di Fabrizio Bonoli
Solitamente, nei trattati di storia della scienza e più in particolare dell'astronomia si ricorda come una delle tappe più significative dell'astronomia a metà dell'Ottocento sia stata la nascita di quegli studi sulla fisica dei corpi celesti dai quali è poi nata l'astronomia moderna, l'astrofisica.
Indubbiamente, visto a
posteriori, l'inizio dell'astrofisica ha aperto un capitolo
nuovo, del tutto diverso e incredibilmente promettente, finendo
per chiudere l'altro capitolo che si protraeva da alcuni secoli,
relativo all'osservazione delle posizioni dei corpi celesti e
allo studio dei loro movimenti.
Capitolo, quest'ultimo, che, partendo dall'ossessiva ricerca
sei-settecentesca di quei piccoli spostamenti apparenti delle
stelle sulla volta celeste, avrebbe portato alla definitiva
affermazione del sistema eliocentrico e successivamente, con la
scoperta di Urano (William Herschel, 1781) e di Nettuno (Johann
Gottfried Galle e Urbain Le Verrier, 1846) avrebbe mostrato il
clamoroso risultato cui era in grado di giungere l'astronomia
coniugando la tecnica strumentale e osservativa con le leggi
della meccanica celeste.
William Herschel
(1738 - 1822) - Johann Gottfried Galle (1812 - 1910) - Urbain Le
Verrier (1811 - 1877)
Soprattutto agli occhi dell'opinione pubblica, queste conquiste di nuovi e sconosciuti pianeti avevano così portato ai massimi livelli l'immagine dell'astronomia e la sua posizione tra le altre discipline.
Come l'aumentata precisione degli strumenti e delle tecniche d'osservazione aveva consentito di iniziare a costruire i primi scalini di quella scala delle distanze che porterà gli astronomi ai più lontani oggetti dell'Universo e alla comprensione delle sue dimensioni, parimenti, una nuova tecnica, la Spettroscopia, avviata nel 1814 da Joseph von Fraunhofer con la scoperta delle righe scure nello spettro solare, consentì di studiare la struttura fisica e la composizione chimica dei corpi celesti fino alla comprensione della loro natura, della loro evoluzione e dell'evoluzione dell'Universo, aprendo la strada alla nuova astronomia nel volgere di pochi decenni.
Joseph von
Fraunhofer: spettro solare con bande di emissione e righe
d'assorbiment4o
Quali erano, dunque, le problematiche di ricerca ancora aperte e quelle che le nuove acquisizioni del sapere incominciavano ad aprire agli inizi dell'ottocento? E, soprattutto, quali erano quelle nelle quali la comunità astronomica internazionale riteneva di indirizzare i maggiori sforzi di uomini e di strumenti?
Proviamo ad identificarle, molto sinteticamente e in pochi punti.
Per affrontare questi problemi, oltre a sforzi di singoli, si formarono gruppi di ricercatori e si attivarono collaborazioni tra più Osservatori anche di diverse nazioni per realizzare impegnative campagne d'osservazione e imponenti opere di catalogazione.
Tra le campagne osservative, notevoli sforzi organizzativi richiesero quelle per le osservazioni del transito di Venere sul disco del Sole e tutte quelle realizzate per seguire sul globo il succedersi delle varie eclissi solari, con tecniche visuali, fotografiche (da poco inventate) e spettroscopiche.
Con quest'ultimo preciso scopo, nacque in Italia, alla fine degli anni Sessanta, l'idea di costituire un gruppo di ricercatori che utilizzassero in modo definito e coordinato le nuove tecniche spettroscopiche: da questa idea di Pietro Angelo Secchi e Pietro Tacchini si costituì, nell'ottobre del 1871, la Società degli Spettroscopisti Italiani, prima associazione di ricercatori specializzata nella nascente "astronomia fisica".
Pietro Angelo
Secchi (1818 - 1878) - Pietro Tacchini (1838 - 1905)
Ovviamente, dietro a queste idee, a questi progetti e a queste ricerche stava, con non minore importanza e impegno, uno sforzo tecnologico diretto a migliorare le capacità osservative con la costruzione di strumenti per raccogliere e analizzare la radiazione luminosa sempre più grandi, più accurati e più sofisticati, ma di questo avremo modo di parlare più avanti.
In tutto questo come si inserisce l'astronomia della nascente Italia?
In una lettera del 1868 indirizzata a Secchi, Giovanni Virginio Schiaparelli, allora già direttore dell'Osservatorio di Brera, riferendosi alla situazione nella quale si trovava l'astronomia italiana, lamentava, molto apertamente, il fatto che «qui non si può mai ottenere nulla, e la causa sono i troppi Osservatori che abbiamo, per i quali il Governo spende una somma ragguardevole, senza che perciò in nessuno [ ] si possa fare qualche lavoro importante di osservazione ».
Infatti, il 17 marzo del 1861, al momento della proclamazione del Regno d'Italia, il Governo del nuovo Stato unificato, insediato appena cinque giorni dopo e presieduto da Camillo Benso di Cavour con Francesco De Sanctis al Ministero dell'Istruzione, fra i mille problemi che si trovò ad affrontare, si imbatté anche in una situazione delle specole astronomiche italiane che rispecchiava lo stato di divisione del territorio nazionale e la sua storia pregressa.
I vari regnanti o governi avevano cercato, nel corso dei precedenti due secoli, di dotarsi di strutture astronomiche e questo sia per i motivi, sopra ricordati, dell'importanza che all'epoca riscuoteva l'astronomia, sovrana tra le altre discipline anche agli occhi dell'opinione pubblica, sia perché agli astronomi venivano da lungo tempo demandate anche diverse altre occupazioni di scopo più pratico, quando non addirittura politico o militare: dalla misura del territorio al controllo delle acque, alla misura del tempo, alle osservazioni meteorologiche e sismiche.
A fronte di una decina tra
stati, regni, ducati e granducati che, nell'arco di tempo
compreso tra le tre guerre d'indipendenza 1849-66 e
la presa di Porta Pia 1870 confluirono sotto la
corona sabauda, almeno undici erano le strutture astronomiche
pubbliche di una certa consistenza: gli Osservatori (che qui
citiamo riferendoci alla città in cui avevano sede) di Torino
nel Regno di Sardegna, di Milano e di Padova nel Regno
Lombardo-Veneto, di Firenze nel Granducato di Toscana, di Napoli
e di Palermo nel Regno delle Due Sicilie, di Modena e di Parma
nei rispettivi Ducati, di Bologna nello Stato della Chiesa, oltre
ai due Osservatori del Campidoglio e del Collegio Romano in
quella che stava per divenire la capitale del Regno.
A questi si aggiunsero l'Osservatorio astrofisico di Catania e la
Stazione del Servizio internazionale delle latitudini di
Carloforte, prima della fine del secolo, e gli Osservatori di
Trieste e di Collurania a Teramo, all'inizio del secolo
successivo.
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Nell'esame delle diverse istituzioni astronomiche si possono riconoscere molto facilmente fasi di crescita o di declino, oltre al fatto scontato che istituzioni in Stati più grandi si trovavano, certamente, in più favorevoli condizioni per svolgere la loro ricerca.
Si veda, per esempio, il confronto tra gli Osservatori di Napoli e Palermo nel Regno delle Due Sicilie o di Milano nel Regno Lombardo-Veneto, di gran lunga i più avanzati, rispetto ai piccoli Osservatori di Modena e Parma.
Oppure il caso di Bologna, la cui Specola era stata tra le più seguite dal Governo pontificio nel corso del Settecento, divenendo una delle più importanti d'Europa, mentre, nel secolo successivo, andò incontro a un declino per l'accresciuta importanza degli altri due Osservatori romani e, soprattutto, per il diminuito interesse governativo verso una località in posizione non centrale e soggetta per di più a frequenti moti politici: nel settembre del 1859, infatti, il ministro Albicini scriveva al Governatore Generale delle Romagne affermando «il bisogno di vedere migliorate le condizioni dell'Università di Bologna » e ricordando come «il cessato Governo [pontificio] non le curò d'alcuna guisa, e lasciò le cose nel pristino difettivo stato » nonostante « gli stessi Professori e i Collegi delle Facoltà [avessero riconosciuto] la necessità di una riforma ».
D'altra parte, non ci si poteva certo attendere un grosso impegno verso gli Osservatori astronomici, in una situazione nazionale nella quale, a fronte di ben 19 università e varie scuole di ingegneria, farmacia, veterinaria e alcuni istituti superiori, l'analfabetismo toccava, nel 1861, il 75% dell'intera popolazione di 25 milioni di abitanti con punte superiori all'86%, contro il 40-45% della Francia e il 30-33% dell'Inghilterra.
Gli sforzi dei diversi Ministri per l'Istruzione in questi decenni furono rivolti proprio ad affrontare questa drammatica condizione di sottosviluppo culturale nella quale si trovava la nazione, prestando, necessariamente, un margine di impegno inferiore a quella che oggi chiamiamo "ricerca di base", se non all'interno di una ristrutturazione complessiva del sistema di insegnamento universitario e di ricerca del paese. Tutto questo, non va dimenticato, inserito in un contesto economico drammatico, essendosi trovato il nuovo Stato a ereditare l'ampio debito pubblico degli Stati preunitari.
Tornando alla situazione degli osservatori nell'Italia preunitaria vale la pena citare una descrizione dell'astronomo viennese Karl Ludwig von Littrow, direttore dell'Osservatorio di Vienna, che intraprese un viaggio in Italia con lo scopo di "visitare la maggior parte delle Specole" e ne fornì una relazione alla Gazzetta Privilegiata di Vienna, pubblicata anche sull'analoga Gazzetta di Venezia, curiosamente nella "Appendice di letteratura, teatri e varietà".
In pochi tratti Littrow,
con una cautela dovuta alla gentilezza di chi si è sentito
ospite «se non si mostra tutto sotto il più
bell'aspetto, com'egli desidererebbe, gli perdonino i diversi
stabilimenti e gli sia per amichevole scusa l'individuale
persuasione » fornisce una descrizione di alcune
delle Specole da lui visitate, Padova, Bologna, Firenze, Roma e
Napoli.
In quasi tutti i casi eccetto Capodimonte lamenta
la precaria situazione degli edifici da cui avevano luogo le
osservazioni, principalmente vecchie torri dove gli strumenti
erano alloggiati con evidenti problemi di stabilità che ne
inficiavano gravemente l'accuratezza. Altrove nota come, accanto
a strumenti "quasi" nuovi e di appena sufficiente
qualità, si trovassero apparati di vecchia generazione.
Ad esempio, a Bologna, nel notare in una piccola cupola una
macchina parallattica di Dollond, già vecchia di quasi
sessant'anni all'epoca della visita, esprime come « con
sorpresa si vede lì accanto un quadrante mobile »,
quadrante, infatti, che risaliva ai primissimi anni del
Settecento!
L'astronomo viennese rivolge, peraltro, attestazioni di stima ad
alcuni degli astronomi che operavano in quelle situazioni e ne
riconosce le capacità: « l'abate [Feliciano]
Scarpellini - si riferisce al direttore dell'Osservatorio
romano del Campidoglio - rispettabile vecchio, alla cui
assiduità non si può rendere abbastanza giustizia; non solo,
privo di ogni soccorso, costruì gl'istrumenti coi suoi proprii e
scarsi mezzi, ma fin'anche di propria sua mano ».
Lamentando di non aver potuto visitare le Specole di Milano,
Palermo e Modena « delle quali certamente non avrebbe potuto
parlare che con sommo encomio a quanto apparisce dai bei lavori
che fino ad adesso sono stati pubblicati », conclude con
una frase che fotografa in modo estremamente esplicito la
situazione degli Osservatori visitati: « Sempre però si
scorge che in questo felice paese si potrebbe sperare molto anche
per lastronomia pratica, se da un lato in parte non
mancassero i mezzi e dall'altro l'applicazione ».
"Mezzi", dunque, e "applicazione" erano, a detta di un esperto contemporaneo, quanto mancava all'astronomia italiana preunitaria. Quanto in questa analisi trova riscontro?
Quasi tutti gli Osservatori "italiani" avevano una storia che partiva dal settecento: dal più antico, Bologna, nato come Specola dell'Istituto delle Scienze nel 1726; all'Osservatorio di Brera, fondato nel 1760, all'ultimo Osservatorio settecentesco, quello di Palermo, sorto nel 1790 per volontà di Ferdinando IV di Borbone e « inquadrato nel tentativo [ ] di inserire la Sicilia in un circuito di cultura internazionale ».
Agli inizi dell'ottocento, invece, risalgono l'Osservatorio di Firenze, stabilito sul Reale Museo nel 1807 e trasferito nel 1872, ad Arcetri, sul colle che aveva visto il confino di Galilei; l'Osservatorio di Napoli, terminato nel 1819, dopo una lunga e travagliata gestazione che partiva dalla medesima volontà con la quale Ferdinando IV di Borbone aveva istituito quello di Palermo, ma splendidamente costruito e attrezzato, anche grazie al contributo di Giuseppe Piazzi, sulla collina di Miradois a Capodimonte; l'Osservatorio di Modena, istituito nel 1826 dal Duca Francesco IV d'Este; infine, il più recente dei due Osservatori romani, quello eretto nel 1849 sulla torre orientale del Campidoglio, in sostituzione del precedente osservatorio privato di Feliciano Scarpellini.
Nella prima metà dell'Ottocento, gli strumenti d'osservazione astronomica si potevano dividere, molto schematicamente, in tre differenti tipologie: gli strumenti di misura (essenzialmente piccoli rifrattori montati su supporti stabili e dotati di cerchi graduati), i rifrattori e i riflettori.
Senza voler fare qui la storia dello sviluppo strumentale, ricordiamo che il secolo si era letteralmente aperto proprio il primo di gennaio del 1801 con la scoperta del primo asteroide, Cerere Ferdinandea, a opera di Giuseppe Piazzi, mediante l'eccellente circolo altazimutale realizzato pochi anni prima dall'inglese Jesse Ramsden per l'Osservatorio di Palermo.
Nell'analisi dell'accuratezza degli strumenti di misura astronomici, Allan Chapman sottolinea come fu proprio questo strumento di Ramsden a far nettamente superare la soglia del secondo d'arco di precisione rispetto agli strumenti di misura di vecchia generazione di Graham e Bird.
I tempi stavano cambiando. L'evoluzione tecnologica seguita alla rivoluzione industriale favorì anche lo sviluppo strumentale nella ricerca scientifica. La vecchia scuola inglese di Ramsden, Cary, Troughton e Simms venne così a essere, se non soppiantata, almeno eguagliata da costruttori tedeschi quali Repsold, Reichenbach, Fraunhofer, Ertel, Merz e Steinheil.
E in Italia cosa avveniva in questo periodo sul fronte strumentale?
In sostanza, già dalla fine del Settecento la situazione dei costruttori di strumenti scientifici in Italia era decisamente modesta e, per quanto riguarda la strumentazione astronomica, i nomi che si possono fare nel XIX secolo, al di là di singoli artigiani, spesso legati in modo più o meno istituzionale con Osservatori o Università, sono quelli di Giovan Battista Amici e di Ignazio Porro.
Al primo si devono alcuni
riflettori in montatura herscheliana e alcuni rifrattori, oltre
alla realizzazione di numerosi strumenti ottici, tra cui degli
spettroscopi a prismi composti, di originale ideazione.
Tra le ottiche per telescopi, va segnalato l'obiettivo da 28cm di
diametro, completato nel 1854 per l'Osservatorio di Firenze, ma
la cui prima lente era stata presentata nel 1841 alla III
Riunione degli Scienziati Italiani, e le cui dimensioni per
l'epoca costituivano un primato mondiale.
Inoltre, dalla sua esperienza tecnica e astronomica e dalla sua collaborazione con Giovan Battista Donati, che nel 1859 gli succedette alla direzione di quell'Osservatorio, prese avvio il progetto, pubblicato a Firenze in un opuscolo datato 23 maggio 1862, che portò alla nascita delle Officine Galileo, praticamente l'unica ditta italiana che si è occupata della costruzione di telescopi fino a tutto il Novecento.
Al piemontese Ignazio
Porro, che lavorò per diversi anni a Parigi, si deve la
fondazione dell'Officina Filotecnica nel 1864, poi divenuta
Filotecnica Salmoiraghi.
I suoi interessi erano particolarmente rivolti agli strumenti di
misura topografici, ma si dedicò anche alla costruzione di
quello che all'epoca fu il più grande telescopio rifrattore del
mondo, con un obiettivo da 52cm e una focale di 15m, installato
nel 1857 a Parigi. Per svariati motivi il telescopio non venne
poi terminato e l'operazione fu abbandonata dopo meno di un paio
di anni.
Con questi unici due nomi si esaurisce il panorama strumentale italiano e, anche se dopo l'Unità il governo nazionale mostrò un certo interesse verso l'istruzione tecnica e la formazione di tecnici specializzati, la situazione non migliorò neanche nel secolo successivo.
Derivò da tutto questo il fatto che gli Osservatori italiani fossero costretti a rivolgersi all'estero per la loro dotazione strumentale, con ovvi problemi di natura economica, di montaggio, manutenzione e aggiornamento degli strumenti, ma, soprattutto, con la conseguente difficoltà di far crescere nel paese una generazione di astronomi e di tecnici particolarmente attenta agli sviluppi strumentali.
Un'analisi dei telescopi in Italia non fa altro che sottolineare quanto sin qui affermato.
Come si è già visto, la sfida tecnologica e osservativa era rivolta alla costruzione di obiettivi di sempre maggiori dimensioni e lItalia, che all'atto del processo di unificazione nazionale, disponeva di sei strumenti con apertura inferiore a 28cm, tentò di adeguarvisi con l'acquisizione, nell'ultimo ventennio del secolo, di quattro nuovi telescopi con obiettivo maggiore di 30cm, quando all'estero, però, questa sfida era già volta all'ottenimento di obiettivi superiori ai 60-70cm di diametro.
Un altro aspetto che merita grande attenzione nell'esame delle possibilità osservative, è quello relativo alla strumentazione accessoria, ma, volendoci noi limitare all'epoca dell'Unità d'Italia, ricordiamo che nel primo decennio della seconda metà del secolo la fotografia astronomica si stava iniziando a sviluppare e la spettroscopia stellare si può dire che non fosse ancora nata, essendo proprio del 1860 il primo lavoro in questo campo a opera di Giovanni Battista Donati: l'astronomia era, a quel tempo, esclusivamente osservazione visuale e in pratica gli unici accessori di una certa rilevanza erano gli orologi, i micrometri e i fotometri visuali.
Naturalmente, lo "strumento" osservativo non può nulla se dietro non vi sono buoni programmi di ricerca, accurati osservatori, abili interpreti delle osservazioni, validi diffusori dei risultati ottenuti: in poche parole una struttura di ricerca complessivamente capace e, soprattutto, non rinchiusa all'interno della sua "torre", che nel nostro caso non è una torre metaforica, ma una vera e propria torre astronomica.
Fino agli anni Sessanta dell'ottocento, il lavoro astronomico fu essenzialmente rivolto alla cosiddetta astronomia di posizione: misure accurate di coordinate stellari per studiare la costituzione geometrica e cinematica del Cosmo.
Lo stesso Angelo Secchi, uno dei padri dell'astrofisica, scrisse nel 1877, nel suo Le stelle: saggio di astronomia siderale, che « il più grande progresso dell'astronomia moderna consiste nella determinazione rigorosa dei luoghi stellari; lavoro che manca certamente del brillante bagliore di molte altre ricerche, ma che è infinitamente più solido e più duraturo ».
Di questo "solido lavoro" si occupò la maggior parte degli astronomi italiani.
Una delle attività
principali in cui ritroviamo impegnati gli astronomi è la
realizzazione di cataloghi stellari, a partire dal fondamentale
lavoro di Giuseppe Piazzi che comparve proprio all'inizio del
secolo, nel 1803 (poi in forma definitiva nel 1814) e che
raccoglieva le posizioni medie al 1800 di 7.646 stelle, osservate
a Palermo sin dal 1792.
Del catalogo di Piazzi, utilizzato anche in seguito per studi sui
moti propri, venne fatta una parziale riedizione da Francesco
Porro de' Somenzi, nel 1933 per la R. Accademia d'Italia,
correggendo alcuni errori interni delle osservazioni.
A questo seguirono i lavori iniziati a Padova da Giovanni Santini nella prima metà del secolo e proseguiti da Virgilio Trettenero: si tratta complessivamente di cinque cataloghi, per un totale di circa 8.000 stelle boreali e australi, pubblicati tra il 1840 e il 1870.
Degli anni Sessanta sono i più ridotti cataloghi (meno di 1.000 stelle) di P. Tacchini e Giovan Battista Capelli, rispettivamente a Palermo e Milano, mentre è della fine del secolo, 1896, il catalogo di circa 2.500 stelle australi di nona magnitudine realizzato all'Osservatorio del Collegio Romano con il grande circolo meridiano Salmoiraghi da E. Millosevich e D. Peyra.
L'uso della fotografia finì per mettere parzialmente in disuso le tecniche di misura visuali e, soprattutto, favorì la nascita del progetto internazionale della Carte du Ciel.
Nel 1851 e al di fuori
dalle istituzioni astronomiche ufficiali, presero avvio le
osservazioni del barone milanese Ercole Dembowski, iniziate dalla
sua specola privata a San Giorgio a Cremano presso Napoli e
proseguite poi, dal 1860 al 1878 e sempre in una specola privata,
a Gallarate.
Per il completamento del suo lavoro di revisione del catalogo di
stelle doppie dell'astronomo Friedrich Georg Wilhelm von Struve,
pubblicato postumo a cura dell'Accademia dei Lincei, furono
necessarie circa 21.000 misure micrometriche. La sua attività
premiata con la Gold Medal della Royal Astronomical
Society.
Anche nel campo della
ricerca di asteroidi e comete, il secolo si era aperto con la
scoperta di Cerere da parte di Piazzi.
Nello stesso filone si inserì brillantemente Annibale De
Gasparis, che dall'Osservatorio di Capodimonte scoprì, tra il
1849 e il 1865, ben 10 nuovi pianetini, il che gli valse la Herschel
Medal della Royal Astronomical Society, oltre ad avere
ottenuto ben cinque volte il Prix Lalande dell'Académie
des Sciences, anche per i suoi studi di meccanica celeste sui
calcoli delle orbite.
Un ulteriore asteroide, Esperia, venne scoperto da Schiaparelli
nel 1861 e due (Unitas e Josephina) da Elia Millosevich nel 1891.
Ben 19 nuove comete vennero scoperte da astronomi italiani (famosa fu quella di Donati del 1858 che illuminò i cieli d'Europa con una lunga e brillante coda, degnamente rappresentata dal Planetario di Ravenna).
Disegni originali
della cometa scoperta da Giovanni Battista Donati nel 1858
Altri due importanti risultati devono essere segnalati in questo settore: la scoperta, mediante il nuovo mezzo spettroscopico, di bande di idrocarburi nelle code delle comete, a opera di Donati nel 1864, e il risultato ottenuto da Schiaparelli che dimostrò per primo l'origine cometaria degli sciami meteorici, mediante osservazioni dell'orbita della cometa Swift-Tuttle, del 1862. Anche Schiaparelli ottenne il Prix Lalande dell'Académie des Sciences.
Rimanendo nell'ambito del Sistema solare, si devono ricordare gli studi effettuati al Collegio Romano da Francesco De Vico e Clemente Palomba sulla rotazione di Venere.
Angelo Secchi e Pietro
Tacchini fornirono una notevole serie di disegni, rispettivamente
di Marte e di Giove.
Ma tra le osservazioni planetarie ottocentesche, ovviamente, il
posto principale spetta alle osservazioni di Marte iniziate da
Giovanni Virginio Schiaparelli durante la grande opposizione del
1877 e i cui primi risultati vennero presentati il 5 maggio del
1878 all'Accademia dei Lincei.
Questi lavori portarono grande fama all'astronomo e a tutta l'astronomia osservativa italiana consentirono di ottenere l'importante finanziamento per l'acquisto, nel 1885, del grande equatoriale di Merz da 48cm di diametro e quasi 7m di focale, all'epoca uno dei maggiori rifrattori al mondo.
Questi nuovi studi
favorirono la partecipazione e soprattutto l'organizzazione da
parte del nostro paese di alcune spedizioni scientifiche, la cui
preparazione costituì uno stimolo fondamentale per l'opera di
riunificazione culturale dell'astronomia nazionale. Secchi
partecipò alla spedizione in Spagna per l'eclisse di Sole del
1860, osservando dal Deserto de Las Palmas; Pietro Tacchini,
Giuseppe Lorenzoni e Nobile osservarono l'eclisse del 1870 da
Terranova, in Sicilia; Lorenzo Respighi, infine, si recò in
India per quella del 1871.
Ricoprì un ruolo importante, soprattutto per mettere a punto le
tecniche spettroscopiche, la spedizione organizzata nel 1874 da
Pietro Tacchini e Alessandro Dorna per osservare dall'India il
transito di Venere sul disco solare. Era questa un'osservazione
di carattere fondamentale la definizione della base astronomica
delle distanze l'Unità Astronomica.
L'astronomia italiana,
come abbiamo visto, si era presentata al processo di unificazione
suddivisa in una dozzina di Osservatori, istituiti dai governi
locali preunitari.
La dotazione strumentale di questi Osservatori non era certamente
tra le peggiori in Europa, anzi, in alcuni di essi era presente
una sicura volontà di aggiornamento strumentale.
La dotazione di personale, invece, nel rispecchiare una precisa
scala gerarchica, presenta in ogni sede un direttore e un paio di
collaboratori.
Organizzazione gerarchica del lavoro e numero di addetti alla ricerca che non riesce a far compiere all'astronomia quel salto quantitativo e qualitativo che può nascere quantomeno dal confronto quotidiano delle idee. Si è visto, così, che a fronte di un vigoroso impegno da parte dei singoli nelle osservazioni e nelle loro riduzioni, la maggior parte dei programmi di ricerca locali non riuscivano ad andare al di là di un livello, se pur talora di eccellenza, tuttavia episodico e individuale.
Le grandi operazioni di catalogazione, che suscitarono l'apprezzamento da parte dei colleghi stranieri, restarono legate al singolo ricercatore che vi aveva dedicato la gran parte della propria attività e i rapporti che intercorrevano tra le diverse sedi finivano per essere di puri scambi di informazioni e conoscenze, praticamente mai volti a stabilire, su temi di ricerca comuni, delle certe e ampie collaborazioni che favorissero la crescita della qualità del lavoro svolto.
Il frazionamento
istituzionale preunitario fu sicuramente una delle cause che
facilitò il permanere di una sorta di provincialismo nella
ricerca astronomica nazionale. Nello stesso tempo, si può
pensare che anche l'incertezza della situazione politica della
penisola, nel corso della prima metà del secolo, non abbia
contribuito in modo più o meno inconscio a
favorire il desiderio di creare una scuola, con allievi e
collaboratori sul cui futuro non vi era alcuna certezza per il
rapido mutarsi degli eventi locali.
Che queste supposizioni possano avere un fondamento di verità lo
dimostra il fatto che, nei decenni immediatamente successivi
all'unificazione, si ritrova, al contrario, un forte desiderio di
organizzazione e coordinamento nazionale, sia a livello
istituzionale che della ricerca, almeno da parte di alcuni
astronomi "illuminati".
Ricordando all'inizio le conclusioni cui era giunto nel 1840 l'austriaco von Littrow, dopo una visita a alcuni Osservatori italiani, avevamo notato come, secondo lui, « in questo felice paese [ ] da un lato in parte mancassero i mezzi e dall'altro l'applicazione ».
Se una qualche conclusione
si vuole iniziare a trarre dalla nostra analisi, si può
sostenere che i mezzi mancassero solo in parte, come afferma
Littrow, ma non certo l'applicazione.
L'impressione che si ricava è che piuttosto fosse l'ambiente nel
suo complesso a soffrire di un certo provincialismo e di un certo
isolamento da quelli che abbiamo visto essere i temi che si
andavano sviluppando negli altri paesi.
- dall' Almanacco del Planetario 2011 -
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