologia permette alluomo di spingere il suo occhio fin quasi al limite dellintero universo visibile, gli consente di vedere per mezzo di sensori a frequenze non ottiche galassie in formazione e addirittura di captare il debole segnale residuo dellesplosione che 15 miliardi di anni fa segnò linizio della vita del nostro universo.
Il viaggio nel Cosmo è uscito dal dominio della fantasia umana ed è divenuto complessa ricerca di una frontiera tra il possibile e limpossibile. Ma la mente umana ha mantenuto la sua capacità di spingersi oltre i limiti fisici e immaginare linfinito e linfinitesimo. Sembra impossibile stabilire un legame tra le complicate problematiche tecnologiche e teoriche del presente e i semplici pensieri di un passato così lontano e diverso. Eppure possiamo senzaltro ritenere che il lungo cammino che ci ha condotto fino ad oggi, iniziato dalla visione del mondo più ingenua e semplice, ha avuto proprio il primo impulso dalla curiosità, intrisa anche di risvolti dellanimo umano considerati insani come lambizione o lincoscienza, ed è progredito nella perenne battaglia tra la passione per la ricerca e la paura della trasgressione, spinto anche dallimmaginazione sfrenata di qualche pazzo visionario che, talvolta deriso e maltrattato, indicava alluomo strade segrete e scenari nascosti che solo lui poteva vedere.
La società umana si è evoluta, ma è bello comunque pensare alle intense emozioni provate un tempo di fronte al grande spettacolo della natura e dalle quali nascevano storie fantastiche, ma è ancora più bello pensare che quelle emozioni possono essere risvegliate dalla contemplazione di quei piccoli punti luminosi che brillano nel cielo notturno.
Bibliografia:
Si ringrazia la prof.ssa Anna
Franceschelli per la gentile
collaborazione fornita alla stesura del precedente testo.
Monografia n.54-2000/13
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